Secondo il report sulle pari opportunità stilato dall’Onu e dalla Commissione europea l’Italia è all’82° posto, dietro anche a paesi come il Burundi, l’Uganda, il Monzambico. Lavoro, retribuzioni e salute i campi nei quali si registrano le maggiori differenze
La terza carica dello Stato (il presidente della Camera) è una donna. E già in passato diverse rappresentanti del gentil sesso hanno ricoperto la stessa alta carica (Nilde Iotti, Irene Pivetti).
Nell’attuale governo alcune delle figure e dei ministri più importanti sono “rosa” (dal sottosegretario Boschi al ministro della sanità Lorenzin, dalla ministra Madia alla Pinotti ecc.) e anche il sindaco della capitale è donna, Virginia Raggi, così come il primo cittadino di un altro grande centro come Torino (Chiara Appendino). Eppure l’Italia continua a non essere un paese per donne, sotto ogni punto di vista.
Anzi, secondo alcune classifiche stilate dall’Onu e dalla Commissione europea per le donne vivere in Italia è peggio, a livello di parità e di opportunità, che vivere in paesi come il Burundi, la Bolivia, Mozambico, l’Uganda, il Perù che pure non spiccano certo per essere all’avanguardia. Questo, almeno, è quanto emerge dall’ultimo rapporto sul Global Gender Gap (il divario di genere) stilato dal World Economic Forum (Wef) sulla base di una serie di indicatori rilevati dalle Agenzie dell’Onu e della Commissione europea. Secondo il Wef per quanto riguarda il divario di genere, cioè la differenza di trattamento e di opportunità tra uomini e donne, su 144 paesi analizzati l’Italia si piazza all’82° posto, appunto dietro a quei paesi che abbiamo citato ma anche dietro la Mongolia, il Kazakhstan, l’Uruguay.
Un dato assolutamente negativo che diventa ancor più sconfortante se si pensa che, rispetto al precedente rapporto, il nostro paese perde addirittura 32 posizioni. In altre parole questo significa che in Italia la situazione invece di migliorare, come si cerca di far credere, in realtà sta pian piano peggiorando. Naturalmente sempre secondo il rapporto Wef che misura la differenza che c’è tra i due sessi in 4 aree: economia, politica, salute, formazione. Questo spiega anche la ragione per cui quei paesi citati sono davanti all’Italia. Nel Burundi, in Mozambico, in Uganda certamente le condizioni di salute e lavoro sono decisamente peggiori che nel nostro paese ma lo sono senza grandi differenze tra i due sessi.
Secondo il report del Wef il paese dove questa differenza è da anni l’Islanda, seguita da Norvegia e Finlandia. Se guardiamo solamente i paesi del G7 bene la Francia che si colloca all’undicesimo posto, subito seguita dalla Germania. Un po’ più indietro l’Inghilterra (15° posto), poi Canada, Usa, Italia e Giappone. Andando ad analizzare più nel dettaglio il report emerge come le due aree nelle quali il divario tra uomo e donna sono maggiori in Italia sono quella relativa alla salute e quella economica.
Ma nel corso dell’ultimo anno la situazione è sensibilmente peggiorata anche per quanto riguarda l’area politica, visto che nel 2016 il potere politico femminile in Italia era pari al 45% mentre ora è sceso al 33%. Ben peggiore è, però, la situazione per quanto riguarda le differenze nell’area economica che vede l’Italia addirittura al 118° posto nella graduatoria mondiale. A determinare un simile dato sono principalmente due fattori, il tasso di occupazione femminile e le consistenti differenze salariali. Secondo i dati di fine estate, in Italia il tasso di occupazione femminile sale, toccando la percentuale record (per il nostro paese) del 48,8%. Che, però, è inferiore di quasi il 20% di quella maschile (66,8%).
E, soprattutto, resta in assoluto tra le peggiori dell’Europa, con solamente la Grecia che fa registrare un tasso di occupazione femminile inferiore (43,3%). Lontana la media europea (61,6%), per non parlare di paesi come Svezia, Norvegia e Germania che superano addirittura il 70%. Altri dati evidenziano quanto ampia siano le differenze nel nostro paese per quanto riguarda il mondo del lavoro. Se in Europa le aziende a guida femminile superano il 40%, in Italia siamo appena al 21,8% nonostante il dato sia in crescita rispetto agli anni passati. Aumento che, per altro, è in gran parte determinato dalle aziende femminili italiani a guida straniera.
Significativo anche il fatto che, pur essendo decisamente superiore la percentuale di donne tra i laureati (60% contro il 40% degli uomini), per le neo laureate è molto più difficile trovare lavoro entro 3 anni dalla laurea (35%) rispetto ai neo laureati maschio (46%). Situazione simile anche per quanto riguarda i neo diplomati. Da sottolineare come sui dati dell’occupazione femminile italiana pesa in maniera particolare anche la difficoltà nel conciliare il lavoro con la famiglia, soprattutto per quanto riguarda le neo mamme. Solo nel 2016, ad esempio, quasi 50 mila donne hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro in occasione della maternità, mentre secondo l’Istata in Italia ci sono 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini rispetto ai 34 del resto d’Europa.
Significative anche le differenze per quanto riguarda le retribuzioni, con le donne che guadagnano in media l’11% in meno rispetto agli uomini, con stipendi annuali inferiori di oltre 3 mila euro. Differenza che si amplia in caso di laureati, con le retribuzioni femminili inferiori di un terzo. A tal proposito va sottolineato come la situazione nelle Marche sia addirittura di gran lunga peggiore. Secondo gli ultimi rilevamenti Inps (fine 2016) nella nostra regione la differenza tra le retribuzioni maschili e femminile è di oltre 6 mila euro all’anno. In altri termini una lavoratrice dipendente nelle Marche riceve una retribuzione media lorda giornaliera di 64 euro, pari a 25 euro in meno rispetto a quella di un uomo.
Differenza notevole che, poi, si ripercuoterà anche sulle pensioni. Sicuramente molteplici sono i fattori che determinano questa situazione, indiscutibilmente l’Italia paga anche i ritardi con i quali la politica si è occupata della parità e delle pari opportunità. Nei principali paesi europei da decenni ci sono leggi in proposito, anche e soprattutto per quanto riguarda la parità di trattamento nel lavoro.
Nel nostro paese solo da qualche anno si è iniziato a legiferare su questa tematica e, per quanto riguarda il lavoro, le norme che iniziano ad esserci sono ancora molto generiche e poco efficaci. Al di là di norme e leggi, però, è indiscutibile che è anche e soprattutto un problema di mentalità retrograda che permea il nostro paese. Significativi, a tal proposito, sono alcuni aspetti evidenziati dalla commissione Cox sull’intolleranza istituita alla Camera e presieduta dalla presidente Laura Boldrini.
Tra i tanti dati emersi, alcuni sono, a proposito di parità nel mondo del lavoro, particolarmente significativi. Come, ad esempio, quelli secondo cui una larga parte degli uomini continua a pensare che il posto di una donna sia a casa, ad accudire i figli e la famiglia. Sembra incredibile ma ancora oggi, nel 2017, è molto alta la percentuale di uomini che ritiene che la donna debba stare a casa. Praticamente un uomo su due (il 49,7%) pensa che dovrebbe essere l’uomo a provvedere alle necessità economiche della famiglia e che le donne siano più adatte ad occuparsi delle faccende domestiche.
Percentuale simile per quanto riguarda i rapporti di lavoro, un uomo su due non considera naturale che ai posti di comando di un’azienda ci possa essere una donna o che una sua collega possa avere un ruolo (e il conseguente stipendio) di maggiore importanza. Dati che testimoniano come l’Italia, nonostante gli sforzi, sia ancora un paese nel quale sono difficili da sconfiggere e superare vecchi stereotipi e dove un gran numero di uomini è rimasto legato ad una visione antica, quasi arcaica della società.
Motivo per cui non deve stupire e sorprendere più di tanto il risultato della Global Gender Index. Che dimostra inequivocabilmente che, per quanto riguarda le pari opportunità, di strada da fare nel nostro paese ce ne è ancora tantissima…