Secondo le promesse elettorali avrebbe dovuto interessare circa 9 milioni di persone e quasi 3 milioni di famiglie. Diventate 5-6 milioni (e circa 2 milioni di famiglie) al momento della presentazione del bilancio. Numeri smentiti e spazzati via dai dati reali…
In principio erano 9 milioni. Dopo un’attenta analisi si è scesi a 6 milioni, poi a 5, infine a 4 e mezzo, almeno nelle intenzioni e nei proclami. Perché la realtà, quella concreta e indiscutibile dei dati ufficiali, dice che al momento non si arriverà neppure a 2 milioni. In altre parole, la classica montagna che ha partorito il topolino. Stiamo parlando del reddito di cittadinanza, da sempre la “bandiera” e il marchio distintivo del Movimento 5 Stelle, la “fiamma della dignità” come la definì Beppe Grillo che, addirittura, con Casaleggio dedicò a questa misura la marcia Perugia-Assisi del 2015.
Ad oggi, visti i numeri, una “fiammella”. Una vicenda che, in un paese serio, dovrebbe quanto meno far aprire un dibattito e una riflessione, oltre su come la realtà sia ben altra cosa rispetto alla propaganda, anche e soprattutto su come, quando si parla di povertà e di poveri, bisognerebbe usare una maggiore cautela. Partiamo, però, dai dati ufficiali che in questi giorni ha fornito l’Inps e in particolare il suo presidente, il “grillino” (quindi non sospettabile di remare contro il governo) Pasquale Tridico. Stando a quei dati ad oggi sono circa 800 mila i nuclei familiari che hanno richiesto il reddito di cittadinanza, pari a poco meno di 2 milioni e mezzo di persone.
Considerando che, secondo Tridico, il tasso di rifiuti è leggermente superiore al 25%, siamo a poco più di 600 mila nuclei familiari per meno di 2 milioni di persone. Ben altri erano i numeri previsti negli anni passati, quando per il M5S il reddito di cittadinanza era considerato il provvedimento-bandiera, ma molto differenti erano i numeri anche forniti lo scorso anno in campagna elettorale. Poi, come detto, una volta al governo e costretti a fare i conti con la realtà (che è sempre un’altra cosa) c’era già stata una contrazione, il numero delle famiglie potenzialmente beneficiarie si erano ridotte decisamente. Ma neanche nelle più pessimistiche delle previsioni si sarebbero ipotizzati numeri così clamorosamente inferiori.
Nella passata legislatura il M5S, proprio a dimostrare che quella sul reddito di cittadinanza non era una battaglia fatta per mera propaganda, aveva presentato una proposta di legge che prevedeva un sussidio di 780 euro al mese per chiunque non arrivava a quel reddito. Circa 9 milioni di persone (3 milioni di famiglie) i potenziali beneficiari, con un costo annuo presunto di 17 miliardi di euro. Quella proposta di legge fu poi ripresa e inserita nel programma elettorale del Movimento nelle elezioni di marzo 2018.
In campagna elettorale più volte Di Maio spiegò che il sussidio sarebbe andato a 9 milioni di poveri e che una famiglia di 4 persone poteva arrivare a percepire anche 1.950 euro al mese. Confermate anche le cifre relative alla spesa a carico dello Stato (da più parti contestate perché ritenute sottostimate), 17 miliardi all’anno, di cui circa 2 miliardi destinati al potenziamento dei centri pubblici dell’impiego che avrebbero avuto il compito di gestire la riforma.
Subito dopo la vittoria elettorale, la “grillina” Nunzia Catalfo (prima firmataria della proposta di legge della passata legislatura e attualmente presidente della Commissione lavoro del Senato) in un’intervista con un importante quotidiano che si occupa di economia correggeva un po’ il tiro per quanto riguarda i beneficiari, mantenendo però inalterati i costi a carico dello Stato.
“Il provvedimento costerà 17 miliardi di euro – affermava – di cui 2 miliardi per lo sviluppo delle politiche attive e 15 miliardi per il sostegno a 2,75 milioni di famiglie, di cui un milione con figli minori”. Nel contratto di governo siglato da M5S e Lega per quanto concerne il reddito di cittadinanza si afferma che “è una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese” e che “la misura si configura come uno strumento di sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizione di bisogno”.
Non vengono fornite cifre sui possibili beneficiari, l’unico dato presente è quello relativo all’importo mensile che, si ribadisce, ammonta a 780 euro. Con la presentazione della legge di bilancio, poi, finalmente dalle parole si è passati ai fatti ed il quadro si è immediatamente presentato ben differente. Dei 17 miliardi previsti in bilancio ne venivano concretamente stanziati 9, di cui solo 7,1 destinati al vero e proprio reddito di cittadinanza (900 milioni per la pensione di cittadinanza e 1 miliardo per i centri per l’impiego).
Stanziamento dimezzato e, inevitabilmente, anche la platea di beneficiari dimezzata. Si passa a meno di 2 milioni di famiglie per circa 4,5 milioni di persone. Un netto e clamoroso ridimensionamento, rispetto alle promesse elettorali, che però alla luce dei fatti si è ugualmente dimostrato completamente inattendibile. Perché i dati concreti delle domande presentate ed accolte, ora che la misura è effettivamente partita, presentano uno scenario ben differente.
Complessivamente le famiglie che hanno fatto richiesta del reddito di cittadinanza sono meno di 900 mila ma, stando ai dati dell’Inps, di queste solo circa 650 mila ne hanno in concreto beneficiato (dopo i controlli che hanno bocciato il 25% delle richieste). Siamo ad appena un quarto delle famiglie che sarebbero state interessate dal provvedimento secondo la Catalfo e, addirittura, a meno di un terzo rispetto alle previsioni fatte dal governo solo qualche mese fa.
Oltre alla platea dei beneficiari, ben differenti rispetto alle previsioni e alle promesse sono anche gli importi. Secondo i dati forniti dall’Inps la media reale dell’importo si aggira intorno ai 500 euro, con la maggioranza dei beneficiari (52%) che ha un contributo mensile tra i 400 e i 500 euro. I “famosi” 780 euro al mese sono finiti nelle tasche di circa il 15% dei beneficiari, mentre il 23% ottiene un sostegno mensile inferiore ai 300 euro (addirittura il 7,4% di appena 40-50 euro al mese).
Poco più del 5% dei beneficiari mette in tasca tra gli 800 e i 1.000 euro al mese, circa un 4% supera la soglia dei 1.000 euro. I promessi 1.950 euro al mese per le famiglie di 4 persone al momento praticamente si contano sulle dita di una mano. Dando uno sguardo alla nostra regione, nelle Marche complessivamente le domande presentate sono meno di 15 mila (14.699 per l’esattezza). Considerando che, secondo i dati Istat, sarebbero oltre 130 mila i marchigiani che vivono sotto la soglia di povertà (quasi 40 mila famiglie), è superfluo sottolineare che ci si attendeva un ben differente numero di richieste.
Per quanto riguarda la provincia di Ascoli complessivamente sono 2.375 le domande presentate, di cui meno di 1.000 provenienti dal capoluogo di provincia. Numeri sin troppo eloquenti, sia quelli del nostro territorio che quelli nazionali, che inevitabilmente si prestano ad alcune considerazioni. Come anticipato è del tutto evidente che la realtà è tutt’altra cosa rispetto alla propaganda, non servivano certo i numeri del reddito di cittadinanza per confermarlo e non vale neppure la pena dilungarsi troppo su questo aspetto.
Molto più interessante, invece, soffermarsi sul fatto che forse, visti i numeri, i dati che ci vengono forniti sui “presunti ” poveri andrebbero presi con maggiore cautela. Da anni gli oltre 6 milioni di poveri di cui parla l’Istat (quasi 2 milioni di famiglie, dato confermato anche qualche mese fa) sono stati utilizzati in maniera strumentale per biechi motivi di propaganda elettorale. I dati sul reddito di cittadinanza ci dicono con estrema chiarezza che o quei numeri sono poco reali oppure c’è qualcosa che è stato sbagliato nella predisposizione di quella misura.
“In molti hanno preferito evitare di fare richiesta per non sottoporsi ai controlli” ha dichiarato Tridico. Superfluo sottolineare che chi è in una situazione di reale povertà non ha nulla da nascondere e non può certo avere alcuna remora di sottoporsi all’inevitabile controllo da parte dell’amministrazione statale. La logica conseguenza è che probabilmente nel paese dei “furbetti” tra quelle quasi 2 milioni che, secondo l’Istat, vivono sotto la soglia di povertà ci sono famiglie effettivamente povere ma anche molte che sono povere solo sulla carta (e per lo Stato).
Secondo logica, quindi, di sicuro il sistema di controlli predisposti (almeno sulla carta) per il reddito di cittadinanza deve essere considerato valido (poi come sempre nella realtà magari la storia sarà differente) al punto da sconsigliare un gran numero di furbetti. E questo è sicuramente un fatto positivo. Molto meno positivo è il fatto che, visto il numero davvero troppo limitato di richieste (e anche l’entità del contributo erogato nella maggior parte dei casi), molti “veri” poveri restano comunque esclusi o, nella migliore delle ipotesi, ottengono un sostegno assolutamente inadeguato.
Alla luce di tutto ciò appare evidente come sarebbe stato molto più utile pensare ad una forma di sostegno un po’ differente che magari prevedesse un contributo mensile congruo e adeguato alla situazione per le famiglie che sono effettivamente in povertà e, al tempo stesso, una serie di sussidi e di agevolazioni per quelle che invece sono al limite della povertà.
In altre parole un sistema più complesso che avrebbe magari richiesto un tempo di predisposizione un po’ più lungo. E, soprattutto, la necessità di considerare prioritaria la volontà di incidere sul problema piuttosto che il mero ritorno elettorale.