A reti unificate l’imbarazzante “santificazione” postuma di Bettino Craxi


L’uscita nei cinema del film “Hammamet” è diventata l’occasione per ripercorrere l’epopea craxiana,  quasi sempre mettendo ai margini le sue vicende giudiziarie. E in qualche caso per raccontare l’improbabile storia di un Craxi perseguitato e morto esiliato in Tunisia.

Non è certo una novità che questo paese non ha memoria storica. Allo stesso modo è indiscutibile che l’infimo livello della nostra classe politica degli ultimi 20-25 anni in qualche modo giustifica il rimpianto verso i politici della cosiddetta “Prima Repubblica”, sicuramente di ben altro lignaggio. Però non possiamo nascondere che giovedì sera siamo stati pian piano assaliti da un profondo senso di disgusto e da una fortissima irritazione nell’assistere all’indecoroso e inaccettabile tentativo di “santificazione” postuma di Bettino Craxi. Già in passato qualche tentativo simile c’era stato.

Ma questa volta, complice anche l’uscita nei cinema del film di Amelio “Hammamet”, si è passato davvero il segno. Già nei giorni scorsi su diversi importanti quotidiani erano arrivati i primi segnali. Nulla, però, al confronto di quanto accaduto giovedì 9 gennaio, praticamente quasi a rete unificate. Dalla Rai a Mediaset il film di Amelio è diventato l’occasione per ripercorrere l’epopea craxiana, nella migliore delle ipotesi facendo passare le sue gravi vicende giudiziarie quasi come un particolare irrilevante. Qualcuno, poi, è si è spinto oltre, finendo per raccontare la storia di una sorta di martire.

E’ quanto avvenuto a “Stasera Italia”, il programma di Rete 4 condotto da Barbara Palombelli e anche a “Porta a Porta”. In entrambi i casi con gli ospiti presenti, tutti in qualche modo legati al leader del Psi (Mughini, Bobo Craxi, Sallusti a Rete 4, Stefania Craxi, Martelli, Cicchitto da Vespa), che senza alcun rispetto della storia e dei fatti hanno raccontato la triste storia di Craxi ingiustamente perseguitato dalla magistratura, riproponendo quella che era stata la linea difensiva dell’ex presidente del Consiglio: la condanna senza prove ma solamente perché “non poteva non sapere”, le mazzette un “peccato veniale”, comune a tutti a partiti, le tangenti prese “solo per il partito” e mai per se stesso.

Partendo da questi presunti dati di fatto si è così arrivati a denunciare  “l’inaccettabile accanimento” nei suoi confronti da parte della magistratura, sottolineando la vergogna di un ex presidente del Consiglio lasciato morire esiliato in Tunisia, con qualcuno (Sallusti, Stefania Craxi e Martelli) che ha sostenuto la tesi della vendetta da parte della magistratura politicizzata per la forte opposizione di Craxi al tentativo di portare l’allora Pci al governo.

Come se non bastasse anche i due conduttori hanno voluto dare il proprio contributo. Così Barbara Palombelli si è addirittura lanciata in un ardito (e ridicolo) paragone tra Bettino Craxi e Aldo Moro (lo statista della DC rapito e ucciso dalla Br), entrambi lasciati morire dallo Stato che non li ha voluti salvare. Per non essere da meno Bruno Vespa, parlando degli ultimi giorni dell’ex presidente del Consiglio, si è chiesto provocatoriamente per quale ragione i servizi segreti italiani non avrebbero prelevato Craxi ad Hammamet per portarlo poi in segreto ad operarsi in Spagna, per poi riportarlo nel suo (presunto) esilio in Tunisia. Da non crederci, siamo ben oltre la mancanza di memoria storica.

Di fronte ad un simile scempio, pur nel doveroso rispetto che si deve a chi non c’è più, ci sembra indispensabile ristabilire un minimo di verità. Ricordando alle schiere di presunti “smemorati” alcuni inconfutabili fatti. Craxi, al momento della sua scomparsa (il 19 gennaio 2000), aveva ricevuto due condanne con sentenze definitive per corruzione e finanziamento illecito per un totale di 10 anni di carcere: 5 anni e mezzo per le tangenti Eni-Sai, 4 anni e mezzo per quelle della Metropolitana milanese. Altri procedimenti, poi estinti per “morte del reo”, erano all’epoca in corso, tutti con condanne, anche se in nessun caso si era arrivati a sentenza definitiva.

In particolare Craxi era stato condannato (in primo grado) a 3 anni per il reato di finanziamento illecito nel processo per la maxitangente Enimont, a 5 anni e mezzo per corruzione nel processo per le tangenti Enel e a 5 anni e 9 mesi per bancarotta fraudolenta (il famoso conto Protezione). In primo grado era stato condannato, insieme a Silvio Berlusconi, anche nel processo All Iberian, poi terminato con la prescrizione. Sorvolando su quel “così facevan tutti”, che non merita neppure una replica, è opportuno sottolineare invece che dalle motivazioni e dai dispositivi delle varie sentenze (che ovviamente chiunque può verificare), emerge un quadro completamente differente da quello sopra decritto, che smonta in maniera imbarazzante i due teoremi della condanna basata esclusivamente sul “non poteva non sapere” e del fatto che i soldi presi erano esclusivamente per il partito.

Al di là delle tante prove e dei tanti episodi citati nelle varie sentenze, in una di queste si legge testualmente: “Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti…non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari. Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti”.

Solo queste ultime righe sarebbero sufficienti per smontare la tesi delle mazzette prese solo per il partito. Ma, sempre dai dispositivi delle sentenze, si potrebbero citare anche i riscontri che dimostrano come alcune di quelle mazzette erano servite, ad esempio, per acquistare un appartamento a New York o per finanziare la tv privata Gbr di Ania Pieroni, per anni amante di Craxi (era con lui anche ad Hammamet). O, ancora, per acquistare una casa e un albergo (Ivanhoe) a Roma, poi entrambi intestati alla stessa Pieroni.

Per non parlare della serie infinita di conti all’estero, delle operazioni immobiliari a Milano, Barcellona, Madonna di Campiglio, La Thuile. Dati di fatto inequivocabili e incancellabili. Così come correttezza informativa vorrebbe che non si raccontasse la fandonia del Craxi esiliato, a cui per chissà quale motivo non veniva concesso di tornare in Italia neppure per curare la sua malattia. Il leader del Psi era ad Hammamet non da esiliato ma, molto più semplicemente, da latitante. E non tornava in Italia non perché qualcuno, per chissà quale motivo, glielo impediva. Semplicemente perché su di lui pendevano due condanne a cui rischiavano di aggiungersene altri altre.

Con un simile quadro anche solo pensare ad un colpo di spugna per cancellare, non si capisce bene per quale motivo, le condanne stesse, era semplicemente fuori luogo. Poi, naturalmente, viste le sue condizioni di salute sarebbe stato sacrosanto, in caso di rientro in Italia, pretendere un trattamento adeguato, magari evitandogli il carcere. A togliere ogni ulteriore dubbio, va ricordato che sul caso Craxi il 31 ottobre 2001 si è espressa anche la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Non è possibile pensare che i rappresentati della Procura abbiano abusato dei loro poteri – scrivono i giudici di Strasburgo – i procedimenti seguirono i canoni del giusto processo e le accuse ai giudici del ricorrente non si fondano su nessun elemento concreto. Va ricordato che il ricorrente è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche”.

Tutto estremamente chiaro, solo in quel sempre più bizzarro paese che è diventato l’Italia poteva accadere, praticamente a “reti unificate”, un simile stravolgimento della realtà. Altra cosa, più che legittima, è invece ricordare la statura politica di Craxi, al netto delle sue vicende giudiziarie e a prescindere dalla condivisione o meno delle sue posizioni politiche.

In molti, giustamente, hanno ricordato la vicenda di Sigonella, quando l’allora presidente del Consiglio Craxi sfidò Reagan e gli Usa, facendo valere il diritto del nostro paese a processare i terroristi che avevano preso in ostaggio la nave italiana “Achille Lauro” (che invece Reagan voleva fare processare nel suo paese). Ma sarebbe riduttivo limitarsi a quel pur importante episodio, dimenticando le tante battaglie politiche portate avanti dal leader del Psi, a partire dalla sua posizione (isolata) sul caso Moro, volta a provare in tutti i modi a salvare la vita dello statista della DC.

Nessuno può negare la sua statura politica, la sua importanza nella crescita (negli anni ’80) del nostro paese, il ruolo che ha avuto anche nel panorama politico internazionale. Nulla, però, che possa anche solo giustificare questo incomprensibile tentativo di “santificazione” postuma e questo inaccettabile stravolgimento della realtà dei fatti.

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