Emergenza educativa: le colpe dei genitori, l’assenza e gli autogol delle istituzioni
Con l’avvio del nuovo anno scolastico riparte la “caccia ai genitori”, additati come gli unici colpevoli della presunta deriva dei giovani. Intanto, però, la sentenza del Tar e i “colpi di genio” della ministra Fedeli dimostrano come questo paese sia allergico a regole e doveri…
E’ ripartito l’anno scolastico ed è ricominciata la “caccia ai genitori”, la vera radice del male della nostra società. Se i giovani di oggi sono diventati così se sono in questo modo (ma poi siamo così sicuri che sono tanto peggio di quello che eravamo noi? siamo davvero certi che la nostra generazione era meglio di quella attuale?) è chiaro che la colpa è esclusivamente dei genitori.
Ne avevamo già parlato qualche mese fa (“Tutta colpa dei genitori”) di quanto sia comodo e semplice per le altre agenzie educative (scuole, associazioni sportive, istituzioni religiose) scaricare sempre e comunque tutte le responsabilità indistintamente sui genitori. Che, come avevamo sottolineato all’epoca, sicuramente di colpe ne hanno e pure tantissime. Però non sono certo gli unici ad averne, sarebbe ridicolo credere che anche le altre agenzie educative non ne abbiano. Anche perché, come logica conseguenza, sostenere che le responsabilità sono sempre e comunque da un’unica parte vorrebbe automaticamente ammettere che in fondo le altre agenzie educative non hanno una grande importanza, non sono in alcun modo determinanti nello sviluppo, nella crescita, nella maturazione dei più giovani. Cosa che invece noi non crediamo affatto.
Siamo consapevoli che il ruolo dei genitori è decisivo e determinante. Ma allo stesso modo siamo certi che non siano da meno le altre agenzie educative, in primis ovviamente la scuola ma per molti versi anche le associazioni e le società sportive e, per chi le frequenta, le stesse istituzioni religiose. Senza dimenticare che le giovani generazioni crescono e maturano in una società in cui una funzione importante per la loro crescita dovrebbero svolgerla anche le istituzioni. Quando si parla di quello che sono o che non sono attualmente i più giovani bisogna necessariamente tenere conto di tutti questi fattori che, in vario modo, incidono.
Troppo comodo e troppo semplicistico ridurre tutto ad un indistinto “è colpa dei genitori”, in questa maniera si cerca solamente l’alibi, si evita così di interrogarsi e di fare una seria analisi su tutti gli altri fattori che pure incidono e profondamente, senza considerare che è sempre sbagliato generalizzare (lo ripetono, ad esempio, sempre gli insegnanti stessi quando si verifica qualche episodio spiacevole che riguarda qualcuno di loro, dovrebbero ricordarlo sempre, non solo quando fa comodo). Sarebbe più serio e ragionevole analizzare la questione sotto ogni punto di vista, anche e soprattutto alla luce di una serie importante e significativa di episodi accaduti negli ultimi tempi che dovrebbero far riflettere.
Invece in questi giorni è ripartito il “bombardamento”, in particolare sui siti e sui blog che gravitano intorno al mondo della scuola, con il moltiplicarsi di articoli e interventi di illustri esperti che “bacchettano” i genitori. L’ultimo, in ordine di tempo, l’abbiamo letto poche ore fa in un lungo articolo, sul sito “Oggiscuola”, a firma del pediatra Paolo Sarti dal titolo emblematico (dopo il quale, in realtà, non sarebbe neppure necessario leggere l’articolo tanto si capisce perfettamente dove vuole andare a parare…): “Bambini viziati e mamme e papà isterici, facciamola finita di non fare i genitori”.
“Niente regole – si legge nell’articolo – niente limiti e naturalmente niente imposizioni, secondo i canoni della più libertaria della pedagogie: tutto concordato, vagliato e deciso con loro e a loro subordinato. Un mondo bambino viziato, carico di individualismo e di rumoroso protagonismo esibito. Facciamola finita con questa improbabile pedagogia delle coccole. Ai genitori spetta il compito di dare le regole”. Già letto e già ascoltato tante altre volte, nulla di nuovo e nessuna analisi davvero seria e approfondita, anzi abbastanza banale e molto superficiale.
Ribadiamo ancora una volta che ci sono sicuramente genitori così che non educano e che non impongono regole, in altre parole che non sono capaci o non hanno la voglia e la forza di fare i genitori. Sarti e tutti quelli come lui che in questi giorni ripropongono la solita nenia dovrebbero, però, per una volta provare ad interrogarsi e a chiedersi cosa dovrebbero pensare quei genitori (e ce ne sono tanti, nonostante quello che si cerca di far credere) che, invece, delle regole le impongono ai propri figli ma, poi, puntualmente vedono quelle regole stesse umiliate, messe in ridicolo e disattese proprio da chi invece dovrebbe aiutarli a promuoverle, a renderle serie e concrete.
A lui e a quanti come lui continuano a generalizzare senza approfondire mai vorrei proporre l’amara riflessione di un padre letta qualche giorno fa sui social. “Per anni ti sforzi di insegnare ai tuoi figli delle regole di comportamento, ti sforzi in ogni modo di inculcargli il concetto che nella vita bisogna sempre comportarsi correttamente, impegnarsi al massimo nella propria attività, che sia il lavoro o la scuola, cercando di raggiungere e ottenere risultati solo grazie all’impegno e al sacrificio, senza cercare scorciatoie. Spieghi e cerchi di inculcare loro il concetto che bisogna accettare anche le sconfitte, che è molto più dignitoso accettare un fallimento piuttosto che “barare” per evitarlo.
Poi leggi certe cose, osservi ciò che accade, avvengono determinate vicende e diventa difficile perfino incrociare lo sguardo di tuo figlio, temendo di leggere nei suoi occhi la delusione, la convinzione che il padre è un povero illuso, uno scemo. E allora non puoi non chiederti se hai fatto bene a trasmettergli certi valori, se davvero in questa società non ci sia più posto per chi agisce correttamente, se non era meglio che gli insegnavi ad essere più smaliziato e furbo, senza infischiarsene delle regole perché tanto quelli che le rispettano sono solo dei fessi”.
Quell’amara riflessione l’abbiamo letta tra i commenti alla notizia, del fine settimana scorso, sull’accoglimento da parte del Tar del ricorso dello studente ascolano sorpreso a copiare da uno smartphone durante la prova di matematica dell’esame di maturità. La vicenda è nota, proprio in questi giorni quel ragazzo sta effettuando presso il Liceo Scientifico ascolano le altre prove dell’esame di maturità come deciso dal Tar. La commissione l’aveva escluso dopo averlo sorpreso a copiare, il tribunale amministrativo ha annullato l’esclusione e imposto il proseguimento dell’esame.
Particolare non di poco conto, quel ragazzo è figlio di una professoressa della stessa scuola. Il messaggio che trasmette questa vicenda è sin troppo chiaro e sin troppo inquietante ed è un messaggio che purtroppo è tipico nel nostro paese. Ma questo ha una particolare rilevanza e valenza educativa (anzi, bisognerebbe dire diseducativa) perché sembra confermare che anche nella scuola, così come in gran parte della società italiana, vige la norma che chi sbaglia non paga o, nella peggiore delle ipotesi, sbaglia poco.
Quella sentenza è come se lanciasse un messaggio preciso ai ragazzi, agli studenti ma anche, indirettamente, ai loro genitori. Che oggi, di fronte ad un simile evento, hanno tutte le ragioni di chiedersi perché mai doverebbero impegnarsi e comportarsi sempre correttamente, anche a rischio di fallimento, quando chi “bara” o prova a “barare” tanto poi non paga e non subisce conseguenze troppo pesanti, al massimo un buffetto.
E un messaggio per certi versi analogo arriva anche da altre vicende delle ultime settimane. Vogliamo parlare, ad esempio, del “colpo di genio” della ministra Fedeli che ha proposto di consentire l’uso dello smartphone a scuola? Al di là del fatto che dovrebbe sapere (e se non lo sa dovrebbe allora informarsi) che nei paesi in cui è stata fatto il tentativo i risultati sono stati sconfortanti, la ministra si è minimante posto l’interrogativo di che genere di impatto ha avuto questa “illuminazione” da un punto di vista educativo? Ha una vaga idea di come questa sua proposta rischia di mandare in fumo gli sforzo di migliaia e migliaia di genitori che quotidianamente deve discutere e sforzarsi di imporre delle regole ai propri figli per l’utilizzo di cellulari e similari?
E, non di meno, l’altro “colpo di genio” del “tutti promossi” per legge e niente bocciature alle scuole elementari e medie. Da anni ci si lamenta e si sostiene che soprattutto alle medie per i professori è difficile bocciare perché ci sono i genitori che fanno indebita pressione per salvare i propri figli. Ora, dopo questa geniale idea della Fedeli e del suo staff, andate a dire a quei genitori che fanno pressione (e ai loro figli) che hanno torto, che non devono pretendere la promozione a prescindere…
Se poi andiamo a “scavare” all’interno del pianeta scuola si scoprono fatti quotidiani non meno significativi. Questa estate, ad esempio, abbiamo raccolto lo sfogo di un professore di una scuola superiore ascolana che ci raccontava come un suo collega aveva deciso di alzare il voto finale, addirittura da 7 a 9, ad uno studente dietro la pressione del padre del ragazzo molto noto in città. In realtà di casi simili ne conosciamo diversi.
Certo è censurabile il genitore che fa pressione, ma davvero qualcuno può credere che il professore che cede sia meno censurabile? E possiamo accettare la solita giustificazione della troppa pressione? C’è forse qualche mestiere nel quale chi cerca di fare correttamente il proprio dovere non subisce forti pressioni esterne? Se non si è in grado di reggere alle pressioni allora forse è il caso di cambiare mestiere, non di assecondare le pressioni stesse. Provate solo ad immaginare cosa penseranno i ragazzi e i loro genitori di quella classe (e di altre dove sono accaduti episodi simili).
Se chi si comporta in un modo che, a parole, tutti condannano nei fatti, però, finisce per ottenere evidenti vantaggi, viene inevitabile pensare che è un fesso chi si comporta correttamente… E non parliamo, poi, di quanto accade nel mondo dello sport giovanile, in quell’ambiente nel quale gli allenatori e i dirigenti delle società quotidianamente ricordano che i genitori non devono impicciarsi, non devono discutere le decisioni dell’allenatore e tanto meno fare indebite pressioni.
Peccato che poi di ragazzi e ragazzi che giocano o hanno più spazio magari per i genitori pagano qualcosa in più o sponsorizzano la squadra ma anche solo perché premono (e quindi gli allenatori e i dirigenti per non sentirli più li accontentano) ce ne sono a centinaia. Con la conseguenza, anche in questo caso, che chi invece si comporta correttamente (e finisce per vedere ingiustamente penalizzai i propri figli) inevitabilmente non può non chiedersi se il proprio non sia un comportamento virtuoso da prendere da esempio o l’illusione di un povero fesso.
Allora, per tornare da dove siamo partiti, se davvero si vuole fare qualcosa di utile e di concreto per quella che viene considerata un’emergenza educativa è ora di finirla con il facile “tiro al bersaglio”, con le generalizzazioni di comodo per non guardare oltre e per non fare un serio esame di coscienza. E’ giusto e opportuno che si chieda ai genitori di svolgere in maniera matura e adulta il proprio compito, di non fuggire di fronte a determinate importanti responsabilità.
Però, poi, è altrettanto opportuno e indispensabile che non si lascino soli quei (tanti) genitori che almeno ci provano. E che di fronte a determinate situazioni e a determinate vicende non posso non chiedersi se non sia il caso di smetterla di essere i soliti fessi…