Genova 20 anni dopo: una vergogna da non dimenticare, una ferita impossibile da rimarginare
Venti anni dopo quella che indiscutibilmente è stata la pagina più buia della nostra storia recente, quelli che allora hanno avuto il compito di gestire l’ordine pubblico hanno tutti fatto carriera, invece di essere mandati a casa “a pedate nel sedere” e con sommo disonore
“Con quale credibilità un paese che non ha saputo punire i responsabili delle torture del G8, anzi li ha coperti, ora chiede all’Egitto di punire altre torture?”. E’ impossibile non condividere le parole pronunciate qualche tempo fa dal sostituto procuratore della Corte di appello, Enrico Zucca, il pm dei processi sul G8 di Genova. “L’11 settembre 2001 e il G8 hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali – ha affermato Zucca – lo sforzo che chiediamo ad un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper fare per vicende meno drammatiche. I nostri torturatori sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”.
Sono passati 20 anni da quella che è stata la pagina più buia della storia recente del nostro Paese. Che negli ultimi 30 anni ha vissuto tanti momenti difficili, nessuno dei quali, però può essere paragonato a i vergognosi giorni del G8 di Genova. Quando a mettere in atto comportamenti “criminali” fu lo Stato o quanto meno una delle sue più importanti componenti. Quando per lunghi tratti ci fu una gravissima sospensione dei diritti e delle libertà individuali costituzionalmente garantiti, quando ampie fasce delle forze dell’ordine, con il benestare se non addirittura l’indirizzo preciso dei propri vertici, mise in atto torture e violenze degne del Cile di Pinochet o dell’Argentina dei militari.
Nel silenzio (o forse anche la complicità) del governo Berlusconi, con l’allora ministro della giustizia Castelli (Lega) che addirittura ebbe il coraggio, dopo una lunga visita nelle ore in cui si consumavano al suo interno le più atroci torture, di lodare la perfetta organizzazione della caserma di Bolzaneto. “La gestione dell’ordine pubblico al G8 di Genova fu una catastrofe, la nottata non è mai passata, a Genova un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato la loro vita” dichiarava qualche tempo fa l’allora capo della polizia Franco Gabrielli. Che, però, con estrema scaltrezza, ha replicato stizzito alle parole di Zucca, definite dallo stesso Gabrielli “arditi parallelismi e infamanti accuse”.
La solita ipocrisia che impregna il nostro paese e che ormai sembra essere diventato un tratto distintivo dei rappresentanti delle nostre istituzioni. Al punto che ci si indigna per le parole del sostituto procuratore genovese che, in realtà, descrivono con estrema lucidità una sconfortante similitudine che emerge con chiarezza confrontando quanto scritto nelle sentenze della Corte europea dei diritti umani riguardo le vicende di Genova con quanto denuncia la Procura di Roma per il caso Regeni.
“La Corte si rammarica – si legge nella sentenza “Cestaro contro Italia” dell’aprile 2015 della Corte di Strasburgo (Arnoldo Cestaro aveva 61 anni all’epoca dei fatti e si era fermato a dormire alla scuola Diaz dove fu barbaramente picchiato dai poliziotti che gli provocarono fratture multiple alla testa, alle braccia e alle gambe) – che la polizia italiana si sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura”.
“Questo ufficio – scriveva nel marzo 2017 la Procura di Roma a proposito del caso Regeni – ritiene che Regeni sia stato oggetto di accertamenti per lungo tempo ad opera di ufficiali degli apparati di sicurezza egiziani. Che poi, nel corso delle attuali indagini, hanno mentito, depistato, non hanno mai mostrato volontà di collaborare per la ricerca della verità e delle responsabilità, tra silenzi e reticenze”. In un paese da sempre allergico alle verità, soprattutto quelle più scomode e poco edificanti, è importante ricordare oggi, a 20 anni da quei drammatici fatti, la grave vergogna di quei giorni.
Perché la ferita lasciata aperta dai fatti del G8 di Genova è purtroppo destinata a non rimarginarsi mai. Ma anche perché purtroppo quelle vicende non hanno insegnato nulla, non sono neppure servite da stimolo per cambiare le cose. Una ferita che non potrà mai rimarginarsi perché quasi nessuno ha pagato per quelle vergogne, perché nonostante l’immagine del nostro Paese sia andata in pezzi a livello mondiale, nonostante le sentenze della Corte europea abbiano delineato in maniera inequivocabile e vergognosa le gravissime responsabilità soprattutto dei vertici delle allora forze dell’ordine, nessuno ha subito particolari conseguenze.
Anzi proprio i vertici delle forze dell’ordine, coloro che hanno condiviso o anche semplicemente accettato la “macelleria messicana” alla Diaz, le violenze e gli abusi alla caserma di Bolzaneto, i violenti pestaggi nei confronti di inermi cittadini e tutto l’ignobile armamentario andato in scena in quei giorni a Genova hanno tutti, chi più chi meno, fatto carriera, con situazioni indegne persino della “Repubblica delle banane”. “Se io fossi stato Gianni De Gennaro (all’epoca del G8 capo della polizia) mi sarei assunto le mie responsabilità e mi sarei dimesso senza se e senza ma” spiegava qualche tempo fa Franco Gabrielli vestendo i panni del “poliziotto buono”. Quella di Gianni De Gennaro dopo i fatti del G8 è una vicenda che definire paradossale è riduttivo. Inizialmente l’allora capo della polizia fu condannato ad un anno e 8 mesi di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell’allora questore di Genova Colucci.
Poi venne assolto proprio in seguito alla testimonianza del questo stesso che, però, a sua volta per quella testimonianza fu poi condannato a 2 anni e 8 mesi. Non servirebbe neppure sottolinearlo ma in qualsiasi paese civile chi era a capo delle forze dell’ordine in quei giorni non solo si sarebbe dimesso ma sarebbe stato definitivamente accantonato. De Gennaro non solo non si dimise ma nel governo Monti fu nominato sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. E nel 2013 il governo Letta lo nominò presidente dell’allora Finmeccanica, azienda statale ridenominata poi “Leonardo”).
Se possibile ancora più sconcertante la vicenda di Gilberto Caldarozzi, uno dei principali protagonista della vergognosa mattanza alla scuola Diaz, condannato a 3 anni e 8 mesi per falso (non ha scontato neppure un giorno di galera), con sospensione per 5 anni dai pubblici uffici. “Ha gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero” si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna. Non appena sono scaduti i 5 anni non solo è stato reintegrato ma l’allora ministro Minniti l’ha nominato vice direttore tecnico operativo della Direzione Investigativa Antimafia. L’allora vice questore Adriano Lauro, colui che con il cadavere senza vita di Giuliani urlava ad un manifestante “l’hai ammazzato tu, sei stato tu con le pietre, pezzo di merda” e che nel corso del processo ha ammesso candidamente la messa in scena (aggiungendo che si divertiva a lanciare pietre verso i manifestanti) è stato promosso e nominato questo di Pesaro.
Potremmo proseguire a lungo, poi ci si stupisce e ci si chiede per quale ragione le istituzioni italiane siano sempre meno credibili… Tutti quelli citati, così come tutto coloro che hanno prestato servizio nella caserma trasformata in lager di Bolzaneto (che hanno partecipato o anche solo assistito senza dir nulla, senza denunciare) dovevano essere immediatamente cacciati “a pedate nel sedere” e con sommo disonore dalle forze dell’ordine. Era l’unico modo per provare a recuperare un po’ di dignità e di credibilità. Per questo, in occasione di questo ventesimo anniversario, è importante non dimenticare, è fondamentale ricordare quella pagina così buia. Anche perché i fatti che si sono susseguiti negli anni successivi hanno dimostrato che purtroppo non hanno insegnato nulla.
Sarebbe sufficiente ricordare i fatti, recentemente venuti alla luce, di Santa Maria Capua Vetere. Ma anche e soprattutto tutte le inaccettabili resistenze che ci sono state e continuano ad essere e che non consentono di adottare provvedimenti di civiltà che sono largamente in vigore, da tempo, nella maggior parte dei paesi civili. Parliamo, ad esempio, dell’introduzione del reato di tortura, approvato da anni di discussioni in una formula a dir poco annacquata. Ancor più dei codici identificativi per le forze dell’ordine, una prassi in tutta Europa, qualcosa di cui non si può neppure discutere nel nostro Paese.