Lo stalking e la “giustizia offensiva”


Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Torino applica la “giustizia riparativa” in un caso di stalking, il 39enne che aveva perseguitato e minacciato per 2 mesi una ragazza di 24 anni se la cava pagando alla vittima appena 1.500 euro

Millecinquecento euro. Questo il valore delle paure, delle angosce, delle privazioni, delle minacce che ha dovuto sopportare una ragazza di 24 anni dell’Astigiano sottoposta a stalking da un uomo di 39 anni, almeno secondo il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Torino Rossana La Rosa.

Non è la prima volta che il tribunale di Torino ci regala queste “perle”, mesi fa era stata la volta del giudice Diamante Minucci che aveva assolto un uomo accusato di violenza sessuale perché la vittima non aveva urlato, aveva detto “basta” ma senza gridare. In questo caso l’autore del reato ha dovuto pagare 1.500 euro per essere assolto, come se quella cifra potesse in qualche modo compensare quello che ha dovuto subire quella povera ragazza.

Due mesi di persecuzioni, inseguita più volte in auto dall’uomo ovunque si recava, pedinamenti fino a casa sua e a casa del suo ragazzo, minacce e una situazione di crescente pericolo da indurre gli inquirenti all’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento. Tutto cancellato con il pagamento nei confronti della vittima di 1.500, più che un risarcimento un’ulteriore offesa per la dignità di quella ragazza e un segnale terrificante che si lancia proprio in un momento in cui da più parti si chiede invece una maggiore attenzione e un rafforzamento delle pene nei confronti di chi si macchia di determinati crimini contro le donne.

La chiamano “giustizia riparativa”, così come è stata applicata dal tribunale di Torino non “ripara” un bel niente anzi, è offensiva nei confronti della vittima e sin troppo accomodante nei confronti di chi ha commesso il reato. Naturalmente questa non rappresenta certo una bocciatura senza appello per la cosiddetta “giustizia riparativa” ma dovrebbe essere evidente e chiaro che vanno valutati attentamente gli ambiti e i metodi di applicazione della stessa. La sua nascita si fa risalire agli anni ’70 in una cittadina dell’Ontario (Kitchener), ai confini tra Canada e Stati Uniti, quando due educatori proposero al giudice che aveva condannato due ragazzini, responsabili di aver danneggiato diverse abitazioni lungo la via centrale del paese, un programma di “probation” diverso dal solito.

In sostanza i due educatori proposero (e il giudice accolse la proposta) un serio programma di incontri tra i due giovani e le famiglie colpite dai danneggiamenti e un chiaro impegno risarcitario da garantire attraverso il lavoro. Il concetto che è alla base della “giustizia riparativa” è piuttosto semplice. Negli ultimi due secoli la pena è stata soprattutto intesa come riparazione della persona colpevole (attraverso la detenzione e tutte le sue alternative), in questa forma si vede la pena come riparazione a vantaggio della persona offesa, depurata dall’antica radice vendicativa, è legata all’esigenza di sanare l’offesa attraverso azioni utili alla vittima, sia essa una persona fisica o una collettività.

In altre parole la giustizia riparativa si caratterizza innanzitutto perché considera il reato non in termini meramente formali ma come lesione che coinvolge singole persone e una comunità. Inoltre ritiene che al reato corrisponda in primo luogo l’obbligo di porre attivamente rimedio alle conseguenze dannose che la sua condotta ha cagionato e, in tal senso, punta ad un coinvolgimento attivo della vittima, cercando una soluzione che risulti possibilmente concordata tra i vari soggetti coinvolti. Il fine ultimo più “alto” che si pone la giustizia riparativa è quello di un’autentica responsabilizzazione dell’offensore, della presa di coscienza delle conseguenze che le sue azioni hanno sortito in altre vite.

Al di là del fatto che è sin troppo evidente che la “giustizia riparativa” si possa applicare solo in certi ambiti (in Italia, ad esempio, sta prendendo piede soprattutto quando in alcuni reati sono coinvolti minorenni e in generale giovani), non bisogna certo essere dei geni per comprendere come tutto ciò non corrisponde in alcun modo con quanto accaduto al tribunale di Torino. Dove innanzitutto non c’è stato nulla di concordato, l’autore del reato ha proposto di pagare 1.500 euro per estinguere il reato e il giudice ha accettato, nonostante la vittima avesse dichiarato la sua totale contrarietà.

E soprattutto l’offensore lungi dall’essere “autenticamente responsabilizzato” esce dalla vicenda con la convinzione che tanto basta molto poco per “passarla liscia”, che con pochi spiccioli si può comprare un’assoluzione, infischiandone delle pene fatte passare alla vittima. Altro che riparativa, questa è semplicemente giustizia offensiva nei confronti della vittima stessa. “Sono assolutamente favorevole alla giustizia riparativa ma deve esserci una riparazione seria. Per due mesi di persecuzioni 1.500 euro sono una cifra ridicola” afferma il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. A cui, però, sfugge un particolare non di poco conto.

Se, infatti, è vero che 1.500 euro rappresentano una cifra ridicola è altrettanto innegabile che aumentando la cifra da pagare non cambierebbe di certo il senso del discorso. La bassa cifra accordata all’offensore rende solo più odiosa una vicenda che rappresenta l’ennesima pagina vergognosa della derelitta giustizia italiana. “E’ un vero e proprio scandalo – accusa la senatrice del Pd Laura Puppato – la conclusione di questa vicenda sottende disprezzo per la donna, sottodimensiona in modo assurdo il danno da vero torturatore cui l’aveva sottoposta lo stalker, rovinandole la vita per un lungo periodo”.

Una vergogna che nasce sicuramente dal comportamento censurabile di quel giudice ma anche e soprattutto dalla superficialità e dall’incapacità di chi legifera in questi ambiti. Emblematico, a tal proposito, il commento della presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti. “Tradito lo spirito della legge – afferma – stiamo valutando in accordo tra Camera, Senato e Governo se togliere lo stalking dalla giustizia riparativa”. Semplicemente ridicolo, c’è poco da valutare, c’è solo da fare al più presto e correggere questo abominio.

Lo stalking, come tutti i reati commessi contro la dignità delle donne (ma di qualsiasi persona), non può certo essere trattato nell’ambito della giustizia riparativa. Perché neppure 100-200 mila euro o anche più possono compensare simili comportamenti. Figuriamoci 1.500 euro…

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