“Non voterò mai un governo che non prende il Mes” sosteneva Renzi che, invece, ne ha votato che non ha neppure nominato il Mes stesso. “Con l’effetto Draghi non è più fondamentale” sostiene Italia Viva citando i dati su spread e tassi decennali. Che, però, dicono ben altro…
Era il 12 gennaio scorso, alla vigilia delle dimissioni delle ministre di Italia Viva Bellanova e Bonetti che di fatto aprivano la crisi di governo, quando, ai microfoni del Tgcom, una stizzita Maria Elena Boschi rispondeva all’ipotesi di un suo ingresso nel governo: “Italia Viva ha chiesto al governo di prendere il Mes, non di prendere Meb. Come al solito i 5 Stelle non leggono fino in fondo o non capiscono, servono i soldi del Mes non poltrone per noi”. Tre giorni dopo il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, in una delle sue innumerevoli apparizioni in tv dichiarava.
“Qual è il punto decisivo per la rottura? Tanti, ma su tutti il Mes”. Per non lasciare dubbi in proposito, qualche giorno dopo l’ex presidente del Consiglio, mentre erano in corso le consultazioni del presidente della Camera Fico, ospite di Lucia Annunziata (Raitre) ribadiva che “non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo con 80 mila morti e che non prende il Mes”. Non solo, aggiungeva anche che “la mancata attivazione del Mes sarà pagata dai dottori, dai ricercatori, dai malati e dalle loro famiglie”.
Da allora sono passati appena una quindicina di giorni e il Mes, così fondamentale, anzi imprescindibile per Italia Viva, è completamente scomparso dal panorama politico, addirittura non viene più neppure nominato. E Matteo Renzi, in completa antitesi rispetto a quanto aveva più volte dichiarato (non che sia una novità), insieme al suo partito nelle ore scorse ha votato la fiducia ad un governo che non solo non prende ma non parla neppure del Mes, non lo nomina per nulla. In molti, in questi giorni, hanno sottolineato quella che appare un’evidente e clamorosa incoerenza, la dimostrazione più evidente che quella di Renzi nei confronti di Conte non era una questione di contenuti politici ma di ben altro tipo.
Per carità, non che la politica italiana non ci abbia abituato anche alle più impensabili “giravolte”. Certo, però, che un così radicale cambio di idea in pochi giorni inevitabilmente lascia perplessi. A far aumentare le perplessità nei giorni scorsi ci ha pensato ancora una volta Maria Elena Boschi che, sempre ai microfoni di Tgcom24, ha dichiarato come se nulla fosse che “abbiamo sempre detto che per noi il Mes non era imprescindibile, abbiamo sempre sostenuto che servivano più soldi alla sanità e il Mes era un modo per ottenerli”.
Naturalmente la Boschi e Italia Viva non potevano certo credere che potesse funzionare il famoso “teorema di Totò”, quello secondo cui bisogna sempre negare, anche di fronte all’evidenza. Così nelle ore successive hanno aggiustato il tiro, trovando una spiegazione alla loro presunta incoerenza all’apparenza più plausibile. Che, superficialmente, suona così: il Mes era indispensabile prima, quando al governo non c’era il migliore, ora che c’è Super Mario non è più così fondamentale.
“Se si possono ottenere più soldi per la sanità con un tasso migliore del Mes è chiaro che non siamo innamorati dei soldi del Mes” ha poi aggiunto la stessa Boschi. “Il nostro Mes è lei, presidente” ha esclamato il capogruppo dei IV al Senato, Davide Faraone, annunciando il voto favorevole del suo gruppo al governo Draghi. L’appiglio di IV, per provare a non dimostrarsi troppo incoerenti, è il cosiddetto “effetto Draghi”, molto più che miracoloso per il nostro paese, sui mercati. Che, sempre secondo Renzi e il suo partito, si è subito visto con il crollo dello spread e il calo del rendimento del Btp a 10 anni che si sono verificati già solo con l’incarico affidato all’ex presidente della Bce.
In altre parole, secondo IV la caduta dello spread innescata dalla fiducia degli investitori in Draghi ha già avuto un effetto concreto sulle nostre tasche, ci ha fatto risparmiare centinaia e centinaia di milioni. E con i rendimenti del Btp in discesa, con Draghi farsi prestare soldi dai mercati costa meno di prima, perché per piazzare i titoli pubblici il Tesoro può permettersi di garantire un premio minore rispetto a poche settimane fa.
Questo significa che in tal modo le condizioni poste dai mercati per prestare denaro all’Italia sono così favorevoli da rendere quasi più conveniente chiedere soldi ai medesimi piuttosto che fare ricorso al prestito pandemico da 37 miliardi a tassi agevolati (il Mes). Ad anticipare (e probabilmente indicare) questa linea ci aveva pensato il 5 febbraio scorso l’europarlamentare di IV Nicola Danti. Che, sulla propria pagina facebook, aveva scritto che il calo dello spread registrato negli ultimi giorni con l’incarico di governo dato a Mario Draghi vale già per il 2021 un risparmio di un miliardo di euro per le casse dello Stato.
Quel post era poi stato condiviso e rilanciato sulla pagina facebook ufficiale di Italia Viva, prima però che “Pagella Politica”, il più autorevole sito italiano che si occupa di debunking delle dichiarazioni dei politici italiani, attribuisse all’esponente di IV per quella dichiarazione la definizione di “pinocchio andante” (che equivale a dire che praticamente è quasi una bufala). “E’ vero che nelle ultime ore lo spread sta calando particolarmente, anche se nel complesso è in discesa da mesi, ma la dichiarazione di Danti è fuorviante. Dà infatti per certo quello che in realtà è un risparmio, per ora, soltanto ipotetico”.
“Pagella Politica” entrava poi nel dettaglio per spiegare, da un punto di vista tecnico, per quale ragione quella dichiarazione è da catalogare come assolutamente non corrispondente al vero. La realtà come al solito è ben differente rispetto alla propaganda. Ed evidenzia come la giustificazione che Italia Viva porta avanti per spiegare la propria “giravolta” sul Mes in concreto poggia sul nulla, se non su un atto ottimistico di fede nei confronti dell’ex presidente della Bce che al momento non ha alcun riscontro concreto e serio.
Neppure il discorso relativo allo spread e ai tassi decennali. Che l’arrivo sulla scena politica di Draghi abbia influito positivamente nella fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia è indiscutibile. Così come che nei giorni del suo incarico lo spread è sceso sotto quota 100 e anche i rendimenti dei Btp sono diminuiti. Ma questo non significa affatto che si possa ora affermare che ci saranno concretamente risparmi per le nostre casse, né tanto meno quantificare gli eventuali risparmi stessi. Bisognerà attendere la fine per verificare se e quanto effettivamente dovrà sborsare in meno lo Stato, se davvero i costi di finanziamento sui mercati resteranno stabili, con la consapevolezza che in questi mesi possono accadere tante cose, in Italia e fuori, che possono cambiare le prospettive.
Per altro nella ricostruzione quasi epica fatta da Renzi e Italia Viva viene gonfiato in maniera evidente e imbarazzante il cosiddetto effetto Draghi che, analizzando seriamente i dati, è molto più contenuto rispetto a quello che si vuol far credere. E, per altro, momentaneamente sembra addirittura aver esaurito i conseguenti benefici. Per dovere di cronaca bisogna infatti ricordare che in realtà lo spread da mesi era in calo, dopo l’impennata che si era verificata in conseguenza dell’esplosione della pandemia.
Solo per ricordare a chi finge di dimenticare, ad agosto 2019, in concomitanza con la crisi del governo Conte 1, lo spread era salito a 240. A fine 2019, con il nuovo governo (il Conte 2) era già sceso a 160, per poi toccare quasi quota 120 in avvio del 2020. Poi è arrivata la pandemia e ha ripreso a correre, arrivando a 320, fino all’intervento della Lagarde e il lancio da parte della Bce del Qe pandemico, il Pepp (Pandemic emergency purchase programme) da 750 miliardi di euro. Che sortisce subito effetti, con lo spread che inizia nuovamente a scendere costantemente nei mesi successivi. Il 2020 si chiude a quota 108, poi l’11 gennaio addirittura arriva a 103, il valore più basso dal dicembre 2015, con i rendimenti del Btp addirittura allo 0,49%.
Gli analisti economici non hanno dubbi, pochi giorni ancora e inevitabilmente scenderà sotto quota 100. Però a quel punto arriva la crisi di governo e, nella situazione di incertezza, inevitabilmente lo spread risale intorno a 120. Poi, è storia di questi giorni, l’incarico di Draghi e la nuova discesa che, come previsto, sfonda la quota 100 fino ad arrivare al valore minimo di 91, anche se i rendimenti del Btp non scendono mai sotto 0,50%.
In altre parole, al netto della retorica propagandistica, l’effetto Draghi non è stato così clamoroso come qualcuno vuole far credere. E, per altro, già da un paio di giorni sembra addirittura essersi esaurito, con spread e rendimenti Btp che sono tornati a salire, al punto che giovedì sera 19 febbraio il primo è tornato ad un passo da quota 100 (98,50 e nel corso della giornata era arrivato a 99,70) mentre il secondo è tornato stabilmente sopra 0,60% (a metà giornata 0,67%).
Ed inevitabilmente, di fronte a questi dati, quell’espressione di Faraone, “il nostro Mes è lei presidente”, appare ancor più surreale di quanto già non fosse…