L’onestà come principio irrinunciabile vale per le bollette da 12.800 euro del senatore Paolo Romani ma non per la truffa da 49 milioni di euro sui rimborsi elettorali della Lega. Che secondo Matteo Salvini sono già stati spesi e, quindi, non devono essere restituiti…
Surreali paradossi e ipocrisia. Sono questi, almeno fino ad ora, i tratti che maggiormente caratterizzano quella che in teoria dovrebbe essere la terza repubblica. “La repubblica dei cittadini”, l’aveva definita la notte del 4 marzo Luigi Di Maio, facendo intendere che finalmente in questa nuova fase che si apriva dopo le elezioni politiche le esigenze e le aspettative dei cittadini sarebbero state al centro dell’operato politico, avrebbero rappresentato la priorità.
Naturalmente è molto presto per poter giudicare, per esprimere giudizi definitivi. Quel che è certo, però, che per ora da questo punto di vista non si sono certo visti cambiamenti rispetto a prima, anzi, per certi versi la situazione è addirittura peggiorata. Altrettanto certo è, però, che più che quella dei cittadini, fino ad ora la terza è sembrata la repubblica dei paradossi e dell’ipocrisia. Il paradosso, ad esempio, è l’elemento predominante nelle pochissime concrete fin qui fatte dal nuovo governo.
La maggioranza che sostiene l’esecutivo sabato e domenica ha celebrato con enfasi il nuovo ruolo dell’Italia in Europa, salvo scoprire che in concreto l’accordo siglato nella notte è di gran lunga peggiorativo per il nostro paese. Per tutto il periodo della campagna elettorale e nelle fasi della formazione del governo, poi, argomenti come la situazione dei terremotati e delle scuole sembravano essere al centro dell’interesse delle forze di governo. Poi, paradossalmente, i primi atti concreti sono andati esattamente in senso contrario.
Quanto all’ipocrisia l’immagine simbolo potrebbe essere rappresentata da Matteo Salvini che giura sul Vangelo e sul rosario, per rimarcare la sua profonda fede cristiana, e poi si accanisce contro i disperati, insensibile anche di fronte alle centinaia di persone morte in mare.
Onestà “a targhe alterne” dalla bolletta di Romani ai rimborsi della Lega
Ma per certi versi ancora più grande è la palese ipocrisia che si riscontra intorno al concetto di onestà che da sempre è stato il fulcro, il punto di riferimento e tratto distintivo, rispetto a tutte le altre forze politiche, del Movimento 5 Stelle. Senza andare troppo lontano o ricordare i tempi (sembra passato un secolo) quando sosteneva che “la presunzione d’innocenza non vale per un politico” (che quindi doveva immediatamente dimettersi anche solo all’arrivo dell’avviso di garanzia), solo pochi mesi fa, in vista di una possibile intesa di governo, ricordava le “regole etiche” del Movimento.
“Possiamo parlare e discutere di programmi con tutti – sosteneva – ma abbiamo bisogno di persone e di partiti su cui non pendano dubbi. Per noi l’onestà resta al primo posto, piuttosto è meglio rinunciare alle poltrone che cedere su questo principio”. E proprio in nome di questo principio imprescindibile, era arrivato il no, granitico, sulla figura di Paolo Romani come presidente del Senato. Qualunque cosa si pensi in proposito, non si può che sottolineare la coerenza di un simile atteggiamento. Peccato, però, che quella stessa coerenza sia completamente e totalmente venuta meno di fronte alla grave truffa da parte della Lega e l’imbarazzante vicenda dei 49 milioni di euro da restituire allo Stato.
Magari sarebbe stato troppo pretendere coerenza al 100%, il rispetto di quel principio (“onestà al primo posto”) in maniera così drastica come invece è stato nella vicenda Romani. C’è in gioco il governo, non una ma tantissime poltrone e le ferree “regole etiche” possono avere delle deroghe. Ma, quanto meno, ci si attendeva un segno, un qualche intervento che almeno rendesse chiaro che, se non più così determinante, però ancora l’onestà qualcosina conta. Perché siamo ben oltre la storia della trave e della pagliuzza e la vicenda che ha visto protagonista Romani è davvero nulla rispetto a quello che riguarda la Lega.
Per chi non lo sapesse il senatore di Forza Italia era stato condannato ad un anno e 4 mesi (peculato) per una vicenda relativa al cellulare di servizio (avuto quando era assessore al Comune di Monza), finito nella mani della figlia che, tra telefonate, internet e chat, finì per spendere 12.800 euro nel giro di un anno. Senza entrare nel merito delle giustificazioni fornite, resta il fatto che Romani ha commesso un reato ed è stato condannato, pur avendo poi restituito la somma in questione.
Si può pensare che sia eccessivo porre il proprio veto e erigere un muro di fronte ad una vicenda del genere, ma è giusto rispettare e, anzi, per certi versi ammirare e sostenere chi ha un concetto così alto di onestà, soprattutto quanto di mezzo ci sono ruoli istituzionali.
Truffa rimborsi elettorali: oltre al danno, la beffa
Però, come detto, i 12.800 euro costati la condanna a Romani sono molto meno che una pagliuzza rispetto ai 49 milioni della maxi truffa sui rimborsi elettorali da parte della Lega che hanno portato alle condanne di Bossi e Belsito ma che ora coinvolgono direttamente anche l’attuale leader Salvini. Che, nonostante il parere espresso proprio in queste ore dalla Corte di Cassazione, non vuole in alcun modo restituire i soldi ottenuti con una truffa dal suo partito, sostenendo addirittura con una certa spocchia che quei soldi non ci sono più perché sono stati spesi.
A voler essere pignoli, sulla base del comportamento avuto nella vicenda Romani coerenza vorrebbe che il M5S non possa stare insieme ad un partito che ha commesso una simile truffa (e che, a differenza del senatore di Forza Italia, addirittura si rifiuta di restituire il bottino della truffa). Ma, visto quello a cui abbiamo assistito negli anni precedenti, forse tutta questa coerenza e tutta questa onestà così di colpo potrebbero farci male, non siamo abituati.
D’altra parte che la truffa della Lega non fosse, a differenza della bolletta telefonica di Romani, un problema per Di Maio e il M5S lo si era capito quando il leader grillino ha lasciato cadere, senza neppure rispondere, l’interrogativo che aveva posto su Twitter il senatore Morra (“lo ricordiamo che la Lega ha avuto un problemino da 52 milioni di euro?”).
Però ora, di fronte a quello che è addirittura un atteggiamento di sfida da parte di Salvini (con, per giunta, la riproposizione del modello tipicamente berlusconiano della magistratura politicizzata…), da parte di chi fino a qualche settimana sventolava la bandiera dell’onestà ci si attendeva una presa di posizione, almeno una critica al proprio alleato. Invece il silenzio più assoluto che sancisce ufficialmente quello che già si era intuito (e che già la vicenda Parnasi e dello stadio della Roma avevano reso palese): il tempo dell’onestà è finito.
“Ovunque venga rinvenuta qualsiasi somma di denaro riferibile alla Lega Nord – su conti bancari, libretti, depositi – deve essere sequestrata fino a raggiungere 49 milioni di euro, provento della truffa allo Stato per la quale è stato condannato in primo grado l’ex leader leghista Umberto Bossi”. Finora sono stati bloccati 1,5mln di euro” ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso della procura di Genova.
“Quei soldi non ci sono più, li abbiamo spesi in questi 10 anni” aveva già spiegato qualche settimana fa Salvini, come se l’aver speso soldi che si sapeva che erano frutto di una truffa possa in qualche modo giustificare o esentare la Lega dal restituirli. Non lo sarebbe per un cittadino qualsiasi, figuriamoci se può esserlo per un partito, per giunta ora al governo.
Ricordato che per quella truffa ai danni dello Stato sono stati condannati in primo grado Bossi (2 anni e mezzo), l’ex tesoriere Belsito (4 anni e 10 mesi) e i revisori dei conti Aldovisi (1 anno e 9 mesi), Sanavio e Turci (2 anni e 8 mesi), in realtà il coinvolgimento di Salvini va ben oltre l’inaccettabile comportamento dell’attuale leader leghista che non ritiene giusto restituire quei soldi.
Secondo quanto pubblicato da “L’Espresso”, lo stesso Salvini avrebbe utilizzato una parte dei fondi frutto della truffa, come testimonierebbero alcune carte in mano al giornale. Per giunta quando già lo stesso Salvini era a conoscenza della truffa stessa. In particolare “L’Espresso” cita gli 820 mila euro incassati dall’attuale ministro degli interni il 31 luglio 2014, quando già era iniziato il processo per truffa. E, soprattutto, i 500 mila incassati il 27 ottobre successivo, 20 giorni dopo che lo stesso Salvini aveva annunciato di costituirsi parte civile nel processo contro Bossi (che, però, poi l’attuale leader leghista ha candidato al Senato…).
A conferma, inequivocabile, che la nuova dirigenza era consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Il leader del Carroccio, in realtà, continua a sostenere che quei soldi non li ha mai visti e che, comunque, visto che sono stati già spesi non è giusto che ora la Lega debba restituirli. Un concetto a dir poco bizzarro che dovrebbe far inorridire, soprattutto chi ha sempre messo l’onestà al primo posto della propria azione politica, ma che invece sembra essere stato digerito senza alcun problema.
“Il popolo italiano ha sete di onestà” disse Sandro Pertini nel suo discorso di insediamento di fronte al Parlamento. Sinceramente noi tutta questa “sete di onestà” da parte del popolo italiano non l’abbiamo mai vista. E se qualcuno si era illuso che ora qualcosa potesse cambiare, può già mettersi l’animo in pace. L’onestà non è più (e probabilmente non lo è mai stata) di moda nel mondo politico italiano…