Dallo studio effettuato dall’Osservatorio della Cna nazione emerge che chi vuole aprire un’impresa nel Piceno deve sostenere una pressione quasi insostenibile sia di tempi che economica. E che Ascoli è tra i capoluoghi con la tassa più elevata per la ristrutturazione di un locale
Una pressione, sia di tempi che economica, quasi insostenibile per chi vuole aprire un’impresa o ristrutturare un locale nel Piceno. Addirittura Ascoli è, insieme altre 6 città (Parma, Modena, Pesaro, Roma, Caserta e Catania) il capoluogo con la tassa più elevata per la ristrutturazione di un locale. E’ quanto emerge dallo studio effettuato dall’Osservatorio della Cna nazionale che ha “misurato” la burocrazia che grava sulle imprese italiane.
Ristrutturazioni, costi record nel Piceno
I dati sono generalmente allarmanti ma, per quanto riguarda il Piceno, la situazione è addirittura peggiore, in particolare per quanto riguarda le ristrutturazioni. “Edilizia e ristrutturazioni sono e , saranno per i prossimi anni, una delle chiavi più importanti per l’economia delle piccole e medie imprese del territorio” sottolinea il direttore generale della Cna di Ascoli Francesco Balloni. Ed è chiaro che, nella situazione che sta vivendo il territorio, la dilatazione dei tempi e l’eccessiva pressione economica non giovano certo ad una ripartenza del territorio.
L’avvio di un’attività presume la realizzazione di lavori edilizi per adattare i locali scelti alle esigenze dell’aspirante imprenditore. Talvolta i lavori sono obbligati: è il caso degli interventi per agevolare l’accesso ai disabili. Eppure, l’estrema complessità delle norme in materia edilizia rende spesso difficile perfino comprendere le procedure da seguire. Nel caso di semplici lavori di ristrutturazione interna (senza cambi di destinazione d’uso dei locali o superamento di vincoli particolari) è necessario presentare una Comunicazione inizio lavori asseverata (Cila).
I diritti Cila sono gratuiti solo a Livorno, in gran parte costano meno di 100 euro e in sette casi (Ascoli Piceno, Caserta, Catania, Modena, Parma, Pesaro e Roma) li superano, con il picco della Capitale, dove si arriva a 251 euro. Gli adempimenti connessi alla documentazione che va allegata alla Cila sono molteplici.
Va assegnato a un professionista l’incarico per la redazione del progetto, la presentazione della Cila, l’attività di direttore dei lavori, la comunicazione di fine lavori e l’aggiornamento del Catasto. Una serie di obblighi burocratici che costano intorno ai 5.500 euro.
Inizio attività: 65 adempimenti e costi in media di 18 mila euro
Ma anche il resto dell’imprenditoria artigiana e commerciale non se la passa meglio. Certificati e permessi: 39 volte in fila e 18 mila euro medi di costi. E le prime vittime? Per l’Osservatorio Cna gli aspiranti imprenditori. Così si blocca chi ha idee e vuole crescere. In sintesi. Sessantacinque adempimenti. Ventisei enti coinvolti. Trentanove file (reali o virtuali) da fare.
Quasi 18 mila euro di spesa. E tutto solo per aprire un salone di acconciatura. A svelarlo è “Comune che vai, burocrazia che trovi”, l’Osservatorio Cna che misura il peso della burocrazia sull’avvio di impresa, alla prima edizione (ma destinato a essere riproposto annualmente). Un’indagine condotta sul campo, in collaborazione con 52 Cna territoriali, in rappresentanza di altrettanti Comuni di cui 50 capoluoghi di provincia.
Non solo, sempre per un salone di acconciatura a monte della presentazione della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) va previsto il superamento di un esame teorico-pratico a compimento di un corso triennale e di uno stage dalla durata variabile: dalle 500 ore richieste nel Lazio alle 1.200 in Lombardia e in Sicilia. Oltre alla documentazione obbligatoria per legge, da presentare al Suap (Sportello unico attività produttive) un terzo dei comuni pretende attestazioni facoltative. Che possono essere molto onerose.
Situazione non certo migliore per chi deve aprire un bar, pratica che richiede fino a 71 adempimenti e coinvolge anche 26 enti con i quali, però, ci si può dover interfacciare fino a 41 volte perché ad alcuni di loro ci si deve rivolgere varie volte. La spesa sfiora i 15 mila euro (14.667 per la precisione).
L’aspirante imprenditore deve aver frequentato un corso che costa in media sui 600 euro ma dura tra le cento (Emilia Romagna, Marche, Piemonte e Sicilia) e le 160 ore (Campania). Gli adempimenti obbligatori sono cinque. Un terzo dei comuni, però, ne richiede anche altri: dalla relazione sui locali e le attrezzature (140 euro) alla verifica dell’adeguatezza dei locali (300 euro), dal certificato di agibilità (mille euro) alla verifica dell’impianto elettrico. I diritti Scia spesso sono gratuiti ma in sei comuni il loro costo supera i cento euro.
Una montagna di burocrazia per l’aspirante autoriparatore
Un’autentica montagna è quella che, invece, si trova di fronte l’aspirante autoriparatore che deve affrontare fino ad 86 adempimenti da assolvere. Gli enti con i quali può avere a che fare sono 30 e 48 i contatti. Con oltre 18.550 euro di costi da affrontare. Per diventare responsabile tecnico di un’attività di autoriparatore (meccatronica, gommista, carrozzeria) occorre un corso propedeutico della durata di 500 ore che costa 2 mila euro.
I diritti Scia oscillano tra la gratuità e un costo superiore ai cento euro. Molte amministrazioni, inoltre, fanno ulteriori richieste rispetto a quelle previste dalla normativa unica. Particolarmente numerosi per l’aspirante autoriparatore sono gli adempimenti ambientali, dall’impatto acustico all’assimilazione acque reflue. Con l’aggravante, anche su questo fronte, dei comuni che procedono in ordine sparso. Per trasformare il suo sogno in realtà l’aspirante gelatiere può trovarsi ad affrontare fino a 73 adempimenti, con 26 enti coinvolti e 41 contatti. E con una spesa per le pratiche burocratiche che da sola arriva a superare i 12.500 euro (12.660 per la precisione).
Anche in questo caso è previsto come pre-requisito quello della frequenza di un corso di Somministrazione alimenti e bevande. L’iter burocratico vero e proprio si apre con la presentazione della Scia, di solito accompagnata da una notifica sanitaria. Agli adempimenti standard in questa fase alcuni comuni ne aggiungono di facoltativi: dalla planimetria con relativa relazione alla verifica dell’adeguatezza locali e dell’impianto elettrico.
Per aprire una falegnameria gli adempimenti possono arrivare a 78, gli enti coinvolti a 26 e a 39 le volte in cui l’aspirante imprenditore (o chi per lui) si deve confrontare con la Pubblica amministrazione. Il combinato disposto di questa girandola di impegni porta fino a 19.742 euro la spesa per le pratiche burocratiche. L’adempimento in sé più oneroso è il certificato controlli antincendi rilasciato dai Vigili del fuoco: mediamente costa 1.600 euro e abbisogna di 60 giorni per il rilascio.
Data la particolarità dell’attività di falegname non sempre è il Suap l’interlocutore di riferimento. Talvolta è un apposito sportello comunale al quale si può inviare tramite Pec e/o in via telematica. Rispetto ad altre attività la falegnameria presenta un numero molto elevato di obblighi ambientali. Con costi, tempi ed enti coinvolti estremamente variabili da un comune all’altro.
Rimanendo ai costi si va da 150 a 600 euro per le pratiche relative allo scarico di acque reflue, da 500 a mille euro per l’impatto acustico, da 150 a 700 euro per l’industria insalubre e da 500 a 1.100 mila euro per le emissioni in atmosfera.
La normativa in materia di salute e sicurezza
Come se non bastasse, a complicare ulteriormente le cose ci sono altre incombenze. La normativa italiana in materia di salute e sicurezza, ad esempio, si caratterizza per l’eccessiva complessità e per l’assenza di modularità tra le varie imprese. Di conseguenza, viene imposta a tutti i datori di lavoro, senza riguardo per la pericolosità dell’attività o per la dimensione dell’impresa, l’adozione degli stessi obblighi documentali e formativi. La complessità si traduce anche in onerosità.
La spesa media per gli adempimenti su salute e sicurezza sul lavoro va da 1.854 euro per attività di gelateria e acconciature, considerate a basso rischio, a 2.119 per i bar, a 4.414 per l’autoriparazione e addirittura a 5.784 euro per la falegnameria. L’autorizzazione al posizionamento di cartelle, insegne di esercizio e altri mezzi pubblicitari, invece, coinvolge fino a dodici enti. Un numero che da solo la dice lunga sulla farraginosità della burocrazia italiana e delle sue imposizioni.
Per ogni genere d’insegna, se l’attività è prospiciente una strada statale, anche la Provincia e l’Anas sono chiamate a dare la loro autorizzazione. In ogni caso, anche per un’insegna di piccole dimensioni posta al di sopra di un’attività in una zona semicentrale, per redigere la richiesta di autorizzazione con i relativi documenti è necessaria una consulenza tecnica.
Il combinato disposto porta alcuni comuni a prendersi oltre 60 giorni per rilasciare il nulla osta. Se l’insegna va collocata in un centro storico, la situazione si complica. L’autorizzazione, infatti, in questo caso abbisogna pure di un nulla osta paesaggistico e di un via libera della Polizia municipale.
Complessa anche la procedura per l’assunzione di un apprendista. La legislazione del lavoro prevede tre diverse tipologie di apprendista. L’Osservatorio ha scelto come esempio il contratto di apprendistato professionalizzante. Per il quale il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la formazione professionalizzante, la cui durata e modalità di erogazione sono stabilite dal Contratto collettivo nazionale di lavoro o da accordi interconfederali.
La formazione va integrata dall’offerta formativa pubblica finalizzata all’acquisizione di competenze di base (da 40 a 120 ore). Il costo medio di questi adempimenti è di 400 euro e gli enti di riferimento talvolta sono diversi. Il datore di lavoro è costretto, pertanto, a comunicare più volte e a più enti le stesse informazioni in contrasto anche con il divieto di chiedere alle imprese documenti e informazioni già in possesso della Pubblica amministrazione.