Al di là degli aspetti politici, colpisce la totale assenza di umanità e di senso di pietà nella maggior parte di chi si esprime sulla drammatica vicenda della nave Aquarius. Purtroppo non una novità come si era già visto nei casi Sounayla, Saviano, Calabresi, Argento
Sono passati più di 50 anni da quando Francesco Guccini scrisse (e poi i Nomadi portarono al successo) una delle canzoni più controverse e significative della storia della musica italiana, “Dio è morto”. Ed è davvero impressionante come quel testo, il suo più profondo significato siano oggi così di attualità.
Magari con qualche piccolo aggiustamento per renderlo ancora più attinente alla terrificante realtà dei nostri giorni. “Nei campi di sterminio, Dio è morto” scriveva allora Guccini, con i campi di sterminio che rappresentavano il luogo dove davvero l’umanità, e quindi Dio, non era presente, il luogo simbolo della “morte di Dio”. Oggi quel luogo probabilmente è il mare Mediterraneo, dove in questi primi mesi del 2018 sono morti oltre 800 disperati (almeno per le cifre ufficiali che, però, è assai probabile siano approssimate per difetto…) e dove sulla pelle di altri disperati si combatte una sporca guerra tra differenti egoismi.
“Coi miti della razza, Dio è Morto. Con gli odi di partito, Dio è morto” scriveva ancora Guccini, sicuramente non immaginando che 50 anni dopo quelle due strofe sarebbero state ancora più attuali. Il problema è che quella splendida canzone si chiudeva con un messaggio (per il cantautore bolognese un po’ insolito) di discreto ottimismo: “ma penso, che questa mia generazione è preparata, a un mondo nuovo e una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”.
E, con tutti gli sforzi che si possono fare, dopo i fatti e dopo aver letto di tutto in questi giorni (ma sarebbe più corretto dire in queste settimane), appare utopistico parlare di “mondo nuovo” e “speranza appena nata”. Il sospetto che Dio fosse morto per la verità ormai l’avevano da diverso tempo. Quindi la terrificante vicenda della nave Aquarius, con i suoi 629 disperati lasciati, in maniera disumana (almeno fino all’intervento del premier spagnolo), in mezzo al mare, è semmai la più evidente e triste conferma.
Non stiamo e non vogliamo parlare degli aspetti politici della vicenda. Magari sarebbe opportuno e serio informarsi seriamente e concretamente sulla reale situazione (invece di credere a prescindere a ciò che afferma la propria parte politica), ma è legittimo pensare e sostenere che l’Italia debba fare la voce grossa in Europa, debba chiedere una differente gestione politica di questa grave emergenza.
E’ ampiamente lecito e legittimo (anche se ci sarebbe molto da dire in proposito) sostenere il principio “prima gli italiani” contro un’invasione di migranti che nei fatti e nei numeri non c’è ma che come tale viene percepita (e volutamente raccontata) da un numero sempre crescente di italiani.
La “crociera” dorata sull’Aquarius
Il punto centrale della vicenda è che le trattative politiche vanno fatte ai tavoli politici e non prendendo come ostaggi 629 disperati. Ancora di più, il nodo primario riguarda quello che dovrebbe essere un principio umanitario da tutti condiviso, cioè che la vita e la dignità umana vengono prima di ogni altra cosa. In tal senso in queste ore e in questi giorni abbiamo letto e ascoltato, prima da politici, poi da giornalisti e commentatori che avevano bisogno di “lavarsi la coscienza”, dichiarazioni rassicuranti sul fatto che non c’era alcuna emergenza umanitaria, che i 629 disperati sull’Aquarius stavano tutti perfettamente, che la nave, per giunta, non è certo una “bagnarola”, bene attrezzata. Insomma, quasi quasi si potrebbe pensare che quei 629 sono dei fortunati in crociera gratuita…
La realtà, ben differente, l’ha descritta perfettamente nella giornata di ieri (lunedì 11 giugno) Carlotta Sami, portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. “La situazione delle 629 persone è allo stremo – ha spiegato – tra l’altro si tratta di un gruppo di persone che non hanno deciso autonomamente di partire ma che sono stati messi nei gommoni dai trafficanti dopo essere stati torturati, abusati. Molti portano delle bruciature, hanno i segni di tortura addosso. Ci sono, tra l’altro, donne incinte, una ha partorito sulla nave, ci sono persone in condizioni serie, senza contare che ci sono 121 minori”.
Carlotta Sami ha, poi, aggiunto altri particolari sconvolgenti su quello che hanno vissuto quelle persone nelle settimane e nei mesi precedenti (e che tuttora vivono migliaia di persone), sottolineando ad esempio che molte donne cercano di rimanere incinte perché così evitano stupri e violenze di gruppo. Ha poi sottolineato come l’Aquarius in realtà possa contenere a fatica circa 500 persone e come anche a livello di scorte alimentari la situazione è critica. La Sami ha anche fatto considerazioni interessanti su come in realtà, a suo dire, la chiusura dei porti andrebbe “a foraggiare il traffico di essere umani”.
Ma qui entreremmo in un discorso politico che non ci interessa, almeno in questa sede. Quello che ci preme ora portare all’attenzione è prettamente l’aspetto umanitario.
“Quando si parla di vite da salvare nulla può scusare la mancanza di umanità”
Nel mare di “disumanità” che abbiamo registrato in proposito sui social, ci ha colpito un’affermazione profondamente condivisibile, che rappresenta al meglio quello che è il nostro pensiero: “quando si parla di vite da salvare e quando si dimentica il valore degli esseri umani non ci può essere discorso che possa scusare la mancanza di umanità”. E proprio questa “mancanza di umanità” riscontrata in maniera tragicamente diffusa in questa vicenda, per non parlare dei tanti, troppi inviti diffusi a fregarsene della sorte di quelle 629 persone, (“meglio lasciarli affogare che farli entrare nel nostro paese”, anche questo ci è toccato leggere, con centinaia di like e condivisioni…), che testimonia in maniera inequivocabile che “Dio è morto”.
Per farsi un’idea del livello di disumanità che si porta dietro questa vicenda basterebbe leggere la pioggia di inverecondi commenti postati sotto il tweet di monsignor Ravasi che cita un passo del Vangelo di Matteo (“Ero straniero e non mi avete accolto”). A rendere ancora più attuale la canzone di Guccini è, poi, il fatto che il testo del cantautore bolognese era un atto di denuncia contro il “falso moralismo” e “l’imperante ipocrisia” di un certo tipo di società.
Perché è davvero impossibile non parlare di “imperante ipocrisia” di fronte ai post, ai commenti, alle affermazioni di chi un giorno si e quell’altro pure non perde occasione per autoproclamarsi depositario dei valori cristiani, per riaffermare con forza le radici cattoliche e cristiane della nostra società, per esaltare quei valori e per chiederne il rispetto quasi ossessivo ma, poi, con incredibile nonchalance, plaude a questo genere di disumanità e augura il peggio possibile a quei disperati. In realtà, come abbiamo già anticipato, non c’era certo bisogno di questa triste vicenda per rendersi conto che “Dio è morto”.
Da Soumayla a Saviano, da Calabresi ad Asia Argento: il trionfo della disumanità
Chi frequenta con una certa continuità i social se ne era ampiamente accorto da settimane. Un trionfo di disumanità, che non si ferma di fronte a nulla, neppure di fronte alla morte e al rispetto che meriterebbero i morti. Potremmo parlare, ad esempio, della vicenda di Sacko Soumayla, il 29enne del Mali, ucciso nel folle “tiro al piccione” di un 43enne contro tre ragazzi di colore, dei commenti senza neppure un barlume di umana pietas nei suoi confronti (per non parlare dei tanti, troppi, che addirittura hanno esultato al grido di “uno di meno” o giustificato il barbaro omicidio).
Ma potremmo anche citare l’ignobile campagna d’odio scatenata contro Saviano, “colpevole” di aver ricordato che “il diritto del mare ha una regola sacra, non si lasciano annegare le persone” (lo ha ricordato in queste ore anche il presidente della Camera Roberto Fico…) e per questo meritevole di ogni genere di insulti, compresi gli “auguri” di chi vorrebbe che in mare venisse buttato e fatto affogare lo stesso Saviano e gli appelli di chi vorrebbe togliergli la scorta, per lasciarlo al “destino che si merita”.
Dio è morto e con esso anche il rispetto per chi non c’è più e per chi si porta dietro il profondo dolore per la morte di un proprio caro. In una classifica dell’indecenza, il fondo se possibile si è toccato con i commenti violenti e indecenti alla vicenda che ha riguardato e colpito il direttore di “Repubblica” Mario Calabresi, ignobilmente offeso in diretta tv (su Sky) da Paolo Becchi che ha definito “Repubblica” “il giornale dell’orfano”.
Uno squallidissimo e terrificante riferimento alla morte del padre del giornalista, il commissario Luigi Calabresi ucciso il 17 maggio 1972 a Milano, che sui social ha suscitato lo sconfortante e sconcertante apprezzamento e condivisione da parte di centinaia e centinaia di persone. Luigi Calabresi era un servitore dello Stato, per questo (e per un’invereconda campagna d’odio da parte dell’estrema sinistra) ha perso la vita giovanissimo e ha reso orfano il piccolo Mario (all’epoca aveva 2 anni). Che, magari, potrà essere considerato un pessimo giornalista, anche di parte, può essere oggetto di qualsiasi genere di critica, anche la più pesante ma che di fronte ad una simile ignobile offesa dovrebbe essere difeso e meriterebbe tutta al solidarietà del mondo da parte di chi conserva ancora un briciolo di umanità.
Stesso discorso si potrebbe fare per la vicenda di Asia Argento e il suo dolore, irriso e ignobilmente umiliato, per il tragico suicidio del suo compagno Anthony Bourdain. “La pietà per ogni essere vivente è la prima valida garanzia per il buon comportamento dell’uomo” diceva Schopenhauer. In queste difficili e turpi settimane è difficile intravedere la pietà addirittura nei confronti di chi non c’è più, di chi è morto anche in circostanze tragiche.
Il segno più evidente che “Dio è morto”. E, vista la situazione, questa volta chissà quando e se risorgerà…