Dopo l’addio (volontario) di Miozzo, sarà Locatelli il nuovo coordinatore del Cts, con la contestuale riduzione dei membri da 24 a 12. Tra cui, però, ci sono ora anche chi aveva dichiarato finita l’emergenza in estate e l’ingegner Gerli, noto per aver “toppato” tutte le previsioni
Quando si dice che la realtà supera la fantasia. Sarebbe difficile anche per il più affermato e originale scritto di storie fantastiche pensare ad una trama così fantasiosa e paradossale come quelle che si svolgono quasi quotidianamente nel Belpaese. Dove la cronaca di questi giorni, ad esempio, ci racconta l’incredibile storia di alcuni pseudo esperti che si sono esposti e hanno condotto quest’estate una dura battaglia per dimostrare che l’emergenza covid era finita, morta e sepolta definitivamente, e che ora fanno parte della principale struttura italiana che deve fornire le indicazioni e suggerire gli interventi necessari per affrontare e tamponare una pandemia che per loro non c’è più.
Oppure quella di un appassionato di numeri e di bridge, che si è divertito in questi mesi a fare previsioni di ogni tipo, riuscendo nell’incredibile impresa di non azzeccarne neppure una, e che ha inseguito vanamente il sogno di essere eletto presidente della federazione italiana Bridge e che ora per consolarsi (e magari anche per merito, non è da tutti non azzeccare neppure una previsione, per la legge dei grandi numeri prima o poi una la piglia…) è stato a sua volta inserito a far parte di quella struttura. Dobbiamo ammetterlo, sarebbe fantastico poter assistere anche ad una sola riunione di quella struttura, saremmo davvero curiosi di sapere come si affronta un’emergenza che non c’è più, mentre i numeri sparati “a caso” potrebbero sempre tornare utili per il lotto. E, chissà, nelle pause potremmo finalmente imparare anche a giocare a bridge…
Per chi non l’avesse ancora capito stiamo parlando di quello che è avvenuto nei giorni scorsi nell’ambito del Comitato tecnico scientifico (Cts) che ha visto l’addio del coordinatore Agostino Miozzo che ha portato alla nomina, al suo posto, di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, affiancato come portavoce unico da Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore della sanità, con la contestuale riduzione del numero dei componenti (da 24 a 12). Come ormai è costume nell’epoca del governo dei migliori, la maggior parte degli organi di informazione hanno usato i soliti toni carichi di enfasi per raccontare questa vicenda. Per sintetizzare, praticamente il quadro che emerge da quei racconti è di un presidente del Consiglio che, alla testa del governo dei migliori, non poteva certo accettare che il Cts non fosse a sua volta guidato e composto solo dai “migliori”.
Così avrebbe messo da parte l’ex coordinatore, evidentemente non gradito, scegliendo non solo il nuovo coordinatore ma anche coloro che hanno le stimmate per far parte di un simile Comitato. Con l’inevitabile riduzione dei componenti, perché un numero così elevato (24) poco si sposa con il concetto che a farne parte siano solo le menti migliori del paese. Ovviamente la realtà è decisamente differente, già solamente per quanto riguarda la posizione di Miozzo. Che ha deciso di farsi da parte volontariamente, per altro spiegando con chiarezza le ragioni della sua scelta.
“Il Cts ha esaurito il suo motivo di essere – ha spiegato – e credo che in uno, due mesi al massimo possa sciogliersi. Meritando l’applauso della nazione”. E, a dimostrazione di quanto sia inviso al presidente del Consiglio e al governo, è stato immediatamente scelto come collaboratore del ministro all’’istruzione Bianchi. Quanto ai nuovi componenti del Cts è indiscutibile che ci siano personaggi di grandi prestigio (come, però, già anche nel precedente Comitato). Oltre ai già citati Locatelli e Brusaferro pensiamo al direttore scientifico dello Spallanzani di Roma Giusppe Ippolito, al direttore della Prevenzione del ministero della salute Giovanni Rezza, alla direttrice del Covid Crisis Lab della Bocconi Alessia Melegaro, all’immunologo della Statale di Milano Sergio Abrignani. Però è altrettanto innegabile che accanto a loro ci sono anche personaggi la cui partecipazione al Cts suscita più di qualche perplessità.
Parliamo innanzitutto del presidente di Aifa Giorgio Palù e di Donato Greco, specializzato in malattie infettive e tropicali, che questa estate sono stati protagonisti della crociata, con tanto di lettera firmata, con altri presunti esperti (tra cui Zangrillo e Bassetti), nella quale sostenevano che l’emergenza covid era finita. Un errore, purtroppo insieme a tanti commessi in quella fase dalle istituzioni, pagato poi a caro prezzo perché anche quei proclami, assolutamente infondati e privi di senso, hanno contribuito a quell’allentamento dei comportamenti che poi ha determinato le conseguenze che sappiamo. Per carità, si possono sbagliare considerazioni e previsioni (anche se una presa di posizione così netta era apparsa decisamente incauta da subito). E non per questo bisogna crocifiggere nessuno.
Però da qui a “premiare” gli autori di un simile abbaglio con l’ingresso nel Cts ce ne passa. Per altro nessuno di loro si è mai lontanamente degnato di chiedere scusa per la clamorosa topica e, è sin troppo evidente, un minimo di coerenza e buon senso avrebbero voluto che non entrassero a far parte di un Comitato che deve proporre le soluzioni migliori per affrontare e gestire un’emergenza che, secondo loro, non dovrebbe più esistere. Ma se è legittimo esprimere perplessità su Palù e Greco, è semplicemente sconcertante che a far parte del Cts sia stato chiamato anche l’ingegnere Alberto Giovanni Gerli, appassionato di numeri, matematica e… bridge, che ha sempre ribadito quasi con orgoglio di non essersi mai occupato in passato di epidemiologia o di studio dei virus.
E a ben guardare una certa logica c’è. Se come sottosegretaria alla cultura è stata scelta chi si vantava di non aver letto un libro da 3 anni in un certo senso è perfettamente logico che viene scelto per il Cts chi si vanta di non essersi mai occupato di epidemiologia e di virus. Purtroppo, però, per chissà quale ragione solo nei mesi scorsi, quando è iniziata la pandemia, all’improvviso Gerli ha deciso che voleva occuparsi del virus. Con risultati semplicemente disastrosi. Da quel momento, sostenendo di basarsi su presunti modelli matematici, ha iniziato a sfornare quasi a getto continuo previsioni condite spesso anche da dati, riuscendo nella straordinaria impresa di non azzeccarne neppure una.
Senza andare troppo lontano nel tempo, basterebbe ricordare che il 28 gennaio scorso ha assicurato che, secondo il suo modello, in Lombardia i contagi si sarebbero velocemente ridotti nelle settimane seguenti. All’epoca la Lombardia viaggiava ad una media di 1.700 nuovi contagi al giorno ma secondo Gerli entro metà marzo sarebbe arriva a non più di 300-350 contagi. I numeri di questi giorni, però, ci dicono che siamo poco sotto i 5 mila casi al giorno, “leggermente” di più di quelli previsti dal nuovo componente del Cts. Nello stesso periodo, esattamente il 1 febbraio scorso, Gerli sosteneva che “in Veneto si potrà magari verificare qualche ritardo ma per la fine di febbraio la regione entrerà nella zona bianca”. Detto, fatto. Il 28 febbraio il Veneto era ancora in giallo, l’8 marzo è diventato arancione, il 15 rosso.
Sempre grazie ai suoi particolari modelli matematici, Gerli ha anche affrontato il tema delle varianti, sostenendo di poter identificare dove, a livello provinciale, erano presenti le varianti maggiormente trasmissibili. Su questa base il 22 febbraio ha indicato alcune province di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Calabria. Il 2 marzo l’Iss ha pubblicato l’indagine sulla prevalenza delle varianti indicando Molise, Liguria, Campania, Sardegna e Lombardia le zone dove erano più presenti. Ricordando che le sue gesta sono note anche negli Usa, visto che nell’aprile scorso aveva scritto al governatore dello Stato di New York prevedendo che al 30 giugno sarebbero stato 130 mila i contagi (saranno 420 mila), la sua “fama” è però soprattutto dovuta alla creazione di un indice (pomposamente chiamato “indice Gerli”) che a suo dire permetteva di prevedere l’andamento dell’epidemia ma anche per la bizzarra teoria dei 40 giorni.
Secondo cui un’ondata di coronavirus dura 40 giorni e che il suo andamento può essere influenzato solo nei primi 17 giorni, dopo i quali l’epidemia ha il destino segnato a prescindere. Superfluo sottolineare come il suo indice (che Gerli prima aveva proposto al presidente del Consiglio Conte poi a … Chiara Ferragni e Fedez!!!!) e la sua teoria siano state accolte dal mondo scientifico, senza dimenticare che, soprattutto la teoria dei 40 giorni, è stata chiaramente demolita non tanto e non solo dai dati ma, soprattutto, dagli eventi.
Sarebbe davvero interessante che qualcuno del governo spiegasse le ragioni del suo inserimento (ma anche di quello di Palù e Greco) nel Cts, peccato che l’esecutivo, negli osanna generali, agisce e non parla, quindi non spiega. In qualche caso, come questo, probabilmente perché non esistono spiegazioni plausibili…