Approvato il piano territoriale d’ambito per la gestione dei rifiuti, con il voto favorevole e l’imbarazzante giravolta del Comune di Ascoli sulla discarica Geta, che prevede la realizzazione e l’adeguamento di impianti con potenzialità tripla rispetto al fabbisogno provinciale
Questa volta non c’è stato alcun commento entusiastico, almeno il sindaco Fioravanti (appresa la lezione d qualche mese fa, almeno si spera), ha avuto la decenza di non riproporre la “panzana” dell’improbabile “Gardaland della vallata”. Ma l’imbarazzato silenzio del Comune capoluogo sull’approvazione di un atto così importante e fondamentale per il territorio piceno, il piano territoriale d’ambito per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati, per certi versi fa più rumore ed è molto più emblematico di tante parole. E’ il silenzio di chi non sa come spiegare lo sconcertante voltafaccia di chi qualche anno fa faceva le barricate e i blocchi stradali per difendere quella valle che oggi condanna a diventare la più grande discarica del centro Italia. E con essa tutto il territorio piceno, destinato a diventare il più grande immondezzaio dell’Italia centrale per la felicità di pochi fortunati (i privati che controllano determinate aziende), a scapito dell’intera comunità.
Sono davvero tanti i motivi per cui è addirittura riduttivo definire, come ha fatto qualcuno, quella di martedì 12 ottobre, una delle giornate più nere degli ultimi decenni del nostro territorio. Principalmente per le conseguenze nefaste per il territorio di quanto è stato deciso. Ma anche perché quanto accaduto testimonia e conferma il livello dei nostri amministratori (o quanto meno della maggioranza di essi), totalmente disinteressati alle esigenze del territorio e dei suoi cittadini, pronti per convenienza ad andare ogni oltre limite dell’incoerenza e assolutamente incapaci di confrontarsi e di spiegare ai cittadini le motivazioni e gli eventuali vantaggi per la collettività di determinate scelte (in questo caso anche perché non ce ne sono…).
Ed è ovvio che spetterebbe agli amministratori del Comune capoluogo, quello che in teoria dovrebbe essere il riferimento e la guida del territorio, “metterci la faccia”. Cercando, innanzitutto, di spiegare, se possibile, come mai qualche anno fa era assolutamente inaccettabile utilizzare, in una situazione di emergenza, la vasca della discarica per portarci i rifiuti, al punto da organizzare blocchi stradali di protesta (a cui ha partecipato anche l’allora presidente del Consiglio Comunale Marco Fioravanti), mentre ora si vuole addirittura realizzare la vasca 0, sempre nella discarica dell’Alto Bretta, da 900 mila metri cubi.
Ma anche perché un’assemblea così importante, chiamata a decidere il futuro del territorio, sia stata convocata in periodo elettorale con sindaci appena eletti per nulla informati sul documento in discussione (emblematica l’ammissione da parte del sindaco di Montegallo che, infatti, si è astenuto) e addirittura il Comune di San Benedetto in attesa del ballottaggio di domenica prossima (che quindi per rispetto avrebbe dovuto astenersi, invece di votare a favore). Per non parlare, poi, del fatto che un terzo dei rappresentanti del territorio praticamente non si è voluto esprimere (tra chi era assente e chi si è astenuto).
Andando ai contenuti, per sintetizzare il nuovo piano di ambito prevede un ammodernamento (revamping) dell’impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb) di Relluce (dove vengono trattati i rifiuti indifferenziati prima di portarli in discarica) per portarlo dagli attuali 30 ad 80 mila tonnellate, la realizzazione della vasca 0 a Geta di 900 mila metri cubi e la realizzazione di un Biodigestore da 40 mila tonnellate a Relluce, dove già ne esiste un altro da 11 mila tonnellate (senza contare quello di Force da 63 mila tonnellate).
“Un piano enormemente abbondante, sovrastimato nella quantità, come si capisce dai dati, ma anche nel tempo perché la Regione aveva chiesto un piano di breve periodo e quello approvato è nell’arco temporale di “per sempre” commenta con estrema lucidità la sindaca di Appignano Sara Moreschini , insieme ai suoi colleghi di Castignano (Polini) e Castel di Lama (Bochiccihio) alla guida del gruppo dei Comuni “scontenti”. D’altra parte, però, mai come in questo caso i numeri parlano chiaro, il nostro territorio produce 30 mila tonnellate l’anno di rifiuti indifferenziati e meno di 30 mila tonnellate di umido all’anno.
Per i primi il piano prevede un impianto tmb con una potenzialità quasi tripla (80 mila tonnellate) rispetto al fabbisogno provinciale, per poi essere destinati ad una discarica da 900 mila metri cubi. Per i secondi, nonostante siano già presenti 2 impianti da 63 mila tonnellate (a Force) e 11 mila tonnellate (Relluce) , viene realizzato un nuovo Biodigestore da 40 mila tonnellate. Quest’ultima scelta si è provato a giustificarla, da parte di chi ha votato a favore del piano, con il fatto che l’impianto di Force non è pubblico ma privato. Peccato, però, che l’Antitrust ha sostenuto che il biodigestore è un impianto a mercato libero e non ricompreso nella privativa pubblica. E, non a caso, nei piani d’ambito delle altre province marchigiane non si è scelto o proposto alcun biodigestore.
L’altra flebile giustificazione di chi ha voluto e votato quel piano è naturalmente di natura economica, con possibile ipotetiche riduzioni future delle tariffe e conseguenti risparmi per le famiglie. A smontare, dati e fatti alla mano, questa ricostruzione ipotetica ci hanno pensato ancora una volta la Moreschini e Bochicchio. “Hanno approvato la possibilità di produrre il combustibile solido secondario (CCS) da portare poi a bruciare chissà dove – spiega la sindaca di Appignano – ignorando che nessun’altra provincia delle Marche scrive nei propri piani la produzione di CCS in quanto reputata antieconomica e non sostenibile”.
“Il CCS non conviene – aggiunge il sindaco di Castel di Lama – perché la Regione ha sancito chiaramente che è possibile produrlo ma non lo si può bruciare all’interno del territorio marchigiano. Quindi bisogna andare fuori dai confini per smaltire questo rifiuto speciale, con la conseguenza di costi nettamente maggiori rispetto a quelli promessi”. Bochicchio cita in proposito un’indagine di mercato dell’Ata 2 di Ancona secondo cui il costo reale di collocamento del CSS oscilla tra i 105 e i 130 euro a tonnellata, a differenza degli 85 euro promessi nel piano dell’Ata di Ascoli.
Una differenzia sostanziale che comporterebbe un maggior costo annuo, rispetto al preventivato, di oltre 2,5 milioni di euro. Inevitabilmente sbriciolate le improbabili giustificazioni di chi ha votato a favore, in concreto resta la realtà di un piano che trasforma il nostro territorio nell’immondezzaio delle Marche e, probabilmente del centro Italia. Perché l’enorme discarica di 900 metri cubi, per altro in futuro ampliabile di un ulteriore 30%, per consentire ai soci privati di rientrare più velocemente degli investimenti si potrà riempire con i rifiuti di altri territori.
“Fra le mille domande che ci siamo posti studiando il piano giorno e notte – spiega Sara Moreschini – visto il nuovo socio di Picenambiente ovvero Acea (società con soci noti come Roma Capitale) chissà che non diventeremo anche la pattumiera di qualcun altro, mascherata magari in aiuto in una futura situazione di emergenza”. Quanto all’impianto di Tmb, la conferma di quale sia la situazione arriva dai piani d’ambito di Fermo e Macerata che prevedono espressamente nei prossimi anni di far trattare i propri rifiuti ad Ascoli. Tra l’altro sempre il sindaco Bochicchio ha messo a confronto gli effetti economici dei tre piani.
“Per quanto riguarda i costi rispetto alla situazione del 2019 – afferma il primo cittadino di Castel di Lama – a Fermo restano invariati, a Macerata fanno registra un aumento del 3% mentre ad Ascoli, per mantenere invariate le tariffe, dovrà essere trattato il 250% in più di rifiuti”. Che dire, un vero e proprio capolavoro… “La nostra battaglia non finisce qui – conclude la Moreschini – faremo tutto ciò che la legge ci consente per difendere la salute pubblica e l’ambiente. Abbiamo bisogno di un servizio efficiente sostenibile per l’ambiente e la salute di tutti, non per far riportare i conti in superattivo di alcune società dagli strambi assetti, pubbliche ma non troppo, private ma non abbastanza, private così e così”.