Festa del 25 aprile guastata dai soliti ignoranti che non conoscono la storia del nostro Paese e negano il valore e l’importanza della Resistenza. Ma proprio la storia del capoluogo piceno è la più emblematica dimostrazione del contrario…
E’ stato un 25 aprile decisamente differente, sicuramente unico e storico, per la prima volta (e ovviamente speriamo che sia anche l’ultima) in quarantena. Neppure l’emergenza coronavirus, però, ha impedito ai “veri” italiani (e sottolineiamo con forza quell’aggettivo) di festeggiare la ricorrenza più importante della storia della nostra Repubblica, istituita con legge n. 260 del maggio 1949, presentata e proposta un anno prima (settembre 1948) in Senato da Alcide De Gasperi.
Un particolare, quest’ultimo, che vale la pena di evidenziare a beneficio di tutti quei trogloditi e ignoranti che ancora oggi adducono, come improbabile giustificazione per non onorare nella maniera dovuta la festa della Liberazione, il fatto che sia una festa divisiva, di una sola parte politica. In realtà basterebbe conoscere anche un minimo la storia del nostro Paese per sapere che la Resistenza in Italia fu caratterizzata dall’impegno unitario di molteplici orientamenti politici.
Tra gli oltre 350 mila partigiani italiani (senza considerare le migliaia di famiglie e cittadini che in un modo o nell’altro hanno supportato e aiutato i partigiani stessi) e nel conseguente Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) c’erano comunisti, azionisti, monarchici, democristiani, socialisti, liberali, repubblicani, anarchici. Sicuramente, invece, la Liberazione è a tutti gli effetti una ricorrenza divisiva, esattamente come divisiva è la ricorrenza del 21 marzo (la giornata della memoria e dell’impegno contro le mafie) e quella del 9 maggio (il giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo, sia rosso che nero).
Tutte e tre, infatti, dividono chi ha lottato e lotta per la libertà come valore più alto e più assoluto da chi ha lottato per instaurare o difendere una forma di oppressione, macchiandosi per giunta dei peggiori crimini e delle peggiori nefandezze nei confronti di inermi civili (fascisti, mafiosi e terroristi).
Ci sarebbero tantissime cose da aggiungere ma sarebbe tempo perso e soprattutto, come scrive giustamente Fabio Salamida, “cosa ce ne dovrebbe fregare di cosa pensano i fascisti e la nipote del duce della festa della Liberazione?”. E’, invece, importante soffermarsi su quello che, a nostro avviso, è l’aspetto più importante che è emerso da questa giornata e che riguarda da vicino proprio il nostro capoluogo e, più, in generale, il nostro territorio.
Una delle tradizionali “idiozie” che i “rosiconi” fascistoidi utilizzano da sempre per cercare di screditare il 25 aprile è che la Resistenza, i partigiani non hanno avuto alcun ruolo nella Liberazione del nostro paese dai nazi-fascisti, merito esclusivo degli Alleati (truppe anglo-americane). Ora provare a parlare di storia con chi vanta tra le sue principali fonti storiografiche Povia, Fusaro e Veneziani (in ordine di credibilità) sarebbe un’inutile perdita di tempo (come recita un famoso detto popolare “a lavare la testa al somaro si perde il ranno e il sapone”).
Però, visto che tra coloro che hanno condiviso questa colossale baggianata ci sono numerosi nostri concittadini, tra cui molti di quelli che tutto l’anno si riempiono la bocca con il presunto amore smisurato per la propria città, che sventolano i vessilli di Ascoli allo stadio o in ogni circostanza utile, è utile ricordare a questi signori le vicende del capoluogo piceno nel corso della seconda guerra, come è avvenuta la liberazione di Ascoli e di gran parte del territorio provinciale. Che, per altro, sono la più evidente ed emblematica dimostrazione di quanto falsa sia quel genere di ricostruzione. E di come prima di esporsi a simili brutte figure sarebbe meglio informarsi e studiare.
Si perché il capoluogo piceno venne liberato, tra il 18 e il 20 giugno 1944, grazie all’azione congiunta del CIL (Corpo Italiano di Liberazione) e dei gruppi partigiani. Che entrarono per primi in città insieme al 184° reggimento paracadutisti della Nembo e il 61° battaglione allievi ufficiali bersaglieri. Stessa cosa accadde a San Benedetto e, alcuni giorni dopo, anche ad Ancona (18 luglio 1944). Niente americani e inglesi, nessun aiuto delle forze alleate, solo partigiani ascolani e militari italiani per liberare la città dai nazi-fascisti (mentre ad Ancona insieme al CIL e ai partigiani c’erano i Lancieri di Carpazia del II Corpo d’Armata polacco).
Per chi non conosce (e a giudicare da quei post sono la maggior parte) la storia del nostro paese e, in particolare, della seconda guerra mondiale, il Corpo Italiano di Liberazione era un’unità militare operativa dell’Esercito Cobelligerante Italiano nato dopo l’armistizio dell’8 settembre. Iniziò ad operare ad inizio del 1944 come corpo d’armata di unità di livello divisionale. La prima divisione venne creata ex novo dall’unione di due brigate di fanteria (tra cui il Primo Raggruppamento Motorizzato) con i relativi supporti, mentre la seconda era la 184^ divisione paracadutisti “Nembo” di stanza in Sardegna e poi riportata sul territorio continentale.
Da fine maggio del 1994 il CIL avviò l’offensiva che, con il supporto delle varie brigate partigiane, portò alla liberazione di diverse cittadine del centro sud (Filetto, Canosa, Sannita, Guardiagrele, Orsogna, Bucchianico, Chieti) per poi arrivare anche nelle Marche. Tornando alle vicende del capoluogo piceno, Ascoli venne occupata dai tedeschi il 12 settembre 1943, pochissimi giorni dopo l’armistizio.
In quei giorni in città erano di stanza diverse forze militari: alla caserma Umberto I c’erano due compagnie di un battaglione di fanteria (circa 140 militari), alla caserma Vecchi c’era una compagnia distrettuale di 120 uomini, mentre alle Casermette c’erano gli avieri per un totale di oltre mille uomini. Ci furono diversi scontri a fuoco, il più cruento nella zona delle casermette funzionali a San Filippo dove i tedeschi trovarono ad accoglierli gli avieri allineati a difesa dell’ingresso della strada e sul cavalcavia della ferrovia, con anche numerosi cittadini ascolani armati e appostati tra le case e sopra i tetti.
Lo scontro provocò decine di morti e feriti da ambo le parti. In seguito a quegli avvenimenti molti di quei soldati italiani, abbandonate le loro caserme, salirono a Colle San Marco dove poi si radunarono numerosi civili, portando armi e munizioni recuperate nelle caserme abbandonate. E’ qui che si organizzò una banda partigiana costituita da civili, militari in fuga, ex prigionieri alleati scappati dai campi di concentramento, mentre anche in città si costituì un comitato cittadino che raccoglieva cibo, coperte e vestiario da portare ai partigiani a San Marco.
La battaglia più cruenta si svolse dall’alba del 3 ottobre fino a sera quando tutte le sacche di resistenza furono annientate. In quello scontro morirono 14 partigiani, in seguito ai rastrellamenti dei giorni successivi (nei quali i nazisti furono aiutati e guidati da fascisti locali) ne furono fucilati altri 12. Nelle settimane successive i partigiani ascolani si riorganizzarono in piccoli gruppi che si stabilirono sulle alture che circondavano la città, mentre altri presero la strada di montagna.
Altri nuclei armati si costituirono nella zona pedemontana dei Sibillini da Acquasanta ad Amandola e lungo la linea Adriatica da Porto d’Ascoli e Porto Sant’Elpidio. Nel marzo del 1944, poi, aiutati dai fascisti locali, i nazisti diedero il via ad una vasta azione di rastrellamenti che portarono ai tragici fatti di Rovetino, Pozza e Umito e, successivamente, Montemonaco dove furono barbaramente uccisi anche diversi civili inermi.
Come detto, poi, nel giugno dello stesso anno la liberazione della città ad opera del CIL e dei gruppi partigiani. In meno di un anno di lotta il tributo di vite fu comunque notevole. Complessivamente morirono 162 partigiani ascolani (di Ascoli e provincia) mentre altri 110 partigiani di altre località italiane persero la vita nel territorio ascolano. Tra loro c’erano anche, oltre ai civili, numerosi militari e carabinieri.
Questa è la storia della nostra città, della sua lotta di liberazione dai nazi-fascisti (che è valsa al capoluogo piceno la Medaglia d’Oro al Valore Militare), di cui ogni vero ascolano non può che esserne orgoglioso. Chi, per ignoranza o per ottusità, la disconosce e non ne va fiero evidentemente non ha a cuore la sua città e non ha alcun senso del rispetto per la propria comunità che ha pagato un prezzo così alto di sangue, anche per poter garantire la massima libertà a soggetti che in realtà non la meriterebbero…