Il sindaco Fioravanti e la giunta comunale dimenticano di ricordare e onorare nel giusto modo il 76° anniversario della liberazione del capoluogo piceno, avvenuta grazie all’azione congiunta del Corpo Italiano di Liberazione e dei gruppi partigiani
“Chi dimentica la propria storia passata non ha futuro”. Bisognerebbe ricordare al sindaco Fioravanti e all’amministrazione comunale una delle più note citazioni di papa Francesco. E’ a dir poco paradossale che, proprio negli stessi giorni in cui insieme all’assessore alla pubblica istruzione (Monica Acciarri) ha deciso di aderire al progetto “Il futuro nelle nostre radici”, il primo cittadino rinneghi le più profonde radici del capoluogo piceno. Che sono indissolubilmente legate al 18 giugno, una data che un sindaco e un’amministrazione comunale che davvero amano la propria città dovrebbero festeggiare (o quanto meno ricordare) nel giusto modo.
Per chi ancora non lo sapesse, il 18 giugno è l’anniversario della liberazione di Ascoli dall’occupazione nazista. Un evento che dovrebbe essere ricordato con orgoglio, ancor più in questo periodo nel quale i soliti “topi di fogna”, che ovviamente non hanno neppure il coraggio di mostrare il proprio volto, hanno tentato di offendere la memoria dell’Anpi con scritte offensive che sono apparse nei giorni scorsi in alcuni luoghi della città.
Sarebbe stato un bel segnale da parte del sindaco e dell’amministrazione comunale ricordare questa ricorrenza con maggiore enfasi. Invece neppure una citazione, neppure un cenno, una gravissima e inaccettabile dimenticanza che verrebbe da sperare che sia stata provocata semplicemente da ignoranza (nel senso di mancanza di conoscenza della storia della propria città). Così ancora una volta sarà il comitato provinciale dell’Anpi, insieme alle associazioni antifasciste cittadine, ricordare il 66° anniversario della liberazione del capoluogo piceno con un picchetto (dalle 17 alle 18) con Medagliere e labaro associativo dinanzi alla lapide posta sulla facciata di palazzo San Filippo, in piazza Simonetti.
“Mai come ora è fondamentale ricordare alla cittadinanza la ricorrenza di quel giorno gioioso in cui tutti gli ascolani si riversarono in strada per festeggiare la libertà riconquistata e onorare il sacrificio di tutti coloro che pagarono con la vita il raggiungimento di quel traguardo che ha portato il nostro Paese alla democrazia” ricorda l’Anpi.
Come visto, più che alla cittadinanza bisognerebbe ricordarlo al sindaco e alla giunta comunale. Che magari ignorano o fingono di non ricordare la gloriosa storia del capoluogo piceno all’epoca della resistenza. A partire dal fatto che Ascoli, tra il 18 e il 20 giugno del 1944, non venne liberata dagli eserciti alleati ma grazie all’azione congiunta del CIL (Corpo Italiano di Liberazione) e dei gruppi partigiani. Che entrarono per primi in città insieme al 184° reggimento paracadutisti della Nembo e il 61° battaglione allievi ufficiali bersaglieri.
Stessa cosa accadde a San Benedetto e, alcuni giorni dopo, anche ad Ancona (18 luglio 1944). Niente americani e inglesi, nessun aiuto delle forze alleate, solo partigiani ascolani (e di altre zone del paese) e militari italiani per liberare la città dai nazi-fascisti (mentre ad Ancona insieme al CIL e ai partigiani c’erano i Lancieri di Carpazia del II Corpo d’Armata polacco). Per chi non conosce la storia del nostro paese e, in particolare, della seconda guerra mondiale, il Corpo Italiano di Liberazione era un’unità militare operativa dell’Esercito Cobelligerante Italiano nata dopo l’armistizio dell’8 settembre.
Iniziò ad operare ad inizio del 1944 come corpo d’armata di unità di livello divisionale. La prima divisione venne creata ex novo dall’unione di due brigate di fanteria (tra cui il Primo Raggruppamento Motorizzato) con i relativi supporti, mentre la seconda era la 184^ divisione paracadutisti “Nembo” di stanza in Sardegna e poi riportata sul territorio continentale. Da fine maggio del 1944 il CIL avviò l’offensiva che, con il supporto delle varie brigate partigiane, portò alla liberazione di diverse cittadine del centro sud (Filetto, Canosa, Sannita, Guardiagrele, Orsogna, Bucchianico, Chieti) per poi arrivare anche nelle Marche.
Tornando alle vicende del capoluogo piceno, Ascoli era stata occupata dai tedeschi il 12 settembre 1943, pochissimi giorni dopo l’armistizio. E ha pagato un prezzo carissimo all’occupazione nazi-fascista. Complessivamente nel territorio piceno morirono 162 partigiani ascolani (di Ascoli e provincia), insieme ad altri 110 partigiani di altre località italiane Tra loro c’erano anche, oltre ai civili, numerosi militari e carabinieri. Per altro anche nei giorni e nelle settimane prima della liberazione il territorio piceno era stato teatro di eventi drammatici. Il 16 giugno a Castignano, sotto la grande quercia del bivio per Capradosso, vennero fucilati per rappresaglia (era stato ucciso un soldato tedesco) 4 civili, il giorno precedente a Favalanciata furono uccisi altri due civili dopo che due soldati tedeschi a bordo di un sidecar, senza alcuna motivazione, scaricarono su di loro (e su altri due civili che si salvarono buttandosi nel fiume) delle raffiche di mitra.
Qualche giorno prima, esattamente il 6 giugno, era stata la volta di due giovani ascolani, Francesco Ciotti e Fausto Simonetti. Il primo venne fucilato e lasciato agonizzante sulla strada per Venagrande da un manipolo di fascisti locali, mentre Simonetti fu catturato insieme ad altri due partigiani (uccisi poi anche loro) dai nazifascisti, in seguito ad un’imboscata, e fu prima torturato e poi fucilato, con i suoi aguzzini che lo finirono a colpi di calcio di fucile.
Un mese prima a Porta Romana vennero fucilati dai fascisti due giovanissimi partigiani locali (entrambi 19enni), Marcello Marini e Mario “Modena” Rabitti (lo scorso 1 maggi l’Anpi di Ascoli Piceno ha deposto una corona d’alloro ai piedi del cippo che ricorda il sacrificio dei due ragazzi). Quale che siano le motivazioni, è gravissimo che l’amministrazione comunale neppure si sia ricordata di onorare un simile fondamentale anniversario, è una inaccettabile mancanza di rispetto nei confronti della nostra citta, della sua gloriosa storia e, soprattutto, dei tanti giovani ascolani che hanno perso la vita per restituire la libertà al capoluogo piceno. Che, è bene ricordarlo allo smemorato sindaco, ha ricevuto la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
“La fiera e pacifica città di Ascoli Piceno, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non esitò a sollevarsi contro il tedesco invasore. Già il 12 settembre, il coraggioso comportamento dei militari del presidio aveva costretto alla resa le forze nemiche, superiori in uomini e mezzi, mentre dal 2 al 5 ottobre, al Colle San Marco, un pugno di giovani ardimentosi, male armati ed equipaggiati, si batterono duramente, contro unità germaniche, subendo dolorose perdite. La popolazione ascolana, non desistette dal proseguire la lotta, partecipando a numerosi scontri, come quelli in località Venagrande, Castellano e Vallesenzana, che furono fra i momenti più significativi della sua irriducibile volontà a partecipare direttamente alla liberazione del territorio. Non meno agguerrita fu l’attività dei “gruppi di azione patriottica”, conclusasi con l’ardita liberazione dalle carceri cittadine di tutti i detenuti politici. Ad essa va aggiunta la pericolosa opera svolta a favore di migliaia di prigionieri alleati e di militari sbandati molti dei quali furono condotti in salvo oltre le linee. Numerose furono le perdite umane, le deportazioni e le distruzioni subite dalla città, che fu sempre sorretta dalla fede in una Patria migliore, risorta dalla dittatura fascista”