Le elezioni politiche sanciscono il trionfo del Movimento 5 Stelle, la grande affermazione della Lega ma anche il tonfo del Pd e la scomparsa della sinistra. Una fine annunciata, provocata dalla solita vocazione al suicidio dei principali leader e movimenti della sinistra italiana
In un quello che può essere considerato un tipico paradosso italiano, le elezioni politiche che hanno dato il risultato più chiaro dell’ultimo decennio rischiano di provocare la situazione più ingarbugliata e di difficile soluzione. Non bisogna certo essere dei fini analisti politici per rendersi conto del trionfo del Movimento 5 Stelle e della non meno importante affermazione della Lega di Salvini, del tonfo del Pd di Renzi e dell’ennesimo suicidio annunciato di tutta la sinistra (un classico che non passa mai di moda).
Al tempo stesso non esce benissimo dalle elezioni Forza Italia e forse (ma già altre volte si era ipotizzato) è davvero finita l’epoca di Berlusconi in Italia. Ricordando a chi, preso dall’entusiasmo, l’ha dimenticato che si confrontano le coalizioni (vere o fittizie che siano), alla fine da questo punto di vista ha indiscutibilmente vinto il centrodestra che otterrà sia il Senato che alla Camera la maggioranza relativa dei seggi ma in entrambi i rami del Parlamento è ben lontana (anche se per avere il quadro complessivo bisognerà attendere l’attribuzione di tutti i seggi) dall’avere numeri che consentano anche solo di provare a governare. Non vorremmo davvero essere nei panni del presidente della Repubblica Mattarella che, prima o poi, dovrà comunque quanto meno provare ad affidare l’incarico a qualcuno e la scelta non sarà per nulla semplice.
Anche perché l’assoluta e totale ignoranza in materia di Costituzione (quella che tutti a parole difendono a “spada tratta” ma che in pochi conosco davvero) complica notevolmente la posizione del presidente che, siamo certi, qualsiasi scelta farà si attirerà addosso le critiche di chi (da una parte o dall’altra) si sentirà in qualche modo scippato della vittoria. Non sarà per nulla facile, la prassi costituzionale dovrebbe spingere il presidente ad affidare l’incarico inizialmente ad un rappresentante della coalizione vincente (il centrodestra), quella che ha più seggi.
Ma è del tutto evidente che non si può non tenere conto del dato politico e del risultato del Movimento 5 Stelle, anche se il numero di seggi che ottengono i “grillini” pur se elevatissimo (e per certi versi inaspettato, almeno in questi termini) sembrano precludere ogni possibilità di governo 5 Stelle, anche perché è da escludere che Mattarella possa appoggiare un’eventuale richiesta di Di Maio di presentarsi in Parlamento senza numeri (e una simile decisione provocherebbe una reazione sicuramente decisa di tutto il centrodestra).
Considerato che non pare per nulla credibile una clamorosa e inaspettata convergenza del Pd senza Renzi verso il Movimento 5 Stelle (sarebbe il perfetto suicidio finale e non crediamo che lo stesso M5S potrebbe neppure pensare ad una simile ipotesi), l’unica possibilità che resta ai “grillini” per andare al governo è quella di fare un accordo con la Lega, nel caso che il centrodestra non riesca a metter su un governo. Ovviamente, però, partendo da presupposti completamente differenti da quelli sin qui sbandierati. E sinceramente ci sembra molto improbabile che ciò possa accadere, anche perché una simile decisione rischierebbe seriamente di minare la credibilità dei due leader (Salvini e Di Maio). In altre parole la situazione è davvero complessa e di non semplice soluzione come, però, è normale che sia quando il voto esprime una simile rivoluzione. Perché, per quanto in parte attesa (ma non in queste proporzioni), è innegabile che il risultato delle urne rappresenta una svolta epocale, una vera e propria rivoluzione per il nostro paese (non è detto che sia destinata a durare a lungo ma al momento è così).
In un certo senso storico è il successo ottenuto dal Movimento 5 Stelle che, al di là di ogni considerazione, è riuscito ad interpretare nel modo migliore la voglia di rinnovamento, la stanchezza verso i partiti tradizionali di una larga parte del paese. Il messaggio essenziale, semplice ma di sicuro impatto che sono riusciti a veicolare, grazie anche ad un’indiscutibile capacità comunicativa che, rispetto alle elezioni 2013, hanno sfoggiato anche in tv e non solo in rete, ha fatto breccia, riuscendo a far finire in secondo piano anche i problemi e le contraddizioni che pure sono emerse in questa campagna elettorale. La doppia versione dei due principali leader del Movimento, quello più rassicurante e più vicino ad un tradizionale leader di partito di Di Maio e quello invece più autenticamente anti sistema e anti convenzionale di Di Battista, ha funzionato alla perfezione e ha dato risultati inattesi.
Un unico dato, in un panorama trionfale, dovrebbe far riflettere i vertici del Movimento. Proprio dove governano a livello locale i 5 Stelle hanno ottenuto i risultati peggiori. A Roma il M5S ha perso nella maggior parte dei collegi e, addirittura, in alcuni è al terzo posto, con percentuali anche sotto il 20%. Peggio ancora è andata a Torino, dove i collegi se li sono spartiti centrodestra e centrosinistra, e a Livorno dove a sorpresa ha vinto il centrodestra e il M5S è al terzo posto. Faranno bene i “grillini” a non sottovalutare questo dato (pur con tutte le opportune differenze che esistono tra voto politico e amministrativo) perché è un segnale che gli elettori, dopo aver sposato e dato fiducia al Movimento, vogliono poi vedere risultati concreti e coerenti.
Numericamente meno rilevante ma per certi versi ancor più clamoroso è il successo della Lega con Salvini che ha azzeccato in pieno il messaggio elettorale (“Prima gli italiani”), sfruttando alla perfezione il sentimento popolare sul problema degli immigrati. Non ci sono dubbi che il leader del centrodestra ora è lui, anche se questo potrebbe comunque non portarlo a diventare il primo presidente del Consiglio leghista. I numeri del centrodestra non sono tali da rendere semplice questa soluzione e in un’eventuale alleanza con il Movimento 5 Stelle è ovvio che non sarebbe certo Salvini il presidente del Consiglio.
Quello che, però, è forse il dato ancora più rilevante delle elezioni è la fine della sinistra italiana che nel prossimo Parlamento avrà un ruolo del tutto marginale. Un suicidio ampiamente previsto visto che a questa conclusione hanno lavorato alacremente tutti i leader e tutti i partiti e movimenti che fanno parte di quell’area. E’ chiaro che oggi le maggiori attenzioni sono rivolte a Renzi, giustamente indicato come principale responsabile del crollo del Pd. Che, però, è indiscutibile che fosse il vero obiettivo di tutti gli altri leader e di tutti i movimenti della sinistra. Che, magari, si erano illusi di poterne trarre qualche vantaggio non comprendendo che, invece, in tal modo avrebbero finito per essere travolti anche loro da questa deriva.
Il fallimento non è solo di Renzi ma anche di Grasso, Boldrini, Bersani, forse D’Alema (che, però, da anni lavora per distruggere la sinistra…) e di tutti i cespuglietti della sinistra più radicale. Che ora dovrebbe avere il pudore di tacere e di fare una seria analisi di coscienza invece di inveire contro il rischio leghista… Chi invece vede tramontare bruscamente il proprio sogno è l’estrema destra. Casapound si era illusa che l’obiettivo di entrare in Parlamento fosse possibile, le urne hanno dimostrato quanto lontani fossero dalla realtà, mentre Forza Nuova praticamente quasi non esiste. Dando un rapido sguardo a livello locale, fatta nuovamente la premessa che bisogna avere cautela nel proiettare il voto politico su quello amministrativo, se possibile la rivoluzione è addirittura maggiore.
Nelle Marche incredibilmente è testa a testa tra centrodestra e Movimento 5 Stelle (di poco avanti), con il centrosinistra incredibilmente terzo e anche ad una certa distanza. Questo, ovviamente, non vuole dire automaticamente che la Regione alle prossime elezioni cambierà padrone ma la possibilità che ciò accada (a favore di centrodestra o del Movimento 5 Stelle) è molto concreta. Stesso discorso per quanto riguarda il capoluogo piceno, anche ad Ascoli trionfa il Movimento 5 Stelle e per il centrodestra lo smacco è addirittura maggiore perché erano scesi in campo alcuni dei big di questa amministrazione comunale.
Pesante è lo smacco soprattutto per Marco Fioravanti, presidente del Consiglio comunale, sconfitto nel seggio uninominale (anche ad Ascoli) e che esce da queste elezioni assolutamente ridimensionato. Sfrutta, invece, l’onda lunga leghista l’assessore alla cultura Latini che approda in Parlamento (e nessuno la rimpiangerà nel capoluogo piceno…).
E’ del tutto evidente che un risultato così negativo è un brutto colpo anche per l’amministrazione comunale e un brusco stop per lo stesso sindaco Castelli. Ma da qui a trarre determinate conclusioni ci sembra sinceramente molto avventato…