Palloni gonfiati


Lo sconcertante caso Icardi è l’emblema di cosa è diventato il mondo del calcio italiano, tra i capricci di pseudo campioni che si comportano da “bambini viziati” e società troppo spesso ostaggio della parte più calda della tifoseria

Il fine settimana del calcio ci lascia in eredità l’ennesima sconcertante storia, quella della contestazione della curva dell’Inter al capitano neroazzurro Mauro Icardi, che fotografa al meglio alcuni dei principali mali del calcio italiano, tra pseudo star che si comportano da “bambini viziati” e società ostaggio della parte più calda della tifoseria. Una vicenda davvero imbarazzante che ha origini dalla passata stagione e che ieri è deflagrata in maniera clamorosa. Che Icardi, ben spalleggiato dalla sua compagna Wanda Nara, abbia da sempre comportamenti ai limiti, da star  capricciosa, non è certo una novità. Per questo forse la società avrebbe potuto evitare di attribuirgli quella fascia da capitano che  nella storia neroazzurra era stata indossata dai vari Corso, Mazzola, Facchetti, Altobelli, Baresi, Bergomi, Zanetti. Campioni, uomini di spessore, giocatori che, al di là delle simpatie calcistiche, hanno fatto la storia non solo del club neroazzurro ma del calcio italiano ed internazionale.

La contestazione della curva nord (la parte più calda della tifoseria) è scattata in occasione di Inter-Cagliari, con Icardi accolto con striscioni eloquenti (“100 gol e 100 trofei non cancelleranno la merda che sei”, “Non sei uomo, non sei capitano sei solo una vile merdaccia”) e a cui gli ultras hanno chiesto di restituire la fascia di capitano (o, in alternativa, chiedevano che a farlo fosse la società). “Togliti la fascia, pagliaccio, con noi hai chiuso”  avevano già scritto in mattinata alcuni tifosi della curva sul profilo Instagram  di Icardi che aveva cercato la pace, dichiarando il suo amore nei confronti della curva.

A far scoppiare il finimondo la presentazione, avvenuta nella in settimana, dell’autobiografia del centravanti neroazzurro “Sempre avanti” nella quale Icardi, tra le altre cose, racconta l’episodio avvenuto lo scorso anno a Sassuolo. Quando, dopo l’ennesima sconfitta dell’Inter, lui e Guarin avevano trovato il coraggio di affrontare la curva neroazzurra infuriata. Icardi racconta di aver prima regalato la sua maglia e i suoi pantaloncini ad un bimbo ma che sarebbe intervenuto un capo ultrà a strappare la maglia a quel ragazzino, rilanciandola indietro con disprezzo. Nel libro il giocatore argentino ricorda di aver litigato e insultato quel tifoso, fino al punto di avergli poi tirato la maglia in faccia, facendo scoppiare un putiferio. Poi il passaggio più  duro che ha scatenato la reazione degli ultras.

Nello spogliatoio vengo acclamato come un idolo – si legge nel libro – i dirigenti temevano che i tifosi potessero aspettarmi sotto casa per farmela pagare. Ma io ero stato chiaro: “Sono pronto ad affrontarli uno a uno. Forse non sanno che sono cresciuto in uno dei quartieri sudamericani con il più alto tasso di criminalità e di morti ammazzati per strada. Quanti sono? Cinquanta, cento, duecento? Va bene, registra il mio messaggio e faglielo sentire: porto cento criminali dall’Argentina che li ammazzano lì sul posto, poi vediamo. Avevo sputato fuori queste frasi esagerate per far capire loro che non ero disposto a farmi piegare dalle minacce”.

Icardi ricorda poi come già allora ci furono problemi, con un capo storico della curva che aveva preteso le scuse da parte del centravanti argentino che nel libro scrive “risposi che non devo chiedere scusa a nessuno di voi, se vi va bene perfetto, altrimenti ciao. Oggi fra me e i tifosi della Nord c’è rispetto reciproco, com’è giusto che sia”. Che dire, siamo di fronte ad una vicenda per certi versi davvero imbarazzante, dove  è difficile trovare qualcosa da salvare, da giustificare.

Senza scendere nella discussione che si è scatenata ieri nel post partita sulle eventuali colpe dell’Inter, che secondo molti avrebbe dovuto preoccuparsi di leggere prima ciò che stava scrivendo Icardi  (non è certo questo il vero nocciolo di tutta la situazione), bisognerebbe riflettere su cosa è diventato oggi il mondo del calcio italiano. Ovviamente partendo dal presupposto che Icardi anche in questa circostanza ha dimostrato quello che è, un ragazzino di 23 anni che, viste le sue doti calcistiche, si sente in qualche modo “onnipotente” e crede di potersi permettere comportamenti da “bulletto” e da bambino viziato.

Certe frasi pronunciate in un momento di concitazione, senza riflettere, sono comunque gravi ma possono avere una minima giustificazione. Farsene un vanto mesi dopo, quindi con tutto il tempo che ha avuto per riflettere, è davvero inaccettabile. Ma tutto ciò che di negativo si può pensare in merito a quel comportamento resta, comunque, un aspetto secondario rispetto al nocciolo principale della questione: ormai nel mondo impazzito del calcio italiano si accettano e si ritengono “normali” comportamenti dei tifosi che nei paesi “civili” non sarebbero mai tollerati.

Il rito di sottoporsi al giudizio dei tifosi al termine della partita è qualcosa di pazzesco, così come è allucinante che si consideri ormai normale, quasi inevitabile, che i giocatori, dopo una brutta prestazione, debbano andare sotto la curva a “beccarsi” gli insulti e i rimproveri dei tifosi più caldi. Che sono diventati assolutamente i padroni unici e incontrastati di questo rito di fine partita, al punto da disporne a proprio piacimento. Come non ricordare, ad esempio, quanto accaduto due anni fa proprio con i tifosi dell’Ascoli (era l’anno di Lega Pro con Petrone) che prima si infuriarono con i giocatori che, dopo una partita non andata bene, non erano andati sotto la curva a salutarli, poi a Forlì, dopo la partita persa dai bianconeri, respinsero in malo modo i giocatori che, visto quanto era accaduto poche settimane prima, andarono comunque verso il settore dove erano ospitati i tifosi bianconeri per salutarli (e nell’occasione Mori fu addirittura colpito da un oggetto lanciato dai tifosi stessi).

Ma l’ingerenza dei tifosi va ben oltre e quello di Icardi è solo l’ultimo di tanti episodi che hanno visto protagonisti gli ultras che finiscono per imporre determinate scelte a squadra e società, sempre più ostaggi dei tifosi stessi. Poche settimane fa, ad esempio, il gruppo ultrà degli Sconvolts cagliaritani ha diffuso in curva un volantino in cui, per motivi sinceramente incomprensibili, si accusa il portiere e capitano rossoblu Marco Storari. “Quel mercenario non deve mai più scendere in campo da capitano”. Detto, fatto, dalla successiva partita in casa, contro la Sampdoria, la fascia rossoblù passa sul braccio di Marco Sau. “Gara troppo importante per farsi condizionare da queste cose” ha spiegato l’allenatore Rastelli che, in perfetto accordo con la società, ha immediatamente “obbedito” all’ordine degli ultras.

Stessa situazione si è vissuta ad Udine ad inizio stagione, con i tifosi più caldi che hanno chiesto alla società di togliere la fascia di capitano al difensore brasiliano Danilo, “colpevole” lo scorso anno di aver avuto l’ardire di reagire di fronte agli insulti dei tifosi più caldi che, dopo la sconfitta casalinga con la Roma, avevano chiamato a rapporto la squadra sotto la curva. In questo caso la società inizialmente ha fatto capire di non voler cedere ma, poi, magicamente la fascia di capitano è passata sul braccio di Felipe.

Quel che è inaccettabile è che certe situazioni vengono ormai considerate quasi normali, inevitabili, finiscono quasi per passare sotto silenzio. Così come normale e inevitabili vengono considerate le “incursioni” degli ultras negli spogliatoi al termine di una partita andata male, o al campo di allenamento per “strigliare” e avvisare la squadra. E anche quando si oltrepassa il limite si cerca comunque di sminuire. Come lo scorso anno a Livorno quando, dopo il pareggio casalingo della squadra locale contro il Lanciano (che segnò la retrocessione in Lega Pro dei labronici), la squadra fu tenuta in ostaggio fino all’una di notte tra insulti e minacce di ogni tipo, poi sfociate nell’aggressione al portiere Pinsoglio colpito al volto da un tifoso mentre si avvicinava, insieme ai genitori alla propria auto.

Al di là del fatto che poi sulla vicenda è calato un incomprensibile silenzio, sconcerta che alcuni organi di informazioni sottolinearono in quella circostanza che Pinsoglio era inevitabilmente finito nel mirino dei tifosi perché autore dell’errore che aveva regalato il 2-2 al Lanciano. Siamo alla follia, un errore, seppure decisivo, può in qualche modo se non giustificare ma comunque rendere comprensibile simili situazioni? Purtroppo si, almeno in alcuni ambienti dove ormai certe esasperazioni vengono tollerate e vissute come se fossero fisiologiche.

A Giulianova, ad esempio, è passato quasi sotto silenzio lo scorso anno il blitz notturno di un gruppo di ultras all’Hotel Kiara dove alloggiavano 11 giocatori della squadra giallorossa. Portati via dalle loro stanze e radunati nella hall, i giocatori sono stati “processati” dai tifosi imbufaliti per le loro prestazioni deludenti. Processo che si è terminato con la condanna senza appello del portiere Vittorio Rossetti, avvistato in una discoteca locale la sera della partita vittoriosa con il Matelica. Il giovane portiere in pratica è stato obbligato a rescindere il contratto, costretto nella notte stessa a telefonare al direttore sportivo giallorosso per annunciargli, davanti ai tifosi, le sue intenzioni. Rossetti il giorno dopo si è recato dai carabinieri per sporgere denuncia ma, ovviamente, la società si è ben guardata dallo schierarsi al suo fianco.

Ancora più incredibile quanto accaduto a Foggia la scorsa stagione dopo il derby perso 3-0 ad Andria. La squadra, in piena lotta per la promozione in serie B (poi sfumata nello spareggio con il Pisa), è stata aggredita al ritorno in città. “Un folle agguato – racconta il responsabile dell’Aic per la Lega Pro Danilo Coppola – dopo la contestazione ad Andria i giocatori sono stati aggrediti al rientro a Foggia. Sul bus sono saliti alcuni violenti con mazze, spranghe e bastoni. Cè stata una baruffa, sono volati schiaffi ed un calciatore è stato colpito da un pugno. La squadra alla fine è scappata dalla città, andando a dormire in una località segreta”. Poche settimane dopo, però, per la società rossonera tutto dimenticato, come se nulla fosse accaduto. E se qualcuno pensa che queste cose accadano nei campi infuocati del sud è completamente fuori strada.

Nel 2014 un episodio per certi versi simile è accaduto nella “civilissima” Bologna dopo la retrocessione in B. Al termine della partita che ha sancito la retrocessione, i giocatori rossoblu furono tenuti chiusi negli spogliatoi per ore e, poi, furono costretti ad uscire passando tra due alti di tifosi inferociti che li coprirono di insulti, il tutto condito anche con qualche schiaffo.  Poche ore prima dall’Inghilterra erano giunte immagini che, invece, riconciliano con il calcio, con lo sport. I tifosi del Watford, al termine della partita che aveva sancito la retrocessione della squadra nella seconda categoria, avevano chiamato i giocatori al centro del campo per tributargli comunque un applauso di ringraziamento, tra cori da far venire i brividi. Nel mondo anglosassone è la prassi, da noi una cosa del genere è accaduta solo lo scorso anno a Frosinone.

In genere chi retrocede deve subire l’onta della contestazione degli insulti. E a volte basta una partita andata male per finire nella bufera. Come dimenticare, ad esempio, quanto accadde nell’aprile 2012 a Marassi,  quando, con il Genoa sotto 4-0 con il Siena, gli ultras rossoblu costrinsero prima l’arbitro ad interrompere la partita, poi i giocatori a togliersi le maglie. Una scena mai vista in un campo di calcio, che fece scalpore in tutta Europa, e che addirittura portò al deferimento dei giocatori stessi che, secondo la Federazione, non avrebbero dovuto togliersi le maglie. Potremmo proseguire ricordando il derby romano fatto interrompere dai tifosi di entrambe le squadre sulla base di una notizia falsa ed inventata dai tifosi stessi che, invece, in quel modo affermarono di fronte alla platea calcistica italiana la loro onnipotenza.

Potremmo citare una serie infinita di episodi del genere che, ormai, vengono vissuti quasi come fatti normali, inevitabile nel folle mondo del calcio italiano. Che si rifiuta di riflettere sul rapporto perverso che ormai si è creato con gli ultras anche quando arrivano dichiarazioni forti, come quelle rilasciate lo scorso anno da Carlo Ancelotti che, parlando del calcio italiano, dichiarò: “resta molto competitivo ma non mi piace lambiente che si sta creando come quelle squadre ostaggio di tifosi senza cervello. Certe situazioni e certe violenze accadono sono in Italia, per questo non ho così tanta voglia di tornarci

Comprensibile e condivisibile e l’ennesima conferma è la vicenda Icardi. Che farà discutere ancora per qualche giorno ma che, di certo, non farà riflettere su cosa è diventato il mondo del calcio italiano.

 

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