Apprendimenti in calo, aumento dei divari sociali e territoriali, docenti in fuga: scuola media in crisi


Il “Rapporto scuola media 2021” della Fondazione Agnelli evidenzia un peggioramento, rispetto a 10 anni fa, della qualità degli apprendimenti ed un preoccupante aumento dei divari sociali e territoriali, al punto da poter parlare di due differenti Italie dell’istruzione

Bisogna tenere in considerazione il dato estremamente basso delle promozioni al primo anno delle scuole superiori (il 59%). Sarebbe opportuno verificare anche il 

dato degli anni precedenti ma forse non sarebbe del tutto inappropriato iniziare a riflettere sul livello di preparazione che viene fornito ai ragazzi delle scuole medie. Perché è forte la sensazione, suffragata anche da numerosi dati, che la nostra scuola media non è in grado di fornire una preparazione adeguata e non riesce a mettere a disposizione di studenti e genitori gli strumenti necessari per porli nella condizione di scegliere la scuola superiore più adeguata alle caratteristiche e alle aspirazioni di ciascun ragazzo”.

Era il giugno del 2017 quando, nell’articolo “C’era una volta la scuola del tutti promossi” lanciavamo l’allarme sul livello di preparazione fornito dalle scuole medie. Come è facilmente immaginabile, così facendo ci attirammo gli strali di numerosi insegnanti delle medie stesse. Ora, però, a distanza di 4 anni quell’allarme viene ripreso e rilanciato con forza (e soprattutto con una serie di dati inequivocabili) dalla Fondazione Agnelli. Che, nel “Rapporto scuola media 2021” fornisce un quadro per nulla edificante sulla situazione della nostra seconda di primo grado, evidenziano un preoccupante peggioramento degli apprendimenti, un aumento dei divari territoriali e sociali, con professori poco formati, mal retribuiti (rispetto alla media Ocse) e troppo propensi alla fuga.

Quello che sconcerta è che, a 10 anni dall’uscita del primo Rapporto della Fondazione Agnelli sullo stato di salute della scuola media (2011) la situazione non solo non è migliorata ma, addirittura per molti versi è decisamente peggiorata. Dieci anni dopo la qualità degli apprendimenti degli studenti delle scuole medie resta critica, inferiore a gran parte degli altri paese avanzati ma anche ai livelli che ci si poteva attendere sulla base dei risultati ottenuti alla primaria. Infatti nelle ultime rilevazioni internazionali di matematica e scienze, gli apprendimenti in matematica degli studenti italiani sono sempre ampiamente sopra la media internazionale in quarta elementare ma poi scendono decisamente al di sotto in terza media.

Ma, grazie alle elaborazioni sui dati Invalsi del 2019 (quindi prima della pandemia e non condizionati dalle conseguenze del covid), il Rapporto evidenzia in particolare come in questi anni invece che ridursi si sono ampliamente le diseguaglianze sociali e i divari territoriali, con conseguenti effetti negativi sugli apprendimenti, al punto da poter quasi parlare di due Italie dell’istruzione, sia per stato sociale che per differenza territoriale.

Le disuguaglianze dovute all’origine socio-culturale, misurate in base al titolo di studio dei genitori – spiega la curatrice del rapporto Barbara Romano – sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza in media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno studente i cui genitori hanno la licenza elementare. Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono, alla fine del ciclo, a una differenza di quasi tre anni di scuola”. Discorso differente, invece, per quanto riguarda il divario territoriale. Se, infatti, al termine della primaria gli allievi nei diversi territori fanno registrare risultati simili, dopo i tre anni di scuola media il Sud resta molto attardato, con un divario che va dai 17 (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia) ai 27 punti (Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia) con il resto del Paese. I divari territoriali, che la primaria riesce a contenere, nella scuola media esplodono più che in passato.

A differenza di 10 anni fa, si manifestano anche i divari di apprendimento che penalizzano gli studenti di origine straniera rispetto ai loro pari con genitori italiani. Stabili rispetto alla primaria sono, invece, le differenze di genere, con le ragazze indietro rispetto ai ragazzi in matematica e scienza. Nel corso del tempo le distanze si sono ridotte, ma soltanto per via di un più consistente peggioramento dei maschi. Ma ad allarmare non è sono solo gli apprendimenti insoddisfacenti ed i divari sociali e territoriali. Dal Rapporto emerge infatti un ritratto degli studenti italiani delle medie sempre più preoccupante, stressati dai troppi compiti, con una percezione altamente negativa del loro stare a scuola (che tende a peggiorare nel corso del triennio), con una costante diminuzione della soddisfazione che già non era elevata all’inizio.

Non solo, molti di loro (quasi la metà) ha grandissimi problemi con l’orientamento e con le conseguenti scelte. Al di là di ogni considerazione che, immaginiamo, c’è chi è pronto ad esternare all’insegna del solito “i giovani di oggi”, dovrebbe far riflettere il fatto che non più del 30% delle ragazze e del 25% dei ragazzi di prima media danno un giudizio positivo del loro stare a scuola. Una percentuale che, addirittura, precipita al 10%, per entrambi i sessi, in terza media. Non solo, 4 studenti su 10 di prima media si dichiarano stressati per il troppo carico di lavoro a casa (i compiti), media che fatalmente cresce in terza media. Quasi la metà degli studenti (il 44%, per l’esattezza) non segue il consiglio orientativo che, pure, risulta essere fondamentale.

Come confermano i dati che evidenziano che, quando gli studenti scelgono gli indirizzi formativi che più rispondono alle proprie competenze e interessi, seguendo i consigli orientativi che derivano anche da prove psicoattitudinali, la probabilità di essere bocciati al primo anno delle superiori si riduce considerevolmente, mentre è quasi doppia per chi non segue il consiglio orientativo.

In particolare, secondo quanto emerge dal Rapporto, nei Licei Classici e Scientifici la possibilità di essere bocciato al primo anno per chi segue i consigli orientativi è pari al 5%, per chi non li segue sale al 13%. Stessa proporzione anche negli altri Licei (sociali, linguistici, artistici, musicali), con un 9% a fronte di un 20% di chi non segue i consigli. Scende un po’, ma resta comunque evidente, la differenza negli Istituti tecnici (13,5% contro 23%), mentre negli Istituti professionali non si registrano differenze.

Come è logico che fosse, le difficoltà degli studenti in larga misura si spiegano con quelle dei loro docenti. Molte delle criticità che già 10 anni fa ostacolavano i docenti di scuola media risultano, infatti, confermate o aggravate. Rispetto a 10 anni fa aumenta del 13% il numero dei docenti (202 mila), a fronte di una diminuzione della popolazione studentesca delle medie del 3%. A crescere, però, è il numero dei precari, visto che quello dei docenti di ruolo è leggermente diminuito (143 mila rispetto ai 144 mila di 10 anni fa).

In particolare per quanto riguarda il sostegno i precari sono circa il 60%. A dispetto delle attese, nonostante le numerose assunzioni in ruolo della legge della Buona Scuola del 2015 e il recente aumento dei pensionamenti, non si è verificato in questi anni il ringiovanimento dei docenti di ruolo della secondaria di I grado che veniva auspicato nel rapporto del 2011. L’età media era poco più di 52 anni nel 2011, ora è poco meno. Mentre 1 docente su 6 ha 60 anni e oltre, coloro che vanno in cattedra prima di 30 anni sono invece un minuscolo drappello: 1 su 100.

La scuola media, inoltre, è anche il grado più soggetto alla “giostra degli insegnanti”: da un anno all’altro soltanto il 67% dei docenti rimane nella stessa scuola (83% nella primaria, 75% nelle superiori, dati dell’a.s. 2017-18), con le prevedibili conseguenze negative per la qualità didattica. Nella scuola media, infine, 8 docenti su 10 si sentono ben preparati nei contenuti disciplinari, mentre solo 4 su 10 si sentono adeguati nella didattica della propria materia e nella pratica d’aula. Sorprendentemente, però, soltanto l’11% pensa di avere bisogno di ulteriore formazione didattica.

Dalle criticità emerse – si legge in conclusione nel rapporto – discendono alcune proposte di politica scolastica. In primo luogo, occorre lavorare sugli insegnanti, valorizzandoli, e sulla qualità dell’insegnamento. Servono percorsi di formazione iniziale per la secondaria con un forte orientamento alla didattica, a partire da una laurea magistrale per l’insegnamento. In secondo luogo, la didattica va modellata sulle esigenze specifiche della scuola media. Intanto, con metodologie più coerenti all’evoluzione cognitiva ed emotiva degli adolescenti (gruppi di apprendimento fra pari, strategie metacognitive); inoltre, pensando la scuola media come percorso di orientamento al futuro, con strumenti e metodologie didattiche che favoriscano la scoperta e la valorizzazione delle inclinazioni personali, dando indicazioni per le scelte successive (apprendimento per mezzo di progetti individuali, didattica per compiti di realtà, apprendimento socioemotivo). Infine, crediamo necessaria un’estensione del tempo scuola alla secondaria di I grado, con la scuola del pomeriggio come scelta ordinamentale. Tempi più lunghi e distesi favoriscono le pratiche didattiche orientate a percorsi di apprendimento individualizzati e quelle attività (sportive, artistiche ed espressive, musicali, applicative, laboratoriali) fondamentali anche per lo sviluppo di competenze non cognitive”.

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