Secondo i dati dell’Osservatorio statistico consulenti del lavoro, nelle Marche solo un terzo dei lavoratori rientrati al lavoro sono donne, le più penalizzate anche per il blocco delle attività produttive. A conferma che il coronavirus rischia di accentuare il gender gap nel lavoro
Qualche giorno fa, nel corso dell’intervista realizzata per “Percorso Piceno”, avevamo parlato con la storica ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso di come fosse concreto il rischio che uno degli effetti di questa emergenza coronavirus potesse essere un ulteriore allargamento della cosiddetta “diseguaglianza di genere”. Una previsione purtroppo sin troppo semplice da fare che, puntualmente, si è rivelata più che azzeccata. Come conferma l’assessora regionale alle pari opportunità Manuela Bora che, salutando positivamente il via libera da parte del Senato alle misure per il sostegno al lavoro delle donne, ha snocciolato i dati, relativi all’avvio della fase 2, dell’Osservatorio statistico consulenti del lavoro.
Secondo i quali nelle Marche solo un terzo dei lavoratori rientrati al lavoro sono donne. Complessivamente, a fronte di un totale di 396 mila lavoratori attivi, nella nostra regione ne sono tornati a lavoro 167 mila, di cui solo 50 mila donne. Inoltre anche il blocco delle attività produttive ha interessato maggiormente le donne, con una percentuale del 59%.
“Ora è necessario promuovere interventi per ristabilire l’uguaglianza. Nei prossimi giorni si riunirà il tavolo di genere, costituito a fine anno scorso dalla Regione, e valuterà gli effetti della pandemia sul lavoro delle donne” afferma l’assessora Bora. Che poi sottolinea come l’attuale situazione rischi di aggravare la condizione femminile nel lavoro.
“Durante l’emergenza sanitaria – aggiunge l’assessora – le condizioni sono peggiorate, lo smart working, il lavoro di cura e la chiusura delle scuole hanno complicato una situazione già problematica”. In realtà più che “ristabilire l’uguaglianza”, come afferma la Bora, ci sarebbe la necessità di costruire ex novo l’uguaglianza e la parità di genere nella nostra regione. Dove, come d’altra parte evidenzia la stessa assessora, le diseguaglianze di genere sono ancora pesanti, sua sul fronte degli inquadramenti professionali, sia per la carriera che per le retribuzioni (in media le lavoratrici marchigiane percepiscono oltre 7 mila euro lordi in meno rispetto agli uomini).
Ovviamente il problema non riguarda certo solo le Marche, ma tutto il nostro paese. Dove le conseguenze della pandemia inevitabilmente non potranno che aggravare una situazione già poco edificante presente da prima dell’emergenza coronavirus. Fotografata in maniera sin troppo eloquente e imbarazzante dall’ultimo rapporto (fine 2019) sul Global Gender Gap (il divario di genere) stilato dal World Economic Forum sulla base di una serie di indicatori rilevati dalle Agenzie dell’Onu e della Commissione europea.
Secondo quel rapporto l’Italia, su 153 paesi, è scivolata al 76° posto (dal 70° dell’anno precedente), addirittura dietro a Burundi, Mozambico e Uganda (e di gran lunga dietro a tutti i principali paesi europei). Ed è significativo il fatto che, nelle 4 grandi aree di riferimento dell’indagine, l’Italia ha le situazioni peggiori per quanto riguarda l’area politica (il potere politico femminile nel nostro paese è sotto il 40%) e soprattutto nell’area economica.
Nella quale l’Italia è ben oltre la centesima posizione, in particolare per due dati: il tasso di occupazione femminile nel nostro paese e le clamorose differenze salariali. Per quanto concerne il primo, se si prendono in considerazione le donne tra i 15 e i 64 anni risulta impiegato il 56,2% contro il 68,3% nella Ue. Ma se si prendono in considerazione le donne occupate in età da lavoro la percentuale precipita addirittura sotto il 50% (49,5% per l’esattezza), con solamente la Grecia che ha dati peggiori. Ancora, in Italia il gap di differenza tra uomini e donne nel mondo del lavoro è di quasi il 19%, il peggiore dopo Malta.
Secondo i dati Svimez, poi, in alcune regioni del meridione (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria) siamo addirittura sotto il 30%. Per non parlare, poi, se le donne hanno figli. In Italia oltre l’11% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato, un dato che è quasi tre volte superiore rispetto alla media della Ue (3,7%). Quanto alle differenze salariali la sproporzione tra uomo e donna nel nostra paese c’è a partire dal basso fino ad arrivare ai massimi livelli.
In media le donne, a parità di livello, guadagnano l’11% in meno rispetto agli uomini, con il gap che si amplia fino al 17% nel settore privato. E che assume proporzioni imbarazzanti salendo di livello, fino al caso delle laureate che in media in Italia hanno retribuzioni inferiori di un terzo rispetto agli uomini. “La mia paghetta è più bassa di quella del mio compagno di banco” “Dopo la laurea mi hanno assunto subito e guadagno meno del mio compagno di corso”. “Finalmente sono ai vertici dell’azienda, prendo sempre meno del mio collega” recitavano alcuni spot della campagna pubblicità progresso #nopaygap che abbiamo visto nei mesi schermi sugli schermi tv.
Slogan piacevoli ma amarissimi e, soprattutto, emblematici della situazione che si vive in Italia. “Negli ultimi 20 anni numerosi studi, inclusi quelli prodotti in Banca d’Italia hanno messo in luce i molteplici benefici che derivano da una maggiore presenza e una più piena valorizzazione del contributo delle donne nell’economia e nella società” ha dichiarato, commentando i risultati del Global Gender Gap, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.
Che, però, ha poi amaramente aggiunto: “in Italia il raggiungimento della parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontano”. E la sensazione, confermata dai primi dati parziali che arrivano dalle Marche, è che l’emergenza coronavirus abbia allontanato ulteriormente il traguardo della parità di genere nel lavoro…