No tax day: scende in piazza a protestare chi ha aumentato la pressione fiscale


Per rispondere alla manifestazione di piazza San Giovanni delle “sardine”, Salvini e la Lega scendono promuovono in numerose piazze italiane la protesta contro “il governo delle tasse”. Definizione che, però, dati alla mano si merita soprattutto il precedente governo gialloverde…

Sabato 14 dicembre è il giorno delle piazze. Soprattutto quella di Roma, a piazza San Giovanni, delle “sardine”, la “prova del 9” per il movimento nato da qualche settimana e che nel giro di pochissimo tempo ha riempito le piazze di gran parte del paese. Ma anche quelle della Lega che, guarda il caso, ha indetto proprio per questo sabato in molte piazze italiane il “No tax day”. Non bisogna certo essere dei grandi analisti politici o avere un particolare intuito per capire che l’aver invocato la piazza in contemporanea con la mobilitazione delle “sardine” (la decisione della Lega è arrivata qualche giorno dopo che era già stata indetta la manifestazione a piazza San Giovanni) è un chiaro segnale di quanto questo nuovo movimento, che ha riportato il popolo della sinistra in piazza, dia molto fastidio a Salvini e al Carroccio.

D’altra parte era già ampiamente evidente vista la furibonda campagna che molti esponenti leghisti, spalleggiati dai soliti organi di informazione (ammesso che possano chiamarsi così), stanno portando avanti. In particolare uno degli argomenti più utilizzati per cercare di screditare le “sardine” è il presunto paradosso di una piazza che manifesta nei confronti di una forza che è all’opposizione. Però, a proposito di paradossi, è incredibile che nessuno abbia invece evidenziato quello mastodontico e inconfutabile che caratterizza invece il “No tax day” promosso da Salvini e dalla Lega.

Una mobilitazione in tutte le piazze italiane per manifestare contro il governo delle tasse”. Con questo slogan il Carroccio ha promosso l’iniziativa. Quel che, però, il Carroccio omette di dire è che il “governo delle tasse” non è certo (almeno per ora) quello attualmente in carica quanto, piuttosto, il primo governo Conte. Cioè quello di cui faceva parte (anzi, sarebbe più corretto dire che era monopolizzato) la Lega. I dati, quelli ufficiali e inconfutabili, non lasciano dubbi in proposito.

Prima di vederli più nel dettaglio è opportuno comunque sottolineare che per quanto riguarda il governo di cui faceva parte la Lega parliamo di dati reali già verificati mentre per quanto concerne quello in carica si tratta di previsioni contenute nel Def. Il dato certo è che nei 14 mesi di governo gialloverde la pressione fiscale è tornata a salire. Secondo l’indice elaborato dalla Fondazione Edison e da “Il Sole 24 Ore” con il governo Conte 1 è cresciuta dello 0,6% dopo che durante i governi Renzi e Gentiloni era scesa dell’1,8%.

Dati in un certo senso confermati anche dall’Istat che a fine giugno 2019 (quando ancora il governo gialloverde era in carica) sottolineava come nel primo trimestre del 2019 si era registrato un aumento dello 0,3%, il più alto dal 2015 a questa parte. Nel documento programmatico di Bilancio 2019 (approvato dal precedente esecutivo) per il 2019 si prevedeva una pressione fiscale al 41,8%, i dati reali dei mesi scorsi che invece si è verificato un ulteriore incremento di uno 0,1% (41,9%). Quindi il dato certo, verificato e verificabile, è che con il governo di cui faceva parte la Lega la pressione fiscale è progressivamente e costantemente aumentata. Sulle famiglie e, ancora più, sulle imprese.

A tal proposito l’annuale rapporto “Paying Taxes” realizzato da Banca Mondiale e PwC, che rivela e analizza i costi per le imposte e tasse in capo alle imprese, è impietoso. Ed evidenzia come a fine 2018 (quindi con il governo gialloverde) il cosiddetto peso fiscale che grava sulle imprese italiane è pari al 59,1% rispetto alla media generale del 40,5% (che scende al 38,9% nel resto dell’Europa). Non solo, nel corso del 2018 l’Italia ha fatto registrare un aumento del 5,9%, che ha fatto precipitare il nostro paese dal 116° al 122° posto, superato solo da Timor Est, Guinea e Ghana.

C’è poco da aggiungere, un quadro francamente imbarazzante. Che sarebbe ampiamente sufficiente per bollare come paradossale e profondamente ipocrita la protesta di piazza contro le tasse da parte di chi, in appena 14 mesi, ha contribuito in maniera così pesante a far schizzare in alto la pressione fiscale. E che ora protesta contro il nuovo governo il cui operato, per quanto concerne la pressione fiscale, è tutto da verificare e non può certo essere giudicato al momento. Perché ci si può solo basare su previsioni, con l’aggiunta dell’immancabile “bufala”.

Le previsioni sono quelle che vengono riportate nella legge di bilancio per il prossimo e che prevedono che la pressione fiscale nel 2020 cresca di un ulteriore 0,1% fino al 42%. Se così fosse realmente saremmo ampiamente al di sotto della crescita provocata dal precedente governo. Ma l’esperienza insegna che tra previsione e dato reale spesso ci può essere differenza, quindi sarebbe opportuno verificare il secondo per poter giudicare. Quello che invece sappiamo con certezza è che se fosse rimasto in carica il governo gialloverde, la previsione per il 2020 proiettava la pressione fiscale al 42,7%.

Di certo si può sin da ora dire che il dato reale alla fine sarà sicuramente inferiore rispetto a quello. Senza un appiglio concreto per giustificare questa mobilitazione no tax, come al solito si è fatto ricorso ad una vera e propria “bufala”, lanciata proprio da Salvini. Che il 22 novembre, intervenendo ad “Uno Mattina” (Rai 1), criticava la politica fiscale dell’attuale governo e parlava della necessità di una manifestazione di protesta anche e soprattutto alla luce della relazione della Corte dei Conti “che stima in 17 miliardi di euro il nuovo carico fiscale”.

Basta, però, andare a verificare la relazione sulla manovra di bilancio pubblicata dalla Corte dei Conti l’11 novembre scorso per scoprire che di quei 17 miliardi non c’è alcuna traccia. Ed analizzandola più nel dettaglio emerge con chiarezza che non si tratta di un fraintendimento o di una errata interpretazione da parte di Salvini ma, molto più semplicemente, di una vera e propria invenzione del leader della Lega.

Paradossalmente quella relazione dice esattamente il contrario, in quanto secondo l’analisi della Corte dei Conti il nuovo prelievo fiscale è più che compensato dalla riduzione del vecchio livello di imposte, visto che nella tabella riportata in quella relazione risulta che in ognuno dei 3 anni tra il 2020 e il 2022 le nuove entrate sono sempre inferiori rispetto alle entrate a cui lo Stato rinuncia per alleggerire la pressione nei confronti dei contribuenti; 10,9 miliardi contro 26,8 nel 2020, 11,8 miliardi contro 17,2 nel 2021, 11,1 miliardi contro 11,4 miliardi nel 2022.

Per altro anche ipotizzando erroneamente che tutte le nuove entrate previste per il 2020 siano dovute all’introduzione di nuove imposte (cosa non vera perché oltre un quarto delle entrate previste per il nuovo anno dovrebbero derivare dalla lotta alle frodi e all’evasione) saremmo comunque decisamente lontani dai 17 miliardi di cui parla Salvini.

Siamo quindi di fronte ad una colossale invenzione sulla quale, per altro, si fonda una manifestazione contro le tasse promossa da chi in 14 mesi ha contribuito (insieme al M5S) ad aumentare in maniera consistente la pressione fiscale. C’è poco da aggiungere…

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