In base alle disposizioni del governo, sono esentate dalla sospensione solo le attività indispensabili. Invece nello stabilimento che realizza gli F-35 è ripresa la produzione. L’ennesimo inaccettabile favore all’industria militare, a meno che non siamo prossimi ad una guerra…
Comprensibilmente preoccupati e distratti dall’emergenza coronavirus, non ci siamo resi conto che l’Italia si sta preparando alla guerra, probabilmente da intraprendere ad epidemia terminata. Difficile al momento capire contro chi, magari contro la Germania e l’Olanda che in Europa si oppongono alla richiesta di aiuti più consistenti provenienti dal nostro e da altri paesi. Oppure contro la Cina, per punirla per aver diffuso nel mondo il virus, o magari a sorpresa contro qualche altra nazione che non immaginiamo. Quel che sembra certo, però, è che ci prepariamo ad andare in guerra.
Perché altrimenti non si spiegherebbe per quale maledetta ragione, con tutte le fabbriche chiuse ad eccezione di quelle che producono beni ritenuti essenziali, l’industria militare che produce armi continui tranquillamente a lavorare. In particolare nei giorni scorsi sono tornati a lavorare nello stabilimento di Cameri (provincia di Novara) 200 operai della Leonardo, l’azienda che progetta e realizza i famosi cacciabombardieri F-35. Il governo è stato chiarissimo e lo ha ribadito più volte, vengono esentate dalla chiusura solo le attività indispensabili.
Quindi, secondo logica, se l’industria militare continua a lavorare allora evidentemente siano prossimi ad una guerra. Ironia a parte, la realtà triste e decisamente imbarazzante è che ancora una volta l’industria delle armi ha avuto incomprensibili e inaccettabili privilegi e anche questo governo si è dimostrato debole, quasi succube nei loro confronti. Eppure il 25 marzo scorso, in un incontro con i sindacati, il governo si era impegnato “a diminuire la produzione nel settore militare, salvaguardando solo le attività indispensabili”.
Tra le quali, di certo, non può esserci la realizzazione dei cacciabombardieri che può essere ritenuta tale solo nel caso in cui è alle porte un qualche evento bellico che coinvolge il nostro paese. Il problema è che il giorno successivo a quell’incontro il governo, con un gesto di incomprensibile debolezza, di fatto ha lasciato libere le aziende del settore di scegliere.
In una lettera inviata dal ministro della difesa Guerini e dal ministro dello sviluppo economico Patuanelli alla Federazione delle Aziende italiane per l’aerospazio si invita “in uno spirito di collaborazione e leale cooperazione a considerare l’opportunità che le società e le aziende federate all’interno di Aiad, nel proseguire la propria attività, possano concentrare l’operatività sulle linee produttive ritenute maggiormente essenziali e strategiche e, di contro, rallentare per quanto possibile l’attività produttiva e commerciale con riferimento a tutto ciò che non sia ritenuto, del pari, analogamente essenziale“.
Superfluo sottolineare come ad altri settori non sia stata data questa opportunità, si è imposta (giustamente) la sospensione delle attività. Tra l’altro i due ministri e anche i vertici dell’Aiad (il presidente onorario Alessandro Profumo, ex presidente del Monte dei Paschi di Siena, e il presidente Guido Crosetto, coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia) dovrebbe spiegarci, se sono in grado di farlo, cosa mai di essenziale e strategico ci possa mai essere nella produzione di F-35 in questo periodo (ammesso che ci sia un periodo in cui possa essere essenziale produrre F-35…). Durissimo, e pienamente condivisibile, il comunicato di Rete italiana per il Disarmo e Rete della pace.
“Nonostante le richieste di questi ultimi giorni delle nostre campagne e reti, da associazioni della società civile – scrivono – il gruppo Leonardo ha deciso, sfruttando il consenso preventivo e in bianco ottenuto dal governo, di riaprire lo stabilimento di assemblaggio e certificazione finale in provincia di Novara con circa 200 operai presenti. E’ inaccettabile che sia stata prese la decisione di continuare le attività industriali relative ad un cacciabombardiere d’attacco che può trasportare ordigni nucleari: non è certo una produzione essenziale e strategica per il nostro paese, in particolare in questo momento di crisi sanitaria”.
Nel comunicato viene, poi, demolita l’improbabile giustificazione fornita dall’azienda, quello che viene cambiato il cosiddetto “ricatto occupazionale”. “Leonardo – si legge ancora nel comunicato – fornisce come motivazione il rischio che si possano perdere commesse e posti di lavoro. Giustificazioni risibili e poco realistiche: le commesse in corso sarebbero solo sospese ed inoltre con tutto il mondo fermo per coronavirus è difficile ipotizzare che si realizzano fantomatiche cancellazioni motivate da semplice ritardo. Ne deriva dunque anche la falsa motivazione legata alla perdita di posti di lavoro che invece è il solito stratagemma del ricatto occupazionale da sempre utilizzato dall’industria militare.
E comunque si tratterebbe dello stesso rischio che stanno vivendo migliaia di imprese e milioni di lavoratori e professionisti che sono a casa seguendo correttamente le indicazioni di distanziamento sociale del governo. Mentre il paese avrebbe bisogno di mascherine, ventilatori, professionalità e materiale sanitario si rischia di far ammalare i lavoratori per un cacciabombardiere. Una scelta sbagliata e inaccettabile”.
Nel comunicato viene, poi, sottolineato come con i miliardi (almeno 10 secondo le due associazioni) spesi per gli F-35 nei prossimi anni si potrebbero fare cose decisamente più utili: 100 elicotteri per l’elisoccorso in dotazione ai principali ospedali, 30 canadair per spegnere gli incendi durante l’estate, 5 mila scuole in sicurezza a partire dalla zone sismiche, 1000 asili nido pubblici per 30 mila bambini, 10 mila posti di lavoro per poter assistere familiari nel settore della non autosufficienza.
Un esempio che, in qualche modo, anticipa quella che dovrebbe essere una riflessione che necessariamente andrà fatta al termine di questa emergenza. Negli ultimi anni nel nostro paese la spesa militare è costante cresciuta, secondo un rapporto che fa riferimento al 2018 addirittura del 26% rispetto alle ultime tre legislature, con un totale che ammonta ad oltre 25 miliardi di euro complessivi di spesa militare all’anno.
In particolare continua a crescere la spesa per l’industria militare, per la produzione di armi e mezzi militari che, proprio come gli F-35, non hanno alcuna utilità per il paese. Chi oggi, in preda alla paura per il coronavirus, a ragione si lamenta per la carenza di fondi per la sanità pubblica, per coerenza domani dovrà ricordarselo e pretendere che una larga parte di quei fondi venga dirottata ed utilizzata per migliorare la qualità del servizio sanitario nazionale e per altre reali e più concreti esigenze. Certo quella lettera inviata dai due ministri alla Aiad non lascia presagire nulla di buono.
“Ancora una volta – scrivono Guerini e Patuanelli – è stata riconosciuta la strategicità e, più in generale, l’apicale importanza per il nostro paese delle imprese operanti nei suddetti settori industriali, imprese la cui attività produttiva, anche in un momento critico come quello che stiamo affrontando, si è comunque deciso di tutelare appieno”. Peggio di così…