Il responsabile dell’Unità di crisi annuncia la prossima chiusura dell’ospedale in Fiera, l’ennesimo costosissimo flop della sanità lombarda. Travolta anche dallo scandalo della delibera regionale che prevede meno scorte agli ospedali e più soldi ai manager
Ma cosa ancora deve succedere e deve venire fuori perché la Regione Lombardia venga commissariata (almeno per quanto riguarda la gestione della sanità)? Nei giorni più drammatici dell’emergenza coronavirus migliaia di cittadini avevano sottoscritto una petizione che chiedeva proprio il commissariamento. Era il momento in cui stavano emergendo inquietanti responsabilità, la strage nelle Rsa lombarde (provocata anche da una sconcertante delibera della Regione Lombardia), l’intreccio tra la Regione stessa e Confindustria Lombardia (che ha candidamente ammesso di aver fatto pressione ed ottenuto che non venisse subito dichiarata zona rossa l’area del Bergamasco dove poi si sono verificati tutti quei decessi).
E mentre il governatore Fontana e il resto della giunta cercavano disperatamente di scaricare le responsabilità del disastro sul governo, l’ordine dei medici lombardo, i sindacati, l’Uneba, i sindaci dei principali Comuni accusavano duramente la Regione, elencando tutti gli errori commessi nella gestione dell’emergenza (un elenco quasi interminabile). Ora, mentre la Lombardia con i suoi dati e la sua situazione è un evidente peso per il resto del paese, anche perché è comprensibile che Conte e il governo non abbiano il coraggio di porre limiti e restrizioni differenti in quella regione (provate solo ad immaginare politicamente che gazzarra si scatenerebbe…), emergono nuove inquietanti fatti.
Nelle stesse ore in cui quel manicomio chiamato Italia è preso dal caso Silvia Romano (la ragazza milanese liberata dopo 18 mesi di prigionia e incredibilmente diventata il bersaglio del “peggio del peggio” del paese), emerge come l’ospedale alla Fiera di Milano (quello del nuovo miracolo italiano targato Fontana-Bertolaso), poco o per nulla utilizzato, è già sul punto di chiudere. E, grazie ad un’inchiesta dell’Espresso, si è scoperto anche che l’insufficienza di scorte nei laboratori degli ospedali regionali è stata provocata da una delibera che ha tagliato i fondi per aumentare gli incentivi economici ai direttori generali.
Naturalmente la vicenda che fa più rumore è quella dell’ospedale in Fiera anche e soprattutto per la “stomachevole” enfasi propagandistica con la quale era stato presentato. In qualche modo, almeno nelle intenzioni dei governanti lombardi, doveva rappresentare il riscatto della sanità lombarda, dall’inizio dell’emergenza coronavirus sprofondata da modello di efficienza ad emblema del peggiore e più pesante fallimento.
Secondo i “pomposi” annunci iniziali, quando il governatore Fontana e l’assessore alla salute Gallera si erano giocati la carta Bertolaso (una garanzia di fallimento verrebbe da dire, visto i precedenti…), avrebbe dovuto essere realizzato nel tempo record di 7 giorni, con una dotazione di nuovi 500 posti letto di terapia intensiva. “Avremo a disposizione 500 posti letto di terapia intensiva pronti in 6-7 giorni” aveva dichiarato lo stesso Fontana il 12 marzo presentando Bertolaso.
Poi, giorno dopo giorno, da un lato si allungavano i tempi di realizzazione e dall’altro si riducevano i posti letto, scesi prima a 400 poi a 200. Poi il 31 marzo, in fretta e furia visto che già erano trascorsi 20 giorni, l’inaugurazione in pompa magna, per altro con tanto di maxi assembramento di giornalisti, politici e dirigenti vari, di una struttura che, però, non era ancora pronta ad accogliere neppure un paziente. In quell’occasione la scoperta che dal 5 aprile (giorno in cui l’ospedale sarebbe stato pronto ad accogliere il primo paziente) in realtà i posti concretamente disponibili sarebbero stati solamente 24, per passare poi a 53 nel momento del completamente del primo blocco.
In altre parole la classica montagna che ha partorito il topolino. Per altro è proprio il caso di dire che si tratta di un topolino costosissimo, visto che tutta l’operazione è costata circa 26 milioni di euro. Che, per i 25 pazienti ricoverati dalla sua apertura ad oggi, determina la “modica” cifra di 1 milione di euro a paziente. E nelle ore scorse dal professor Pesenti, primario di Anestesia e rianimazione del Policlinico di Milano e responsabile dell’Unità di crisi della Regione Lombardia per le terapie intensive, l’annuncio che la struttura è giunta già al capolinea.
“A breve chiuderemo le attività della fiera – ha affermato – e per breve intendo entro un paio di settimane. Il futuro della Fiera dipende da cosa prevedrà il decreto che sta preparando il governo, se corrisponderà ai requisiti richiesti resterà in piedi altrimenti la struttura verrà chiusa e smantellata”. In altre parole una “figuraccia”, un fallimento imbarazzante, l’ennesimo collezionato dalla coppia Fontana-Gallera (per non parlare di Bertolaso…).
Per la verità ampiamente previsto, almeno in determinati ambienti. Emblematico, a tal proposito, il commento dell’esperto mondiale di terapie intensive e rianimazioni Luciano Gattinoni: “Cosa penso dell’ospedale? Quel che pensava Fantozzi della Corazzata Potemkin… Quella struttura non è medicina, è politica. Le do un titolo: è la Fiera della medicina o la Fiera delle vanità?”.
Intanto, solo un paio di giorni prima, un’inchiesta dell’Espresso firmata da Fabrizio Gatti ha fatto emergere un particolare di assoluta rilevanza in relazione al disastro sanitario in Lombardia. E’, infatti, emerso che le strutture sanitarie lombarde all’inizio dell’emergenza non avevano sufficienti scorte sanitarie perché una delibera della giunta regionale di fatto aveva favorito e incentivato il taglio delle spese per le scorte stesse.
La delibera è la XI/1681 del 27 maggio 2019 (“Determinazioni in ordine al sistema di valutazione dei direttori generali delle Agenzie tutela della salute, delle Aziende socio-sanitarie territoriali e dell’Azienda regionale emergenza urgenza e alla corresponsione del relativo incentivo economico”), proposta dall’assessore Gallera e approvata da tutta la giunta regionale, e prevede incentivi economici ai manager della sanità lombarda legati al taglio delle scorte negli ospedali.
In altre parole, la Regione ha spinto i propri dirigenti sanitari a tagliare con consistenti incentivi economici. Non solo, ha fissato tra gli obiettivi da raggiungere quello di “tenere sotto controllo le richieste di ordinativi da parte dei laboratori”. In pratica il taglio di centinaia di migliaia di euro ai laboratori degli ospedali lombardi. Potrà sembrare un po’ retorico e anche vagamente demagogico, ma in sostanza la Regione ha utilizzato i soldi dei cittadini lombardi non per rafforzare il sistema sanitario ma per pagare e incentivare i dirigenti sanitari ad indebolirlo, tagliando scorte e dispositivi sanitari.
Una scelta politica, ha provato a giustificare qualcuno. Probabile, ma, alla luce dei risultati che ha prodotto, chi l’ha decisa dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa e farsi, il più rapidamente possibile, da parte. Sappiamo perfettamente che non lo farà mai, così come non abbiamo dubbi che, visto il livello di scontro politico attuale nel nostro paese, il governo non troverà mai la forza e il coraggio di commissariare la Lombardia e mettere i responsabili di questo disastro in condizione di non nuocere ulteriormente.