Nei giorni scorsi, nel corso del processo contro Paolo Bellini, l’ex moglie del terrorista “nero” ha confessato di aver mentito sul suo alibi e ha riconosciuto l’uomo in un video girato da un turista prima e dopo l’esplosione della bomba. Nessun dubbio anche sui mandanti e finanziatori
Quello di quest’anno, il 41°, è un anniversario molto particolare per la strage di Bologna. Innanzitutto perché, dopo i limiti imposti dal covid, tornano le celebrazioni, con il corteo e tutte le iniziative in programma nella giornata del 2 agosto. Soprattutto, però, perché gli eventi degli ultimi giorni hanno ulteriormente sgretolato il castello di menzogne e fake news che i “negazionisti” per opportunismo e interessi politici hanno costruito da anni, cercando inutilmente di mettere in discussione una verità ormai chiara, che emerge in maniera inequivocabile dai processi (quelli passati in giudicato e quello in corso) ma ancor più dagli atti. Ricordiamo ancora l’indegno post di Giorgia Meloni lo scorso anno, in occasione del 40° anniversario (“#StragediBologna del 2 agosto 1980. 40 anni senza giustizia. In un giorno così significativo rivolgo un appello al presidente Conte: desecreti gli atti relativi a quel tragico periodo storico. Lo dobbiamo alla verità e ai parenti delle vittime”) che aveva scatenato la reazione indignata dei parenti delle vittime e dell’associazione che hanno costituito.
“Deliri”, di chi per bieche ragioni politiche non ha alcun rispetto per quei morti e per i loro familiari, nei mesi scorsi ripresi dai parlamentari di Fratelli d’Italia che hanno chiesto una commissione d’inchiesta per fare chiarezza sulla strage, fingendo di ignorare la verità giudiziaria inequivocabile: quella di Bologna fu una strage “nera”. Ci sono sentenze passate in giudicato che hanno condannato gli autori della strage stessa. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro all’ergastolo, Luigi Ciavardini a 30 anni di reclusione, mentre Gilberto Cavallini è stato condannato in primo grado nel gennaio 2020. Per depistaggio delle indagini e per calunnia aggravata, al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage, sono stati condannati l’ex capo della P2 Licio Gelli, gli ufficiali del Sismi (servizi segreti) Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte e il faccendiere collaboratore del Sismi Francesco Pazienza.
Come anticipato, però, negli ultimi giorni (ma anche negli ultimi mesi) sono arrivate importanti novità che sembrano finalmente completare il puzzle, sia per quanto riguarda la presenza del cosiddetto quinto uomo sia per quanto riguarda la conferma dei mandanti della strage. Al processo contro Paolo Bellini, accusato di essere tra gli esecutori della strage (il famoso quinto uomo), attualmente in corso al tribunale di Bologna, quelli che si sono vissuti a metà luglio sono stati giorni decisivi. Secondo l’accusa Bellini quel 2 agosto del 1980 era sul luogo della strage, addirittura viene indicato come l’uomo che ha portato la bomba in stazione. Lui si è sempre difeso sostenendo che non era lì, che quella mattina alle 9:30 era a Rimini per prendere la moglie, i due figli piccoli e la nipote per poi partire per il Passo del Tonale.
Inizialmente l’ex moglie, Maurizia Bonini, aveva confermato il suo alibi. Poi, però, ha confessato di aver detto una bugia perché all’epoca non immaginava cosa facesse il marito e perché era stata spinta a farlo dal padre, anche lui fascista e amico di un Pm che era legato a Bellini. “Ho detto una bugia, all’epoca ho dichiarato il falso” ha ammesso la donna nell’udienza del 21 luglio scorso, sostenendo di non ricordare a che ora erano partiti ma che all’ora di pranzo era ancora in hotel, visto che la madre era tornata tardi rispetto all’ora di pranzo. Particolare confermato dalla madre della donna e anche dal fratello, che ha confermato che l’orario delle 9:30 glielo aveva suggerito il padre di Bellini.
Sarebbe sufficiente già questo, ma c’è molto di più. Grazie alla straordinaria opera dell’associazione dei familiari delle vittime è spuntato fuori un video, un vecchio super 8 girato da un turista prima e dopo l’esplosione della bomba, che era finito perso tra il materiale in possesso degli inquirenti. Che da quel video avevano estratto una settantina di fotogrammi, escludendo inspiegabilmente proprio la parte finale di quel video. Nella quale compare un uomo, capello corvino, baffo spiovente, con la t-shirt con il girocollo, che assomiglia troppo proprio a Paolo Bellini.
“Quando abbiamo ritrovato il video – affermano i rappresentanti dell’associazione dei familiari delle vittime – ci siamo concentrati proprio sulla parte finale, quella dalla quale chissà perché non erano stati estratti fotogrammi”. Superficialità o volontà di insabbiare (purtroppo molto frequente in questa come in altre vicende della storia recente italiana), fatto sta che proprio i frammenti finali del video sono decisivi. Gli inquirenti non hanno dubbi, quello che si vede nel super 8 è Paolo Bellini. E nell’udienza del 21 luglio anche l’ex moglie l’ha riconosciuto.
“E’ Paolo, è lui – ha affermato la donna dopo aver visto il video (confermando in aula quanto già aveva detto agli inquirenti già 2 anni fa) – non ho dubbi perché ha una fossetta qua, ha i capelli più indietro ma sono sicura che è lui, nella foto lo riconosco meglio. Ma è riconoscibile da parte mia anche nella parte inferiore del video”. C’è poco da aggiungere, il cerchio si è chiuso, anche se non c’erano dubbi in proposito. In particolare bisognerebbe ricordare che in un paese civile le sentenze passate in giudicato vanno rispettate a pieno. E dovrebbero farlo innanzitutto i nostri rappresentanti istituzionali, ancor più chi ha avuto l’onore di rivestire alte cariche istituzionali (Giorgia Meloni è stata ministra con il governo Berlusconi) e chi siede in Parlamento.
Rappresentanti istituzionali che non possono continuare a raccontare balle, a fingere che non esistano sentenze definitive. Per altro chiunque conosce la lunga e travagliata storia dei procedimenti giudiziari sulla strage di Bologna sa che l’attribuzione all’eversione nera (e le conseguenti condanne) si basano su una serie impressionante di prove, testimonianze, riscontri e anche confessioni. In particolare di alcuni ex componenti dell’eversione nera, supportate da documenti inequivocabili (come quello sequestrato a Carlo Battaglia di Ordine Nuovo) e da intercettazioni ambientali (come quella in carcere tra Nicoletti e Bonazzi).
E negli ultimi mesi sono stati trovati documenti inspiegabilmente finiti nel dimenticatoio che individuano con chiarezza anche i mandanti e i finanziatori: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato (per 20 anni al vertice dell’Ufficio affari riservati) e Mario Tedeschi (ex senatore del MSI), tutti iscritti alla P2 e non più perseguibili perché deceduti. Da alcuni atti del processo per il crac del Banco Ambrosiano per anni inspiegabilmente tenuti nascosti, sono emerge le prove della regia da parte della P2 nell’organizzazione della strage e negli innumerevoli successivi depistaggi per proteggere i terroristi neri. In particolare sono stati acquisiti i riscontri dei finanziamenti dell’intera operazione, prima e dopo il 2 agosto 1980, elargiti a più riprese dal febbraio del 1979.
“Impegno di Stato e famiglie delle vittime ha messo in luce matrice fascista” ha ricordato il presidente della Repubblica Mattarella in queste ore. Visto il quadro ormai inequivocabile, sarebbe un bel segnale se in questo 41° anniversario chi, come Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, in questi mesi ha continuato a fingere e a negare la realtà, con un gesto di umiltà ammettesse il gravissimo errore e chiedesse scusa proprio ai familiari delle vittime. Sarebbe bello ma dubitiamo seriamente che possa accadere…