La trave e la pagliuzza


Lo scontro tra il premier e i due leader dell’opposizione ci ha distolto da uno dei fatti rilevanti di questa vicenda: l’ennesimo fallimento del giornalismo italiano. Che, ancora una volta, non si è assunto la responsabilità di adempiere al proprio compito, cioè raccontare i fatti

Lo scontro tra le opposte fazioni che si protrae da ore sui social, dopo un venerdì santo caratterizzato prima dalla raffica di accuse dei due leader dell’opposizione, poi dalla dura replica del premier, ha fatto passare in secondo piano uno dei fatti più rilevanti della giornata: l’ennesimo triste fallimento del giornalismo italiano. Da tempo si discute, ovviamente non solo in Italia, di come l’esplosione dei social abbia messo in crisi il giornalismo tradizionale. Un processo probabilmente inevitabile ma che nel nostro Paese è stato inesorabilmente accelerato e accentuato da due fattori strettamente legati tra loro.

Il primo è che, tranne pochissime eccezioni, gran parte dell’informazione italiana, invece di provare a distinguersi in maniera marcata dal mondo dei social, trova molto più semplice seguirne l’onda emotiva. Il secondo è che ormai da tempo si è persa la consapevolezza della distinzione tra fatti ed opinioni e con essa anche quello che dovrebbe essere il compito primario di ogni giornalista, cioè raccontare principalmente i fatti.

A tutto ciò si aggiunge poi quella insopportabile “spocchia” di quanti si ritengono depositari del “verbo” (giornalisticamente parlando), che neppure troppo velatamente si autocelebrano come perfetti modelli del vero e corretto modo di fare giornalismo ma che, ogni volta che qualcuno volontariamente o meno evidenzia le loro pecche, reagiscono in maniera veemente e, spesso, sin troppo sguaiata.

Facendo un breve e conciso riassunto dei fatti delle ultime ore, giovedì sera (9 aprile) il ministro dell’economia Gualtieri ha annunciato che il vertice dei ministri delle finanze aveva raggiunto un’intesa sulle conclusioni da presentare ai leaders europei che, poi, nel prossimo Consiglio europeo avranno il compito di prendere in concreto e ratificare gli interventi da mettere in campo per far fronte alle conseguenze provocate dall’emergenza coronavirus.

Nemmeno qualche ora dopo quell’annuncio è subito partito il durissimo fuoco incrociato di Salvini e Meloni (e dei rispettivi apparati di comunicazione sui social) contro il governo, in un crescendo di accuse sempre più veementi. Nella serata di venerdì, poi, nel corso della conferenza stampa nella quale ha annunciato il prolungamento delle misure restrittive fino al 3 maggio, il presidente del Consiglio Conte ha altrettanto duramente replicato alle accuse dei leader dell’opposizione.

Il concetto che dovrebbe essere chiaro a tutto è che i rappresentanti delle opposizioni hanno ovviamente tutto il diritto di esprimere, anche in forma veemente, il proprio dissenso nei confronti delle politiche e delle scelte del governo. Ma non hanno certo il diritto di raccontare bugie. Lasciamo perdere il senso comune e l’unità di intenti che sarebbero necessari in questo periodo così difficile per l’Italia, è inutile continuare a parlarne, in un Paese ormai così lacerato come il nostro sperare che il “bene comune” prevalga sugli interessi politici di parte è semplicemente un’utopia.

Il nocciolo della questione è che, sarebbe molto meglio se non lo facessero, ma i rappresentanti delle opposizioni possono anche mischiare fatti e opinioni, stravolgendo a proprio vantaggio i primi per poter esprimere con più forza le seconde. Ma un giornalismo serio e consapevole del proprio fondamentale ruolo dovrebbe invece avere la forza e il coraggio di separare le due cose e di non transigere in alcun modo sui primi, sui fatti.

In concreto, tornando a quanto sta accadendo, Salvini e Meloni hanno pienamente diritto di criticare sempre e comunque l’operato del governo, anche se quell’intesa tra ministri avesse accolto tutte le richieste dell’Italia (in altre parole anche se avesse definitivamente tolto il Mes e avesse invece messo sul tavolo gli Eurobond), i due leader dell’opposizione erano comunque autorizzati a sostenere che quell’intesa fosse negativa e penalizzante per il Paese, che il governo non era stato in grado di farsi valere (poi, ovviamente, ognuno poteva trarre le conclusioni che voleva).

Ben altra cosa, però, è accusare il governo e il premier di cose non vere, cioè (per sintetizzare) che in quella riunione l’Italia ha ratificato il Mes (dopo che Conte aveva più volte ribadito il suo no al Mes stesso) o, peggio ancora, che Conte e il governo hanno chiesto l’attivazione del Mes. Un sistema dell’informazione serio e cosciente del proprio ruolo (e della straordinaria importanza del proprio ruolo) in quelle ore avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di raccontare con serietà i fatti. E, quindi, da un lato di evidenziare la posizione e le contestazioni delle opposizioni ma dall’altro anche di dire chiaramente e senza esitazioni come stanno realmente le cose.

Anzi, a nostro avviso era un preciso dovere dell’informazione spiegare ai cittadini quello che era accaduto, evidenziando che (come chiunque conosce un minimo la materia sa perfettamente) l’Italia non ha in alcun modo chiesto l’attivazione del Mes e tanto meno in quella riunione l’ha ratificato. Per il semplice fatto, tra l’altro, che il Mes è stato ratificato nel 2012. Per essere più precisi, il Consiglio Europeo in cui si definirono i contenuti del Mes si svolse il 25 marzo 2011 e l’Italia era rappresentata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Fu poi il Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011 ad approvare “il disegno di legge per la ratifica della decisione del Consiglio Europeo 2011/11/Ue che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento della Ue relativamente a un meccanismo di stabilità (appunto il Mes) nei Paesi in cui la moneta è l’euro”. A quel Consiglio dei Ministri, presieduto dal premier Berlusconi, parteciparono anche Giorgia Meloni (ministra per la gioventù) e tutti i ministri leghisti, tra cui anche Bossi (ministro per le riforme), senza che nessuno di loro sollevasse obiezioni e dichiarasse la propria contrarietà. Poi la legge approvata dal Consiglio dei Ministri fu ratificata dal Parlamento nel 2012, con Monti presidente del Consiglio, con la Lega che votò contro e la Meloni che non partecipò al voto.

Questo avrebbe dovuto fare un’informazione non solo corretta ma che è capace di adempiere al proprio ruolo. Non si tratta di essere schierati (legittimamente) da una parte o dall’altra, è semplicemente il compito principale e fondamentale del giornalismo, raccontare senza omissioni i fatti. Ed è tristissimo che quello che non è stato in grado di fare l’informazione italiana (non siamo mai stati fans di Travaglio ma in questo caso l’unico quotidiano che ha raccontato seriamente i fatti è stato proprio “Il Fatto Quotidiano”) l’abbia fatto poi, in serata, il premier Conte.

Non abbiamo la sfera di cristallo e non siamo ovviamente in grado di poter dire che, se l’informazione avesse correttamente svolto il proprio compito, di certo il presidente del Consiglio avrebbe evitato di farlo in quella conferenza stampa. E in linea di principio possiamo anche essere d’accordo che sarebbe meglio che un premier non utilizzi uno spazio come quello per controbattere alle accuse (false) dell’opposizione.

Però porre in maniera ossessiva l’attenzione su questo aspetto, invece di evidenziare nel giusto modo tutto il resto (le bugie dell’opposizione, il fallimento del giornalismo) è semplicemente ridicolo, siamo al solito discorso della trave e della pagliuzza. Ma l’aspetto peggiore di tutta la vicenda è la reazione stizzita, tipica del bambino colto dalla mamma “con le mani nella marmellata”, di alcuni giornalisti. Che di certo, dopo le dure parole di Conte, hanno compreso che il presidente del Consiglio (forse sbagliando nella forma ma non nella sostanza) aveva fatto quello che avrebbero dovuto fare loro, cioè raccontare i fatti.

Ed essendo allergici a qualsiasi forma di autocritica, hanno replicato con il tipico risentimento di chi si sente “intoccabile”. Così l’indispettito Mentana ha accusato il premier di “aver fatto un uso personalistico della conferenza stampa” (30 secondi, forse meno, di una conferenza stampa durata oltre mezzora Conte le ha dedicate a smentire Salvini e Meloni), mentre peggio ancora ha fatto il direttore di Sky Tg24 (Giuseppe De Bellis) che ha sottolineato come il premier abbia commesso “un errore enorme, come quello di dire che uno dei due (Giorgia Meloni) era al governo quando il Mes fu approvato dal Parlamento nel 2012”.

Peccato per lui, però, che in realtà il presidente del Consiglio ha testualmente dichiarato: “mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni: il Mes esiste dal 2012, non è stato attivato la scorsa notte come falsamente e irresponsabilmente è stato dichiarato dai leader dell’opposizione”. Naturalmente anche in questo caso De Lellis si è guardato bene dal fare il “giornalista”, cioè dal raccontare con esattezza la storia del Mes per come realmente si sono svolti i fatti (sopra descritti).

In Italia, che pure ha cose belle, manca la professionalità  – scriveva il giornalista e scrittore Tiziano Terzani – manca il rispetto per la notizia, manca ogni tipo di punizione non per chi sbaglia, ma per chi sbaglia per cialtroneria, per chi non tiene assolutamente conto dei diritti del lettore a essere informato correttamente. Il nostro è un grande mestiere, di straordinaria importanza, paragonabile a quello di un medico. Anche chi scrive può influire sulla vita di una persona: la vita si può togliere in tante maniere”.

I fatti di questi giorni ci stanno dimostrando che probabilmente abbiamo una più che discreta classe medica. Purtroppo stessa cosa non si può dire della categoria dei giornalisti…

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