Dopo una campagna elettorale che ha ricalcato quanto avviene ormai da tempo in Italia, con appelli più al voto contro che al voto a favore, è arrivato il momento della scelta tra Hillary Clinton e Donald Trump. Con la certezza che, chiunque sarà il vincitore, partirà con un gradimento ed una popolarità ai minimi storici
Siamo negli Stati Uniti ma sembra quasi di essere in Italia. Tra poco meno di 24 ore si conoscerà il nome del 45° presidente degli Stati Uniti e, comunque vada, è già certo che le elezioni di questo 8 novembre per diversi motivi passeranno alla storia. Infatti chiunque sarà il vincitore ci sarà una storica prima volta: Hillary Clinton sarebbe la prima donna alla Casa Bianca, mentre in caso di successo Donald Trump sarebbe il primo personaggio televisivo a guidare la nazione più potente al mondo.
Al di là di questi eventi “storici”, quello che più colpisce è che per la prima volta in queste elezioni sono saltate tutte le regole non scritte, ma ormai diventate patrimonio delle elezioni a stelle e strisce, che ci hanno sempre fatto guardare con un po’ di invidia (almeno da questo punto di vista) agli Stati Uniti. I due principali schieramenti, pur rappresentando due aree sociali e due visioni diverse (per semplificare per i repubblicani “bisogna premiare chi sa cavarsela meglio”, per i democratici “non bisogna lasciare indietro chi è più in difficoltà”) si sono sempre reciprocamente legittimati, con la parte perdente pronta a riconoscere la vittoria dell’altro e, subito dopo, a sentirsi comunque pienamente rappresentato dall’avversario.
Ora sembra davvero di essere nel nostro paese, con i due schieramenti che fanno a gara a delegittimarsi, con Trump addirittura che annuncia che, in caso di sconfitta, non riconoscerà la vittoria dell’avversario, certo che sarà frutto di brogli, annunciando che, invece, in caso di vittoria manderà in galera la Clinton. Che, a sua volta, ha definito se stessa l’ultimo baluardo tra l’America e l’Apocalisse e che sin da ora esclude la possibilità di una qualsiasi dialettica democratica con il suo avversario, anche in caso di vittoria. Nulla di strano per noi italiani che da 20 anni viviamo questo clima di sfida disperata per evitare improbabili apocalissi che siano esse il ritorno del comunismo (ma è mai esistito in Italia?), la dittatura mediatico-televisiva di Berlusconi, la svolta autoritaria di Renzi, il trionfo del populismo e della demagogia del Movimento 5 Stelle o il rischio razzista-xenofobo rappresentato da Salvini.
Da decenni ormai nel nostro paese sono più coloro che votano contro questo o quello piuttosto che per un politico, un partito, un movimento (e in gran parte sarà così anche al prossimo referendum). Ci siamo abituati e rassegnati a vivere questa distorsione e per anni abbiamo guardato con una certa invidia dall’altra parte dell’oceano. Dove, invece, ora si vivono le stesse dinamiche italiane, con appelli più al voto contro che al voto a favore e dove si assiste ad un completa ed inaspettata rivoluzione delle tradizionali geometrie politiche e dei blocchi sociali e culturali a sostegno di questo o di quel schieramento.
A sostegno della Clinton, ad esempio, ci sono una larga parte della destra bushista e neocon ma anche quel che resta del sindacato operaio. E poi gli squali della finanza storicamente combattuta dal democratico Bernie Sanders, i liberisti estremi, gli economisti di sinistra alla Stiglitz, gli ispanici di Los Angeles ma anche i “fighetti” di downtown Manhattan. Allo stesso modo a sostegno di Trump ci sono i razzisti e gli xenofobi modello Ku Klux Klan ma anche i neo poveri delle periferie deindustrializzate, la lobby degli armatori ma anche gli esclusi dalla globalizzazione. Coalizioni anomale, schieramenti clamorosamente eterogenei, fine dei vecchi schieramenti sociali, esattamente proprio come accade da tempo in Italia. Una situazione confusionaria che, probabilmente, testimonia la fine di una fase e l’inizio ancora confusionario e dai contorni tutti da definire di una fase completamente nuova.
In un simile contesto ovviamente diventa anche più difficile fare previsioni e pronostici su chi alla fine risulterà vincente. Anche perché il particolare sistema elettorale statunitense rende ancora più complicato, almeno in questa fase, sbilanciarsi sull’esito finale. Infatti ad essere eletto presidente degli Stati Uniti non sarà il candidato che otterrà in assoluto più voti ma quello che conquisterà almeno 270 grandi elettori sui 538 a disposizione. Il voto riflette infatti la struttura federale del paese e in ognuno dei 50 stati sono in ballo un determinato numero di grandi elettori (da un massimo di 55 grandi elettori in California ad un grande elettore in alcuni piccoli distretti). Come da tradizione in ogni stato vige la regola del “winners takes all”, con il candidato che vince, anche solo per un voto di differenza, che prende tutti i grandi elettori assegnati da quello stato.
E proprio questa rivoluzione e questa metamorfosi delle geometrie politiche ha reso più difficile fare pronostici, con stati che, per la particolare composizione sociale, prima di queste elezioni tradizionalmente erano assegnati ad uno schieramento o all’altro e che, invece, ora tornano in discussione. Nonostante tutto i pronostici e anche gli ultimi sondaggi continuano a dare favorita la Clinton, con qualche sito che si spinge addirittura a prevedere oltre 300 grandi elettori a suo favore e qualcun altro che, più prudentemente, ne assegna tra i 280 e i 290. Tutti, però, sono concordi nel sostenere che ancora c’è margine per una vittoria a sorpresa di Trump, visti i tanti stati che, sempre secondo i sondaggi, sono ancora in bilico.
Complessivamente, considerando gli stati in cui il vantaggio di uno o dell’altro candidato pare inattaccabile, tutti gli esperti sono concordi nell’attribuire certamente ad Hillary Clinton tra 210 e 216 grandi elettori, mentre a Donald Trump tra i 158 e i 164. A decidere saranno, quindi, i cosiddetti “Swing States”, gli stati in bilico, mai numerosi come in questo caso. Complessivamente sono ben 14, per un totale di 177 grandi elettori, e sono quegli stati dove tutti i sondaggi danno i due candidati troppo vicini nei rilevamenti per poter esprimere un pronostico certo. In qualche caso, addirittura, i vari sondaggi non concordano neppure su quale dei due candidati è, sia pure di poco, in vantaggio. E sarà proprio l’esito del voto in questi 14 stati che determinerà il risultato finale. Si tratta di Florida (29 grandi elettori), Pennsylvania (20), Wisconsin (10), Virginia (13) Ohio (18) North Carolina (15), Iowa (6), Colorado (9), Nevada (6), Georgia (16), Arizona (11), Michigan (16), Maine (4) e New Hampshire (4).
A far propendere i favori del pronostico verso Hillary Clinton il fatto che in 6 di quegli stati (Pennsylvania, Michigan, Virginia, Wisconsin, Colorado, Maine) tutti i sondaggi la danno in vantaggio con un margine se non proprio rassicurante quanto meno indicativo. Conquistando quei 6 stati la Clinton si aggiudicherebbe altri 72 grandi elettori, superando ampiamente il limite di 270 necessario per essere eletti. Un esito che, secondo molti osservatori, scongiurerebbe il rischio rappresentato da una vittoria di Trump che aprirebbe scenari impensabili e, per alcuni, inquietanti. C’è chi addirittura prevede, in quel caso, il crollo delle borse e del dollaro e, a livello internazionale, un inasprimento dei rapporti con i paesi europei della Nato. Ipotesi che anche in Europa fanno si che la maggior parte degli schieramenti politici sostengono, sia pure molto tiepidamente, la Clinton.
Quel che è certo, però,è che mai prima d’ora due candidati alla Casa Bianca sono risultati così impopolari e poco graditi, non solo negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. Al punto che quasi tutti sono già concordi nell’affermare che, chiunque risulterà vincitore, quello che verrà eletto nelle prossime ore sarà sicuramente il peggiore presidente degli Stati Uniti.