La nuova norma sui biosacchetti è stata approvata ad agosto. Eppure solamente ora viene sollevato un immotivato “polverone”. Che nasce dal presunto scoop sull’imprenditrice “renziana” che, in realtà, è solo un’improbabile montatura…
C’è un aspetto decisamente positivo nella surreale farsa della guerra ai biosacchetti che da inizio 2018 impazza sui social. Se da giorni ci si scontra e si discute su un fatto che, in buona sostanza, non ha quasi alcuna rilevanza e non incide in alcun modo sulla vita degli italiani, se si perde tutto questo tempo per litigare e accapigliarsi su una simile sciocchezza vuol dire che non ci sono problemi seri, vere emergenze e situazioni davvero delicate nel nostro paese.
Certo ci sarebbe da obiettare che questo inizio di 2018 in realtà ci sta già proponendo eventi e situazioni a dir poco preoccupanti su cui sarebbe il caso di riflettere e confrontarsi seriamente. Sul piano strettamente pratico ci sarebbero i previsti aumenti di autostrade, gas ed energia elettrica, che andranno, questi si, ad incidere in maniera concreta sulle tasche degli italiani. Ci sarebbero, poi, i problemi irrisolti legati al terremoto, il preoccupante dilagare dei fenomeni di razzismo. Per non parlare di vicende più spiccatamente di stampo politico (come l’inquietante scoperta relativa alla violazione della privacy e il mancato rispetto della Costituzione da parte di qualcuno dei principali attori politici) che dovrebbero quanto meno inquietare.
In altre parole di emergenze vere ce ne sono anche troppe in questo paese per potersi permettere di perdere tempo dietro ad una simile sciocchezza. Che, però, rappresenta l’emblema di come tutto il nostro sistema dell’informazione, da quello più tradizionale di giornali e tv a quello più innovativo dei social, sia ormai completamente impazzito. Nella folle isteria collettiva che si è sviluppata intorno a questa vicenda in questi giorni, oltre ad ogni barlume di logica e di buon senso si è completamente dimenticato di cosa si sta parlando e di cosa in concreto sia accaduto.
La norma che prevede l’obbligatorietà dei nuovi shopper ecologici (biodegradabili e realizzati con almeno un 40% di compost verdi) per tutti i prodotti freschi (frutta, verdura, pane, latticini) è stata approvata il 3 agosto scorso ed è stata inserita nel decreto legge Mezzogiorno, con l’entrata in vigore fissata per il 1 gennaio 2018. Già semplicemente questo dovrebbe far riflettere: se davvero il provvedimento era così inaccettabile come si vuole far credere ora, perché nessuno si è preoccupato di contestarlo allora e in questi mesi quando, almeno in teoria, c’era la possibilità di cambiarlo? Perché solo ora viene sollevato questo imbarazzante polverone? Superflua e scontata la risposta, più interessante capire meglio di cosa stiamo parlando.
Partendo dal fatto che la norma incriminata recepisce una direttiva europea (2015/270) sull’utilizzo degli imballaggi in plastica, con chiare ed evidenti finalità ambientali. L’Italia non poteva attendere ulteriormente per recepire la direttiva perché nel corso del 2017 era già stata aperta una procedura di infrazione nei confronti del nostro paese che, quindi, rischiava una pesantissima sanzione. La direttiva europea, per la verità, ha fissato gli obiettivi da raggiungere nei prossimi anni (2019 e 2025), lasciando però ai paesi la libertà di scegliere autonomamente le modalità di azione.
In altre parole la direttiva europea non imponeva di imporre un costo a carico del cliente dei supermercati che, invece, è una scelta autonoma fatta dal governo italiano. Con delle motivazioni che appaiono fondate, tanto che la stessa Europa sta pensando di seguire la strada adottata dall’Italia, seguita per altro anche dalla Francia (mentre in Irlanda viene applicata una tassa che, alla fine, produce un costo ben più elevato a carico dei cittadini consumatori).
Per altro bisognerà attendere i prossimi 12 mesi per avere il quadro reale della situazione nel resto d’Europa, visto che entro la fine del 2018 scadranno i termini per adeguarsi completamente alla direttiva (e sembra che diversi altri paesi europei seguiranno l’esempio di Italia e Francia). Come hanno più volte sottolineato in questi giorni fonti ministeriali, alla base della decisione sulla non gratuità biosacchetti c’è una motivazione di carattere ambientale, la volontà di rendere il consumatore consapevole del costo della plastica e del suo impatto ambientale, ma anche una volontà di maggiore trasparenza, per consentire agli utenti di prendere coscienza di determinati comportamenti.
Chiunque ha un minimo di conoscenza del settore (ma anche chiunque è dotato di un minimo di buon senso…) sa perfettamente che fino all’entrata in vigore della nuova norma il consumatore pagava ugualmente il costo di quei sacchetti, semplicemente lo faceva in maniera inconsapevole. Infatti fino al 31 dicembre quel costo era anticipato dalle aziende della grande distribuzione e degli esercenti che poi lo scaricavano a valle sugli utenti incorporandolo come servizio aggiuntivo nei prezzi degli alimenti. Siamo alla classica “scoperta dell’acqua calda”, davvero c’è qualcuno che pensava o pensa che quei sacchetti fossero gratuiti per le aziende della grande distribuzione? E davvero qualcuno pensava o pensa che le aziende stesse poi facessero beneficenza, non caricando quel costo sugli utenti?
La “colpa” della nuova norma è quella di rendere chiaro un costo che fino al 31 dicembre restava occulto. “Colpa” gravissima perché evidentemente per una parte dei consumatori italiani vale il detto “occhio non vede, cuore non duole”. In tal senso è assolutamente emblematico (anche di come questa folle guerra finisca per offuscare completamente la ragione) uno dei tanti post “al vetriolo” visti in questi giorni sui social, con un cittadino che sbraitava e imprecava contro tutto e tutti per aver dovuto pagare 2 centesimi il sacchetto per un limone acquistato all’astronomica cifra di 4,20 euro al kg.
Sembra incredibile ma è quanto avviene in questo folle paese, invece di protestare e imbufalirsi per il prezzo fuori mercato, quasi al limite della truffa, del limone, ci si concentra sui 2 centesimi del sacchetto. In altre parole siamo di fronte a qualcosa di molto simile a quanto raccontato nella parabola della trave e la pagliuzza nel Vangelo secondo Luca. Perché, ribadito che comunque il prezzo per quei sacchetti già lo pagavamo (ma in maniera inconsapevole), stiamo parlando di cifre davvero irrisorie, quasi ridicole. Nelle varie analisi e previsioni in cui si sono cimentate tutte le associazioni di categoria e di tutela dei consumatori, è emerso con chiarezza che stiamo parlando di qualcosa che, nell’arco di un anno, comporterà per una famiglia media un costo che si aggira tra i 5 e i 10 euro, meno di un euro al mese.
La verità è che tutta la bagarre si è scatenata non per il provvedimento in se, ma per l’interpretazione demagogica e propagandistica che qualcuno gli ha voluto affibbiare. Non a caso a dare il via a questo imbarazzante teatrino è stato il presunto scoop del “Giornale”, secondo cui quel provvedimento altro non era che un favore fatto ad “un’amica di Renzi”. “La tassa sui sacchetti di plastica fa ricca la manager renziana” ha titolato il quotidiano diretto da Feltri a fine anno, con chiaro riferimento a Catia Bastioli, amministratore delegato di Novament, l’azienda che secondo quell’articolo e altri (insieme a tanti post sui social) che ne sono seguiti avrebbe praticamente il monopolio del mercato.
E’ chiaro che se davvero fosse così, se davvero la nuova norma fosse un favore ad un’amica di Renzi, a prescindere dal maggior costo economico (che in realtà abbiamo visto non esserci) a carico delle famiglie italiane ci sarebbero comunque tutte le ragioni per indignarsi e protestare. Il punto, però, è che basta informarsi un po’ per scoprire non è così. In realtà basterebbe un minimo di buon senso e di logica per capire che siamo di fronte all’ennesima colossale montatura. Perché non è affatto vero che la Novament abbia il monopolio del mercato dei sacchetti di plastica eco-sostenibile. Solo in Italia ci sono circa 200 aziende (150 italiane) fornitrici di biosacchetti. E, per chi non si rassegna all’evidenza, non è neppure vero che l’azienda della Bastioli ha comunque il monopolio dei granuli di plastica (Master bi) che vengono utilizzati per confezionare i biosacchetti.
Come conferma anche il direttore generale di Legambiente, in Italia ci sono almeno una decina di aziende chimiche attive a livello mondiale che producono e commercializzano Master bi. Quindi, per la precisione, la nuova norma eventualmente sarebbe un favore non per una ma per circa 200 aziende. In realtà, però, non ci sarebbe neppure la necessità di approfondire così tanto, sarebbe sufficiente un minimo di logica ed un pizzico di buon senso per capire di come stiano realmente le cose.
Cioè che il provvedimento adottato dal governo, nello specifico il fatto di prevedere un costo sia pure minimo per quei sacchetti, non ha prodotto alcun reale favore alla Novament e a tutte le altre aziende del settore. Che, è del tutto evidente, hanno automaticamente tratto vantaggio dalla direttiva europea e avrebbero tratto egual vantaggio anche se il governo avesse deciso per la gratuità (per i consumatori) di quei sacchetti. Perché comunque le aziende della grande distribuzione e gli esercenti avrebbero dovuto rifornirsi dei biosacchetti, comprandoli e pagandoli a quelle aziende. Anzi, a ben vedere per le aziende del settore sarebbe stato più vantaggioso se davvero i sacchetti fossero stati gratuiti per i consumatori, perché ciò avrebbe inevitabilmente determinato, come è accaduto con i sacchetti utilizzato fino al 31 dicembre, un maggior consumo dei sacchetti stessi (essendo gratuiti i consumatori ne avrebbero sicuramente consumati in numero maggiore)
Il discorso sarebbe ampiamente chiuso qui, se non fosse che in realtà è una colossale montatura anche il presupposto fondamentale su cui si basa la montatura, cioè che Catia Bastioli sia una fedele renziana. Una montatura che nasce dalla partecipazione, nel 2011, dell’amministratore delegato di Novament alla Leopolda. Quella è stata la sua unica partecipazione alla tradizionale kermesse annuale del nuovo gruppo dirigente del Pd che fa capo a Matteo Renzi. Naturalmente nessuno, men che meno il “Giornale” che ha lanciato la bufala, si è preoccupato di spiegare che la Bastioli nel 2011 partecipò non perché sostenitrice o fan del Pd, ma semplicemente perché invitata a parlare nel corso di uno dei tanti appuntamenti di quella kermesse, cioè quello in cui si parlava di green economy.
Già allora la Bastioli aveva avuto innumerevoli riconoscimenti, anche a livello internazionale, in proposito, già allora era considerata tra le le imprenditrici emergenti a livello europeo nell’ambito della cosiddetta innovazione. A dir la verità Renzi all’epoca ignorava la sua esistenza e ad invitarla all’incontro in cui si parlava di green economy fu Ermes Realacci (presidente onorario di Legambiente). Dopo quello non ci sono stati altri contatti o una frequentazione che possa in qualche modo dare credito alla versione di una sua vicinanza dal Pd e a Renzi. In compenso, però, negli anni successivi la Bastioli è stata chiamata più volte al Consiglio dell’Unione Europea, più volte è stata chiamata a dirigere e a dare indirizzi alle commissioni europee di settore.
Non solo, in questi anni la sua preziosa collaborazione è stata richiesta da istituzioni, enti ed università internazionali per progetti ed iniziative nel campo della green economy e delle energie innovative. Per questo e per la sua indiscutibile competenza, nel 2014 l’allora governo Renzi l’ha scelta come presidente di Terna, la società a partecipazione pubblica che si occupa di energia. Una scelta che all’epoca fu unanimemente apprezzata perché esempio, assolutamente raro nel nostro paese, di una decisione basata sulla competenza e non sull’appartenenza.
Tre anni dopo tutto cambia e per sostenere l’insostenibile si riduce al ruolo di “amica di Renzi” chi invece dovrebbe essere considerata un vanto, una risorsa straordinaria per il nostro paese. Davvero superfluo aggiungere altro…