I questionari di alcune scuole della Gran Bretagna, con la distinzione linguistica tra italiani, napoletani e siciliani, scatenano polemiche e la mobilitazione di politici e media, con l’intervento del console italiano e un’interrogazione al Parlamento europeo. Ma la Brexit non c’entra nulla, così come non c’è nessun intento discriminatorio
Tanto rumore per nulla. O meglio, un vero e proprio polverone basato su un’enorme ipocrisia, alimentata dalle presunte conseguenze della Brexit. Che, quasi certamente, alla lunga ci saranno e si faranno sentire, cambiando anche le cose per chi vive o vuole andare a lavorare in Inghilterra. Ma in questo caso siamo di fronte ad un’autentica montatura che davvero non ha alcun nesso con quanto accaduto nei mesi scorsi con il referendum per uscire dall’Unione europea.
Naturalmente stiamo parlando di quella che tutti gli organi di informazione italiani hanno definito lo scandalo degli italiani del sud schedati nelle scuole inglesi. I fatti sono noti, nei giorni scorsi la polemica è esplosa dopo che è venuto alla luce che, nel questionario che alcune scuole della Gran Bretagna hanno inviato alle famiglie dei nuovi alunni, c’era una presunta grave discriminazione nei confronti degli italiani. Lo scopo del questionario era quello di stabilire la provenienza etnica dei bambini degli immigrati per poter venire loro incontro con un’adeguata assistenza linguistica e favorirne l’apprendimento dell’inglese. Per quanto riguarda i ragazzi italiani veniva chiesto loro di specificare se fossero italiani-italiani, italiani-napoletani o italiani-siciliani.
Apriti cielo, nel nostro paese subito si sono levate le grida contro lo scandalo, contro quella che molti organi di informazione hanno definito la nuova deriva inglese, le prime gravi conseguenze della Brexit. Sui quotidiani italiani è tutto un fiorire di definizioni forti, schedati, ghettizzati, emarginati, discriminati, così vengono descritti gli italiani che vivono in Inghilterra. A difendere e a protestare contro la grave offesa scende in campo anche l’ambasciatore italiano a Londra, Pasquale Terracciano che subito si fa sentire con il governo inglese, cercando comunque di minimizzare un po’.
“Non volevano discriminarci ma l’ignoranza è pericolosa – afferma – le autorità locali mostrano di non conoscere la nostra storia”. Ma non basta, il gruppo in Parlamento europeo del Pd addirittura presenta una durissima interrogazione alla Commissione europea nella quale chiede di sanzionare la Gran Bretagna se continuerà a discriminare gli italiani. ”Chiedo di intervenire immediatamente sul governo britannico per fermare l’autentica vergogna in atto nelle scuole primarie del Galles e dell’Inghilterra – afferma l’eurodeputato del Pd Massimo Paolucci – il regno Unito è ancora uno Stato membro dell’Unione europea e deve attenersi a tutti i trattati di libera circolazione delle persone e di uguaglianza dei cittadini in vigore nell’Ue. Anche un minuto dopo che sarà fuori dell’Unione, non sarà certo legittimata a classificare a scuola per etnie i nostri concittadini, così come nessun altro cittadino di altro stato”.
Paolucci sollecita anche il governo italiano ad intervenire per tutelare i nostri concittadini poi conclude con l’inevitabile affondo sulla Brexit. “Purtroppo – afferma –questa vicenda è la cartina di tornasole della spirale negativa innescata dalla Brexit ed è la dimostrazione che senza l’Europa o con un’Europa debole tornano l’odio, gli egoismi e l’oscurantismo”.
Naturalmente è lecito pensare tutto il peggio possibile sulla Brexit, è giusto ritenerla un grave errore. Ma è una clamorosa e insensata idiozia legarla in qualche modo alla vicenda dei moduli per l’iscrizione alle scuole. Che, infatti, erano in uso in alcune regioni del Regno Unito già dal 2006, decisamente prima del referendum che ha sancito l’uscita dell’Inghilterra. Quella codificazione era, ad esempio, già presente nei moduli scolastici della contea del North Yorkshire nel 2006, all’epoca del governo Blair che pure aveva una posizione di assoluta apertura nei confronti dell’immigrazione.
Quindi se è giusto accusare gli inglesi di non conoscere la nostra storia, bisognerebbe però fare un’autocritica ed ammettere che, quanto ad ignoranza (intesa come scarsa conoscenza delle cose), in fondo noi italiani non siamo secondi a nessuno. Va detto che, comunque, il governo britannico si è immediatamente scusato per “lo storico errore contenuto in alcuni moduli scolastici del Galles e di Bradford e per le offese da questo eventualmente arrecate”.
Naturalmente il governo inglese ha anche spiegato l’origine di quell’errore, sostenendo che l’obiettivo dell’iniziativa era quello di acquisire informazioni linguistiche , per fare in modo che gli studenti non di madrelingua inglese ricevessero la migliore istruzione possibile nel Regno Unito. In realtà si tratta di un comportamento tipico delle istituzioni inglesi che, quando sono alle prese con tanti cittadini provenienti da altri paesi, sono solite informarsi sulla loro prima lingua in modo da agevolarne l’integrazione. E’ anche opportuno sottolineare che a Bradford, dove c’è una folta comunità italiana, e nel Galles la cosa è ancora più sentita. Verrebbe quasi da dire che si tratta di un incidente diplomatico provocato dal troppo zelo.
C’è di più, questo modo di fare di chiedere informazioni su lingua e abitudini etniche era già presente nel censimento del 1991. In un paese che ha sempre fatto della convivenza serena tra le diverse etnie un vanto, l’obiettivo non era certo schedare quanto censire e tutelare le diversità. Oltretutto i censimenti di quel genere sono anonimi, quindi sono utili per avere dei dati in proposito, non certo per discriminare.
La dimostrazione più evidente di tutto ciò è quanto accaduto nel marzo scorso, quando proprio grazie ad un censimento di questo tipo la Commissione affari interni del Parlamento inglese ha evidenziato come all’interno della polizia ci fosse un certo sbilanciamento, con appena il 5,5% di rappresentanti delle minoranze etniche (che nel paese rappresentano quasi il 15%) a vestire la divisa. D’altra parte bisogna aggiungere che questa particolare distinzione non viene fatta solo per gli italiani ma anche per altri cittadini.
“Ci teniamo a precisare che la distinzione tra italiano, napoletano, e siciliano è solo per la lingua – aggiunge il ministero dell’istruzione inglese – e non ha mai avuto alcun impatto sull’istruzione ricevuta dagli alunni italiani nel Regno Unito. E, in ogni caso, le informazioni raccolte non vengono comunque rese pubbliche”. In poche parole se ci si fosse preoccupati di conoscere e capire a pieno la situazione, invece che lanciarsi subito in improbabili crociate, si sarebbe facilmente compreso che c’era poco da strepitare. E che, se proprio qualcuno si riteneva offeso da questa specificazione, bastava chiedere di cancellare quella differenziazione.
Siamo, quindi, di fronte al massimo ad un errore di eccessivo zelo per un’iniziativa che in realtà vuole rappresentare una forma di tutela, non certo di discriminazione, nei confronti delle diversità. E che, soprattutto, con le conseguenze della Brexit non c’entra davvero nulla. E alla fine, più che gli inglesi, la brutta figura, tanto per cambiare, l’ha rimediata il solito insopportabile circo mediatico italiano.