Elezioni 2018: tra impresentabili e inaffidabili c’è solo l’imbarazzo della scelta…
Un centinaio di indagati, 8 condannati (6 del centrodestra e 2 di Casapound) almeno in primo grado, personaggi equivoci, ex troniste, vallette e aspiranti miss, una lunga schiera di “voltagabbana”. Aumenta la voglia di astensione alla luce delle liste ufficiali dei candidati
A vedere alcune sue foto, verrebbe quasi spontaneo e immediato pensare che alle prossime elezioni sia candidata con Forza Italia, al pari di ex aspiranti miss Italia (Matilde Tartaglione e Annaelsa Siracusano) o di ex concorrenti di “Uomini e donne” (Ylenia Citino).
Ex modella, indiscutibilmente avvenente e affascinante, la 28enne campana Alessia D’Alessandro, invece, doveva essere una delle “punte di diamante” del Movimento 5 Stelle, definita da Di Maio (ma anche autodefinitasi) l’esempio più fulgido della grande competenza dei candidati “grillini”. La cruda realtà dei fatti, invece, rischia di trasformarla in uno dei casi più paradossali e surreali, ma per certi versi anche comico, di questa insopportabile campagna elettorale. Non certo il peggiore e il più sconfortante nel desolante panorama dell’esercito di candidati che si contenderanno i quasi mille posti in Parlamento, nell’uninominale e nel proporzionale, il prossimo 4 marzo.
Nelle settimane precedenti alla presentazione ufficiale delle liste, molto si era parlato, a proposito della possibile elevata percentuale di non votanti, del fatto che la scelta dei candidati (da parte dei vari schieramenti) avrebbe potuto rappresentare un buon incentivo per spingere almeno una parte di loro a cambiare idea, a convincerli a recarsi alle urne. Lunedì 29 gennaio sono state ufficializzate tutte le candidature e la prima sensazione che abbiamo avuto, scorrendo rapidamente l’elenco dei vari partiti e dei vari schieramenti, è che piuttosto c’è il rischio che si verifichi esattamente il contrario, che l’esercito di chi non vota potrebbe ingrossarsi. Se possibile, però, analizzando meglio e approfondendo l’elenco dei candidati (definitivamente ufficializzato ieri giovedì 8 febbraio dal ministero degli interni) delle 41 liste ammesse alle elezioni il senso di nausea e di disgusto peggiora, fino a trasformarsi in una sorta di amara rassegnazione.
Al di là della tentazione sempre più forte di non andare a votare (in alcuni collegi per votare non basta “turarsi il naso”), viene quasi da pensare che in fondo aveva ragione Grillo quando, qualche anno fa (quando il Movimento 5 Stelle si presentava ancora in veste “rivoluzionaria”), tra il serio e lo scherzoso sosteneva che il Parlamento italiano andava chiuso e abolito. In un paese “normale” pretendere un certo tipo di profilo, un minimo di competenza, di credibilità e affidabilità negli aspiranti parlamentari sarebbe il minimo. Invece scorrendo quelle liste si trova davvero di tutto, personaggi equivoci, millantatori, “voltagabbana”, impresentabili, inaffidabili, ogni tanto anche qualche candidato affidabile e competente (ce ne sono alcuni in ogni schieramento).
Il dato più evidente che emerge è che la cosiddetta “questione morale” non riguarda più (o forse sarebbe meglio dire che non ha mai riguardato) la politica italiana. Intendiamoci, ci sarebbe molto da parlare sulle distorsioni e sulle disfunzioni della giustizia italiana. E da convinti “garantisti”, siamo convinti che un indagato è innocente fino a prova contraria. Però tra l’andare in carcere e l’essere ingiustamente additato come colpevole prima ancora del termine del percorso giudiziario e diventare parlamentare della repubblica ce ne passa…
Il problema è che l’ultima speranza che la “questione morale” potesse in qualche modo diventare patrimonio della politica italiana è caduta quando anche il Movimento 5 Stelle, di fronte alle beghe giudiziari dei propri rappresentanti, ha abdicato. Da “la presunzione di innocenza per un politico non esiste” e “un politico indagato deve immediatamente dimettersi”, i grillini sono passati a posizioni ben meno intransigenti all’arrivo dei primi avvisi di garanzia a propri esponenti. Al punto che il provocatorio appello fatto nei giorni scorsi da Di Maio al Pd (“ritirate tutti i candidati indagati perché impresentabili”) alla fine si è rivelato uno tra i peggiori autogol, visto che per coerenza allora anche i 14 sindaci grillini indagati si sarebbero dovuti immediatamente fare da parte.
Autogol e coerenza a parte, il dato di fatto che resta è che tra centrodestra (soprattutto Forza Italia ma anche Lega e Fratelli d’Italia) e Pd sono un’ottantina i candidati indagati, tutti o quasi in condizione di avere la quasi certezza della propria elezione. Sono invece 8 (sempre che non ce ne sia sfuggito qualcuno…) i candidati già condannati (almeno in primo grado), di cui 6 presenti tra le fila del centrodestra e 2 con Casapound.
I casi più clamorosi sono senza dubbio quelli di Roberto Formigoni (Noi per l’Italia cdx), ex presidente della Lombardia e condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per corruzione, e di Umberto Bossi, ex leader della Lega, con sulle spalle due condanne in primo grado per truffa e appropriazione indebita. Ci sono, poi, Antonino Minardo (Forza Italia) condannato a 8 mesi per abuso d’ufficio, Antonio Angelucci (Forza Italia) condannato ad un 1 anno e 4 mesi per falso e tentata truffa per contributi pubblici, Ugo Cappellacci (Forza Italia – capolista in Sardegna) condannato a 2 anni e mezzo per il crac milionario della Sept Italia e Michele Iorio (Forza Italia) condannato a 6 mesi per abuso di ufficio. Anche per loro elezione quasi certa. Per quanto riguarda Casapound i due candidati condannati (in primo grado) sono Filippo Castaldini, un anno di reclusione per lesioni e minacce, e Francesco Amato, 3 anni e 7 mesi per resistenza aggravata e lesioni.
Non è indagato, ma non per questo la sua candidatura è meno imbarazzante, Emanuele Dessì, candidato nel collegio 3 del Lazio (Frosinone, Latina, Velletri e Fiumicino) con il Movimento 5 Stelle. La sua amicizia con alcuni componenti del clan Spada, i suoi post che inneggiano alla violenza, la vicenda della casa popolare con affitto a 7 euro al mese fanno di lui un candidato quasi più imbarazzante e “impresentabile” di un indagato o condannato. Di Maio aveva annunciato che Dessì aveva firmato il foglio per la rinuncia ma nelle liste ufficializzate ieri dal Viminale il suo nome resta. E, vista la posizione nel listino del proporzionale, la sua elezione in Senato è quasi certa.
Discorso per certi versi analogo per Carlotta Chiaraluce (soprannominata “Lady Ostia” e “Lady preferenza”), candidata con Casapound e da tempo, insieme al compagno di vita e di politica Luca Marsella, al centro della cronaca per i suoi rapporti e la sua amicizia con Roberto Spada. Lo stesso leader di Casapound Simone Di Stefano in un’intervista del 12 novembre scorso con Lucia Annunziata aveva definito “sconvenienti” i rapporti della Chiaraluce con l’allora reggente del clan. Non così tanto, evidentemente, da precluderle la candidatura.
Chiuso il capitolo che in qualche modo ha a che fare con la cosiddetta “questione morale”, c’è poi da sottolineare come, per avere qualche voto in più o per avere qualche vantaggio elettorale in più, partiti e schieramenti non hanno certo esitato a passare sopra ogni genere di principio precedentemente fissato. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, aveva più volte ribadito il no a candidati che avevano avuto già esperienze con altri partiti. Eppure pian piano sono spuntati fuori candidati provenienti da ogni dove: Franci (Lega), Caiata (Pdl), Mollame (Mpa) Marinello (Pdl), Turati (Lega-Forza Italia) dal centrodestra, Casa (Pd), Lattanzio (Pd) e Vono (Idv) dal centrosinistra.
Soprattutto, però, grazie al M5S in qualche modo nel prossimo Parlamento non sentiremo la mancanza di Angelino Alfano che, come forse saprete, ha deciso di fermarsi e di non partecipare. A ricordarci la sua figura ci penserà il suo stretto collaboratore e consulente giuridico Claudio Consolo, candidato con i “grillini” al collegio del Senato Roma1. Consolo, per altro, è stato consulente giuridico di Alfano ai tempi in cui il politico siciliano era ministro della giustizia del governo Berlusconi (quindi anche a Consolo si devono alcune delle più sconcertanti “schifezze” in campo giudiziario del governo Berlusconi).
Grazie al Pd, invece, non correremo il rischio di sentire la mancanza di Pierferdinando Casini, visto che il partito di Renzi ha deciso di candidarlo nel collegio uninominale di Bologna, tra scene di giubilo e l’entusiasmo incontenibile degli elettori del centrosinistra bolognese…
Sempre il Pd ci regala uno dei casi più singolari di queste elezioni, l’incredibile storia di Giacomo Mancini. Il nipote dell’omonimo leader politico socialista è il candidato dem nel collegio uninominale a Cosenza, nonostante tre anni fa era stato candidato alle regionali con Forza Italia. Fin qui quasi nulla di strano, uno dei tanti cambi di casacca. Se non fosse, però, che Mancini al momento è il primo dei non eletti nel Consiglio regionale calabrese e che nel collegio uninominale dove si candida il principale avversario e il candidato del centrodestra Orsomarso, ora consigliere regionale. Ne consegue che se vince nel collegio Mancini diventa deputato del Pd, se perde e vince Orsomarso entrerebbe al suo posto nel Consiglio regionale con Forza Italia. Per lui vale il famoso slogan “comunque vada sarà un successo”.
Da citare ancora, tra le tante candidature imbarazzanti, quella di Sara Cunial, capolista del Movimento 5 Stelle in Veneto (quindi destinata ad entrare in Parlamento), nota per la delirante teoria secondo cui “il vaccino è un genocidio”, e quella di Augusto Sinagra con Casapound, storico legale di Licio Gelli e anche lui iscritto alla P2, prima del sequestro delle liste.
Non sarebbe da annoverare in nessuna delle categorie che abbiamo citato, invece, Alessia D’Alessandro che, però, è finita al centro di una vicenda per certi versi emblematica per il fatto di essere stata citata come esempio della competenza dei candidati del Movimento 5 Stelle da Di Maio che, addirittura, ha parlato di lei come consulente della Merkel. La bella 28enne napoletana si è accodata alle dichiarazioni del suo leader, evitando di citare la Merkel ma affermando di coordinare ben 22 commissioni. “Non è operativa in nessun ambito rilevante dal punto di vista politico e non cura contatti politici, abbiamo l’impressione che la sua posizione sia stata ingigantita in modo poco serio dal suo partito nei media italiani” è stato costretto a puntualizzare il partito della Merkel (Cdu), mentre la Wirtschafsrat (l’organizzazione di rappresentanza delle imprese dove la candidata grillina lavora) ha poi svelato che in realtà la D’Alessandro svolge il ruolo di addetta la marketing.
A sfidarla (per il centrosinistra), nel collegio della provincia di Salerno, ci sarà il “re delle fritture”, Franco Alfieri ex sindaco di Agropoli e capostaff del presidente della Campania De Luca, altro personaggio a dir poco singolare. Non vorremmo esser nei panni dei salernitani…