I “deliri” del dirigente scolastico regionale sul 25 aprile


Il dirigente regionale scrive agli studenti stravolgendo la storia e chiedendo di ricordare i morti della guerra senza distinzioni di parte. Come se non ci fosse differenza tra chi ha combattuto per la libertà e chi si è macchiato di stragi come Monte Sole e Sant’Anna di Stazzema

Quell’immane conflitto ha visto un’Italia scissa e martoriata, un’Italia che si è fronteggiata per le rispettive ragioni, per i rispettivi sogni di cui era carica: uno scontro marcato dal ferro e dal sangue che ha diviso, frantumato. Ma dopo quella grande catastrofe ci sia ora il superamento delle antitesi disperate, delle demonizzazioni reciproche, il riconoscimento per tutti nella propria storia, per ricostruire giorno per giorno quest’Italia, per proiettare nel mondo un’Italia unita, forte, libera, con un suo destino, che possa fronteggiare col lavoro la competizione mondiale. Questa è la missione forte affidata a voi nuove generazioni: non la fazione, non la setta, non i rancori, non gli odi dietro i quali i popoli si sfaldano, ma costruire la Comunità per questa Italia del nuovo Millennio”.

Queste farneticanti affermazioni sono tra i passaggi più sconcertanti della delirante lettera che il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale delle Marche, Marco Ugo Filisetti, ha inviato agli studenti marchigiani per la Festa di della Liberazione (25 aprile). Prima di ogni altra considerazione è opportuno sottolineare che il minimo sindacale che si deve pretendere da un direttore generale di un Ufficio scolastico regionale è la conoscenza della storia italiana.

Filisetti dimostra invece di ignorarla completamente e se fosse uno studente, dopo aver detto simili (e altre) corbellerie, non potrebbe neppure sperare di essere rimandato a settembre, sarebbe bocciato senza esitazioni. Innanzitutto qualcuno dovrebbe ricordare al dirigente scolastico marchigiano che quel conflitto (la seconda guerra mondiale) non ha in alcun modo visto “un’Italia che si è fronteggiata per le rispettive ragioni”.

Dovrebbe avere la decenza, prima di affermare simili amenità, di leggere qualche libro di storia, scoprendo così che nella seconda guerra mondiale dal 10 giugno 1940 (giorno in cui Mussolini annunciò l’entrata dell’Italia in guerra) all’8 settembre 1943 l’Italia ha combattuto a fianco alla Germania nazista e al Giappone (le cosiddette forze dell’Asse) contro le forze degli Alleati, guidate dal Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e anche la Francia. L’8 settembre 1943, dopo che a fine luglio Mussolini era stato destituito e arrestato, in un famoso comunicato alla radio il generale Badoglio rese noto l’armistizio firmato qualche giorno prima (il 3 settembre) con le forze alleate, con la cessazione di ogni atto di ostilità delle forze italiane nei confronti degli Alleati.

Le conseguenze dell’armistizio portarono all’invasione dell’Italia da parte dell’esercito nazista e la conseguente Resistenza nella guerra di liberazione italiana contro il nazifascismo, con il decisivo e fondamentale supporto delle forze alleate. Quindi non due Italia che si fronteggiavano, ma un’Italia che lottava per liberare il paese dell’occupazione nazista e i fascisti che supportavano e sostenevano non solo l’occupazione ma anche gli efferati crimini commessi dai nazisti contro la popolazione inerme. E la conoscenza della storia è fondamentale per capire e comprendere il vero significato della festa del 25 aprile, la celebrazione della liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista.

In altre parole, il vero significato della Festa della Liberazione è esattamente opposto a quel farneticante concetto che esprime il dirigente scolastico regionale che, sfidando ogni senso della vergogna, vuol far passare il messaggio che si possano mettere sullo stesso piano le ragioni di chi lottava per la liberazione del paese e per la libertà e chi invece lottava per aiutare un regime criminale e disumano come quello nazista a soggiogare gli italiani, a privarli di ogni libertà. Nella parte finale della sua delirante lettera, Filisetti cita la Costituzione frutto e conseguenza del 25 aprile.

I nostri padri e nonni con il 25 aprile ci hanno dato una nuova Costituzione, con progetti ideali, lucidi ispirati ad un alto senso di giustizia” scrive il dirigente scolastico regionale. Che però ignora o finge di ignorare che la nostra Costituzione si fonda proprio sui valori dell’antifascismo che vengono umiliati e non rispettati da chi, come appunto Filisetti, ha l’indecenza di mettere sullo stesso piano chi voleva liberare il paese e chi era complice dell’orrore nazista. Questa storia di farneticare che devono avere pari dignità chi era dalla parte giusta della storia e chi invece era dalla parte sbagliata, chi ha lottato e sacrificato la propria vita per i più alti ideali di libertà e chi invece si è reso complice delle più ferocie barbarie è purtroppo un ritornello che da qualche tempo si ripete con inaccettabile frequenza.

Ma che venga da qualche “nostalgico sfigato” che si vergogna (a ragione) delle proprie idee e, quindi, si nasconde dietro questa folle retorica della pari dignità è una cosa. Che invece sia il contenuto e il principio ispiratore della lettera di un dirigente regionale scolastico è francamente inaccettabile. E, per quanto ci riguarda, non ci sono dubbi che chi esprime simili farneticazioni (facendo per altro sfoggio della sua “ignoranza” rispetto alla storia del nostro paese) non dovrebbe restare un minuto  in più alla guida dell’Ufficio scolastico regionale.

Ci piacerebbe che Filisetti spiegasse quali mai potessero essere i sogni di cui erano carichi tutti quei fascisti che aiutarono e parteciparono all’eccidio di Monte Sole, centinaia e centinaia di inermi cittadini (non si è riusciti neppure a stabilire il numero esatto dei morti, c’è chi sostiene che fossero circa mille chi addirittura parla di oltre 3 mila), quasi esclusivamente donne, bambini e anziani, trucidati senza alcun motivo, o quelli che parteciparono insieme ai nazisti alla strage di Sant’Anna di Stazzema dove furono uccisi, in maniera barbara e disumana, 560 civili, donne, anziani e ben 130 bambini non per qualche rappresaglia (che non sarebbe comunque giustificata) ma per semplice sete di sangue.

Pensare che queste “belve feroci” debbano avere pari dignità rispetto a chi ha dato la vita per liberare l’Italia proprio da loro è un’inaccettabile offesa. E’ come se in occasione del 21 marzo (la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie) qualcuno si azzardasse a sostenere che bisogna ricordare e mettere sullo stesso piano le vittime delle due parti, chi è caduto per combattere la mafia e i mafiosi stessi, sostenendo che si sono fronteggiati “per le rispettive ragioni, per i rispettivi sogni”.

O come se in prossimità del 9 maggio (giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo) ci fosse chi chiede di ricordare allo stesso modo i tanti ragazzi in divisa che sono caduti per compiere il loro dovere, come quelli della scorta di Aldo Moro ad esempio, e i brigatisti che sono caduti negli scontri a fuoco con le forze dell’ordine stesse. Non è possibile e non è accettabile, è giusto avere rispetto per i morti, per tutti i morti ma altra cosa è cancellare la storia e chiedere pari dignità per gli uni e per gli altri.

La storia, quella della Resistenza italiana, così come quella della lotta alla mafia e della battaglia contro il terrorismo, ci ricorda che c’è chi ha combattuto dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata e non si può cancellare tutto con un colpo di spugna. Non ci sono antitesi e demonizzazione reciproche da superare, è sicuramente opportuno “il riconoscimento per tutti nella propria storia” ma non certo per parificare ma per differenziare. E non ci può essere alcuna Comunità, non è in alcun modo pensabile di costruire un’Italia unita che si possa basare sulla negazione della storia, disconoscendo le nostre radici, i principi fondanti la nostra comunità.

Per questo invitiamo il dirigente scolastico regionale ad aderire all’iniziativa lanciata dall’Anpi per il 25 aprile, cioè di deporre un fiore sotto una via o una piazza  dedicate a donne e uomini che hanno sacrificato la vita per la libertà, per liberare l’Italia dai nazifascisti. Magari cantando anche il verso finale di “Bella ciao”, “e questo è il fiore del partigiano morto per la libertà”, per non dimenticare e non offendere più il valore di chi è morto per quell’alto principio di libertà che consente anche di scrivere simili amenità…

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