Prima l’occupazione di tutte le poltrone importanti, poi il monopolio incontrastato dei tg delle tre reti, infine l’epurazione dei personaggi in qualche modo scomodi: la nuova Rai del governo del cambiamento assomiglia sinistramente a quella degli anni passati
“Questo i telegiornali delle tv di Stato non ve lo mostreranno mai”. Abbiamo letto tantissime volte negli anni passati post di questo genere sui social, nei siti e nei blog delle allora forze di opposizione, soprattutto Movimento 5 Stelle e Lega. Un atto di denuncia contro i tg, in particolare della tv di Stato (la Rai), che censuravano le notizie non gradite, come ad esempio le contestazioni subite dagli esponenti dell’allora governo di centrosinistra. E per rafforzare l’accusa di un’informazione pubblica asservita al governo, si citavano i vari richiami del Garante delle Comunicazioni (AgCom) che contestava a quegli stessi tg di dare troppo spazio al governo, al presidente del Consiglio (in particolare nel periodo in cui Renzi era premier) e poco o nulla all’opposizione.
Era la Rai monopolizzata dai partiti, in particolare da quelli al governo, che dopo il 4 marzo scorso doveva essere spazzata via dal governo del cambiamento che, come aveva promesso più volte Di Maio, avrebbe cacciato via dalla Rai i partiti per dare spazio solo alle competenze. Un principio, ovviamente assolutamente condivisibile, che l’esecutivo giallo-verde ha inserito anche nel famoso contratto di governo, quello che fino a qualche tempo fa (almeno a parole) era considerato il “Vangelo”.
“Per quanto riguarda la gestione del servizio radio televisivo pubblico – è scritto nel contratto di governo – intendiamo adottare linee guida di gestione improntate alla maggiore trasparenza, all’eliminazione della lottizzazione politica e alla promozione della meritocrazia nonché alla valorizzazione delle risorse professionali di cui l’azienda già dispone”. Sei mesi dopo quelle affermazioni suonano come una terribile beffa. Perché nella realtà il cambiamento promesso in Rai non si è certo visto.
Tutto è rimasto come prima, anzi per certi versi la situazione è addirittura peggiorata, l’unico cambiamento che realmente si è verificato è che sono diversi i partiti di riferimento. Ma la Rai resta saldamente in mano ai partiti stessi, con la solita spartizione di poltrone e la solita occupazione da parte della maggioranza di tutti gli spazi disponibili e la conseguente riproposizione di tutte le peggiori pratiche del passato. Mancavano solamente, per essere perfettamente in linea con il passato, le epurazioni dei personaggi per qualche ragione scomodi.
Ci ha pensato il neo direttore di Rai2, il grillino Carlo Freccero (uomo buono per tutte le stagioni, cresciuto con Berlusconi, arrivato poi in Rai grazie al centrosinistra e da un paio d’anni convertito al M5S) a colmare questa lacuna, “silurando” Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu e Costantino della Ghirardesca.
Nulla di strano e di particolarmente sconvolgente, quello che è accaduto in questi mesi lo avevamo già vissuto con l’avvento al governo per la prima volta (e nelle successive edizioni) di Berlusconi. Poi, negli stessi termini, si è riproposto quando al governo è arrivato il centrosinistra, sia con Prodi che con Renzi (Letta). Che pure, proprio come il governo attuale, avevano assicurato che avrebbero garantito il pluralismo, che non avrebbero occupato la Rai.
Promesse “da marinai” allora come ora, con la situazione che per certi versi è addirittura peggiorata. Perché, se per quanto riguarda i direttori di rete è stato riproposto il solito schema, Rai1 e Rai2 alla maggioranza (rispettivamente la leghista Teresa De Santis e il grillino Carlo Freccero) e Rai3 all’opposizione (Stefano Colletta vicino al centrosinistra), era dai tempi di Fanfani che in viale Mazzini non si assisteva all’occupazione da parte del governo di tutte le direzioni dei tg.
Persino Berlusconi e Renzi avevano sempre mantenuto l’usanza di lasciare la direzione di uno dei tre tg all’opposizione. Che, invece, ora sono tutti sotto il monopolio del governo: il fedelissimo di Grillo, Giuseppe Carboni, al tg1, il leghista Sangiuliano al tg2 e Giuseppina Paterniti di area grillina al tg3. D’altra parte che “trasparenza” e “meritocrazia” erano solo slogan propagandistici si era capito da subito, con la scelta come presidente Rai di quel Marcello Foa vero esperto di fake news, nel senso che ne ha fabbricate e condivise non poche (tra cui alcune passate alle storia), così slegato dai partiti al punto che il figlio è tra i collaboratori di Salvini (pagato dai cittadini italiani).
Con un simile contesto, non poteva che riproporsi il solito vecchio cliché, con la censura delle notizie sgradite e tutto lo spazio disponibile dedicato al governo. Emblematico, ad esempio, il fatto che delle manifestazioni di protesta degli studenti italiani contro la politica del nuovo governo sulla scuola (che si sono svolte in decine di città italiane) non si è trovata traccia nei tg Rai, così come non si era trovata traccia lo scorso anno per identiche manifestazioni degli studenti.
Allo stesso modo sono praticamente scomparse le contestazioni subite di recente dal ministro Salvini in visita elettorale in Abruzzo (molto feroce, ad esempio, quello subita a L’Aquila), esattamente come non venivano mostrate quelle subite da Renzi nelle sue ultime uscite da premier. L’unica differenza è che sui social non si trovano più post come quello citato inizialmente, né ci sono più riferimenti alla pronunce dell’AgCom. Che, pure, ci sono state e, guarda il caso, sono state in linea con quelle degli anni passati.
In altre parole come prima il Garante delle Comunicazioni ha richiamato i telegiornali Rai (ma anche delle altre reti) ad un maggiore pluralismo, denunciando il troppo spazio riservato al governo e il quasi oscuramento delle opposizione parlamentari. L’unica differenza rispetto agli anni passati è che ad avere troppo spazio nei tg Rai questa volta non è il premier Conte ma i suoi vice Di Maio e Salvini, al punto che l’AgCom parla di “doping di notizie sui vice premier Di Maio e Salvini”.
Come detto il quadro ora si è chiuso grazie a Carlo Freccero che nella burrascosa e imbarazzante conferenza stampa di presentazione, tra un’illazione e l’altra (gravissima quella sulla Juventus e il Var, Freccero non è un tifoso da bar o da curva ma il direttore di una rete della tv di Stato e se fa una simile affermazione o è in grado di provarla, con tutte le conseguenze che ne seguirebbero, o altrimenti dovrebbe chiedere scusa e dimettersi immediatamente), ha dato il benservito a Luca e Paolo e a Costantino della Gherardesca.
I primi due “colpevoli” dell’esilarante satira sul ministro Toninelli (che in realtà è già abbastanza comico di per se…), il secondo (per altro conduttore apprezzato dal pubblico, visto che la sua “Pechino Express” segna ascolti inattesi e in continua crescita) perché qualche tempo fa aveva incautamente attaccato duramente la posizione ambigua del M5S sulle unioni civili. Certo in passato le “epurazioni” toccavano personaggi di ben altro calibro (senza offesa per quelli di ora), come Biagi e Santoro all’epoca di Berlusconi, Giannini e Flores nell’era renziana.
Ma anche questo, in fondo, è il segno dei tempi. Nella Rai giallo verde e nella società ormai governata dai social (a livello di comunicazione) i personaggi scomodi da mettere a tacere non sono più i giornalisti, sempre così pronti (a parte poche eccezioni) ad accodarsi accondiscendenti ai nuovi potenti e a mettere in un attimo da parte battaglie e principi che sembravano intoccabili.
In tal senso, però, non colpisce più di tanto l’imbarazzante tentativo del “Fatto Quotidiano” di sminuire l’importanza e la gravità di qualcosa che pure in passato aveva provocato furenti (e sacrosante) battaglie, in nome dell’alto principio della libertà di espressione. Una clamorosa retromarcia che in realtà non stupisce più di tanto.
Perché ormai quando si parla di questo governo e, in particolare, del M5S il quotidiano di Marco Travaglio è quello che anni fa era il Tg4 di Emilio Fede per Berlusconi. “Tutto cambia perché nulla cambi” scriveva Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo” nel 1956, fotografando alla perfezione quella che è una peculiarità del nostro paese. E di cui la nuova Rai ne è ora l’emblema perfetto