Il prossimo 15 dicembre nel Regno Unito potrebbe arrivare il via libera al concepimento di figli nati da tre genitori, con il Dna del padre, della madre e di una donatrice. La nuova tecnica di fecondazione può essere utilizzare per la cura di rare malattie genetiche ma rischia di far nascere un mercato di figli concepiti “su misura”
Era il 1973 quando Francesco Guccini lanciava “Opera Buffa”, quello che poi sarebbe diventato uno dei suoi album di maggior successo. Il cantautore bolognese non avrebbe mai potuto immaginare che uno dei pezzi più noti contenuto in quel disco, “Di mamme ce n’è una sola”, probabilmente oggi non avrebbe potuto scriverlo. “Di mamme ce n’è una sola, ma caro figliolo di babbo uno solo non sempre ce n’è” cantava Guccini , riproponendo in musica uno di quegli assunti indiscutibili e incontestabili sin dalla nascita dall’uomo. “Mater semper certa est, pater nunquam” dicevano i latini. Ma ora, per assurdo, la situazione potrebbe per certi versi clamorosamente essere ribaltata. Gli impressionanti progressi della scienza e della genetica hanno, infatti, finito per sconvolgere e mettere in discussione tutto, anche quell’antico assunto.
Giovedì 15 dicembre l’Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), l’organo del ministero della salute inglese che si occupa di fecondazione, potrebbe dare il via libera alla legge, approvata dalla Camera dei Comuni, che autorizza la sperimentazione della cosiddetta “fecondazione in vitro con tre genitori”. Il Regno Unito potrebbe, quindi, diventare il primo paese a permettere esplicitamente la nascita di bambini da embrioni modificati in modo da contenere il Dna di tre persone. In realtà gli specialisti della fertilità stano già offrendo il trattamento nei paesi dove la legge sulle modificazioni degli embrioni è meno severa, come Messico o Ucraina. Però se il 15 dicembre ci sarà l’approvazione dell’HFEA ufficialmente in un paese occidentale sarà permessa e legalizzata la nascita di un bambino con tre genitori perché ha il Dna del padre, quello della madre e quello della donatrice. Volendo semplificare, un bambino che avrebbe un padre e due madri.
Scendendo più nel dettaglio questa nuova tecnica di fecondazione, ideata dall’Università di Bristol, consiste nell’utilizzare lo sperma del futuro padre con il quale si fertilizzano un ovulo della madre e uno della donatrice. Dagli embrioni sviluppatesi si prelevano i pronuclei che contengono il materiale genetico. Quelli provenienti dall’ovulo della donatrice sono eliminati, mentre quelli provenienti dall’ovulo materno sono impiantati nell’embrione della donatrice e questo trasferito nell’utero. In questo modo si sviluppa un embrione con il materiale genetico di tre soggetti: dna nucleare dei genitori e dna mitocondriale della donatrice. La tecnica potrà essere utilizzata per la cura di rare malattie genetiche di origine mitocondriali trasmissibili per parte di madre.
Naturalmente inizialmente, sempre che arrivi il via libera ufficiale, la terapia nel Regno Unito riguarderà solo pochissime coppie il cui percorso verrà seguito passo dopo passo e raccontato alla comunità scientifica. Come sempre in queste circostanze ci si divide nel giudicare questa particolare tecnica di fecondazione artificiale, tra chi esalta l’importante passo avanti e chi grida allo scandalo. Per i primi si tratta di una grande scoperta perché è ritenuta l’unica possibilità esistente per evitare la nascita di bambini affetti da una classe di malattie gravi e incurabili. Per i secondi, invece, si tratta dell’ennesimo scempio alla natura umana, con il rischio che una simile tecnica possa essere utilizzata non solo per evitare certe malattie gravi e incurabili ma anche e soprattutto per progettare figli “su misura”, con certe caratteristiche fisiche prefissate.
E’ chiaro che quest’ultima visione delle cose non può no suscitare una certa inquietudine. E, del resto, non si può neppure essere ipocriti e fingere che si tratti di un’esagerazione perché già da qualche anno, da quando si è iniziato a parlare di questa possibile tecnica, si sono moltiplicate le voci secondo le quali in alcuni paesi al mondo si ricorre ad essa e non solo per motivi legati alla possibile trasmissione di malattie. Di certo c’è che il professor John Zhang del centro per la fertilità di New York sostiene di aver portato avanti questa terapia di sostituzione mitocondriale in Messico (negli Stati Uniti non è ancora consentita) per evitare la sindrome di Leigh che porta all’interruzione dello sviluppo psicomotorio e alla morte entro i due anni. Secondo quanto riferito dallo stesso Zhang il bambino, nato 8 mesi fa, al momento sta bene.
Naturalmente anche nel nostro paese è subito ripartita la polemica da parte delle associazioni integraliste cattoliche che vedono in questa pratica un attacco alla famiglia tradizionale e ai suoi valori. E nel farlo citano anche il famoso precedente, che scatenò furibonde polemiche nel nostro paese,di un bambino nato in Spagna da una coppia di donne, una spagnola che ha partorito e una italiana che ha donato gli ovuli. Le due donne, sposate in Spagna dal 2009, tornate in Italia avevano chiesto all’anagrafe di Torino la trascrizione dell’atto di nascita del bimbo ma il Tribunale di Torino l’aveva negata “perché contrastante con il principio di ordine pubblico in base al quale madre è soltanto colei che ha partorito il bambino”.
Ad inizio 2016, però, la Cassazione ha dato il via libera al riconoscimento sostenendo che deve prevalere l’interesse del minore ad avere entrambi i genitori, in questo caso due mamme, perché, anche se non ci sono norme che regolano questi casi, non c’è alcun “divieto costituzionale” che preclude alle coppie dello stesso sesso “di accogliere e generare figli”. “La regola secondo cui è madre colei che ha partorito, a norma del III comma dell’art.269 c.c., non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che lo ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola” scrive la Cassazione.
E’ chiaro, però, che quanto è sta accadendo nel Regno Unito è una questione differente, non si tratta di affermare (o ovviamente respingere) il presunto diritto di una coppia gay (nel caso di Torino due lesbiche) di avere comunque un bambino e di farlo crescere con due mamme, siamo di fronte ad una tecnica che potrebbe evitare il trasmettersi di determinate gravi malattie genetiche. Il condizionale è d’obbligo perché secondo i genetisti stessi non c’è la certezza che tutto vada nel verso giusto. “Ancora non è una tecnica perfetta – scrive il famoso genetista Shoukhart Mitalipov – esiste il rischio che qualcosa possa andare storto”. Molto più sicuro della riuscita di questa particolare tecnica di fecondazione è, invece, Jihn Zhang , mentre la maggior parte degli esperti sono concordi nel ritenere probabile la riuscita ma al tempo stesso nel mettere sull’avviso coloro che ricorreranno alla terapia del fatto che non ci sono garanzie assolute, almeno per ora, di successo per la salute dei bambini. Vedremo innanzitutto cosa deciderà l’HFEA il prossimo 15 dicembre in proposito, di certo se la sperimentazione andrà avanti siamo di fronte ad un’importante possibile evoluzione. Che, come accade sempre in queste vicende, pone degli interrogativi e sicuramente potrebbe portare a degli eccessi.
E’ infatti indiscutibile che ci sia il rischio di generare, magari in paesi dove il controllo è meno rigoroso, una situazione che sfugga di mano, che vada al di là delle reali motivazioni che sono dietro a questa nuova tecnica, con la nascita di un “ripugnante” mercato di figli progettati “su misura”. Un rischio che, però, non deve certo produrre l’effetto di fermare una sperimentazione che, come sostengono gli esperti, ha bisogno di ulteriori studi clinici per garantire una sicurezza assoluta