Al di là della superficialità di un decreto che poteva prevedere requisiti più stringenti per chiedere e ottenere i 5 mila euro, resta la gravità del comportamento di chi non si è vergognato di sfruttare la tragedia del terremoto per ottenere il contributo senza averne diritto
Bisognerebbe leggere con estrema attenzione le parole pronunciate da Barbara Tomassini sulla storia degli indennizzi ai lavoratori autonomi, un provvedimento che doveva essere di aiuto ai terremotati ma che rischia di trasformarsi in uno scandalo di dimensioni impensabili (non possiamo dire senza precedenti perché, purtroppo, di vicende simili ne è piena la storia di questo paese).
Perché nella sua accalorata e più che condivisibile “filippica” la presidente di Cna Artistico Marche e membro della Camera di Commercio centra in pieno il vero nocciolo di questa poco edificante questione. Che, al di là dei soliti tentativi di speculazione politica e del prevedibile utilizzo “partitico” che alcuni provano a fare della vicenda, mette in evidenza in maniera inquietante e imbarazzante come in realtà questo paese sia “malato” alla radice, che il marcio che buona parte dell’opinione pubblica (più o meno a ragione) individua nella nostra classe politica in realtà altro non è che l’espressione di quello che è la nostra società o, quanto meno, una parte di essa. Perché è chiaro ed evidente che si può discutere quanto si voglia sulla superficialità del provvedimento adottato dal governo con decreto legge 189/2016 (poi convertito, con modificazione, in legge n. 229 del 15 dicembre 2016), si può giustamente evidenziare che si poteva prevedere requisiti più stringenti, che si poteva specificare meglio.
Tutto assolutamente vero e condivisibile, ma la superficialità del provvedimento è poca cosa rispetto alla gravità del fatto che ci sia chi ha provato ad approfittarne, chi non si è vergognato di sfruttare una tragedia di così grandi proporzioni, come appunto il terremoto, per ottenere un piccolo guadagno, per incassare il contributo di 5 mila euro senza averne diritto. Ammesso e non concesso che le (si spera molto serie e approfondite) verifiche confermeranno le voci e i sospetti che sono emersi in queste ore e che vorrebbero che un gran numero di persone avrebbe fatto richiesta senza averne diritto, lo scandalo è proprio questo, cioè che ci siano così tante persone che hanno chiesto (e al momento ottenuto) un contributo di cui non avevano diritto e che invece doveva andare solo a chi realmente è stato danneggiato dal terremoto.
E’ giusto e opportuno riflettere su come sono stati pensati e predisposti gli aiuti economici, ma lo scandalo vero e proprio, la vergogna infamante è questa, l’avidità, l’arroganza, l’insensibilità di chi ha pensato bene di sfruttare l’occasione, di provare a farsi beffe di uno Stato sempre poco attento ma anche dei terremotati, ottenendo una sia pur piccolo contributo con l’inganno.
“Vergogna, profondissima vergogna… Conosco molti nominativi di quell’elenco folignanese e non trovo tra loro un solo vero commerciante o artigiano con attività vera. Che vergogna che siete. Non meritate la stima di nessuno” ha scritto su facebook Barbara Tomassini. Che poi, attraverso le pagine di un quotidiano locale, ha rincarato la dose.
“C’è una questione etica alla base di tutto – ha affermato – perché alla fine dei conti, nei paesi le persone si conoscono tutte e quindi leggere alcuni nomi mi ha fatto arrabbiare, per usare un eufemismo. Credo che ci sia bisogno di dare l’esempio e che questo debba arrivare soprattutto da determinate categorie di persone. Invece molti se ne sono fregati. Il terremoto non ha certo aiutato il mio lavoro. Ma io, e tanti come me, non ho voluto fare domanda perché ho pensato che ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe avuto più bisogno di me di quei 5 mila euro. Nell’elenco che è stato pubblicato, inoltre, ho trovato anche persone che stanno lavorando con il sisma. Hanno colto l’opportunità di accedere a questo beneficio e questo mi fa rabbia soprattutto se penso ai tanti che, come me, hanno deciso di non fare domanda per un fatto etico. Una vera e propria vergogna”.
Il termine esatto per definire quanto accaduto, per etichettare questa bruttissima pagina scritta da chi (quanti lo stabiliranno le verifiche annunciate dalla Regione) ha cercato con l’inganno di ottenere un contributo non dovuto, magari trogliendolo a chi ne aveva davvero diritto. Perché con tutti i limiti e tutti gli errori che si possono imputare al provvedimento, è sempre stato chiaro, comunque, che il contributo era riservato a chi aveva concretamente subito danni dal terremoto, a chi aveva dovuto sospendere la propria attività a causa del terremoto.
“In favore dei collaboratori coordinati e continuativi, dei titolari di rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, dei lavoratori autonomi, ivi compresi i titolari di attivita’ di impresa e professionali, iscritti a qualsiasi forma obbligatoria di previdenza e assistenza, che abbiano dovuto sospendere l’attivita’ a causa degli eventi sismici di cui all’articolo 1, e che operino esclusivamente o, nel caso degli agenti e rappresentanti, prevalentemente in uno dei Comuni di cui agli allegati 1 e 2, e’ riconosciuta, per l’anno 2016, nel limite di 134,8 milioni di euro per il medesimo anno, una indennità una tantum pari a 5.000 euro” è scritto nel comma 4 dell’art. 45 del decreto 189/2016.
Che, come si legge, pur nella sua vaghezza non lascia dubbi sul fatto che bisogna aver subito un danno concreto alla propria attività per accedere al contributo. Non solo, nella circolare n. 8 del 27 marzo 2017 del Ministero del lavoro (“Convenzione ai sensi del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 convertito, con modificazioni, dalla legge. 15 dicembre 2016, n. 229, recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016”) si ribadisce che il contributo è riservato ai lavoratori autonomi “che abbiano dovuto sospendere l’attività a causa degli eventi sismici “.
E nell’autocertificazione da presentare alla Regione Marche, Servizio attività Produttive lavoro istruzione, per chiedere il contributo la richiesta viene presentata dichiarando che “ho dovuto sospendere l’attività presso la sede operativa sita in”. Non solo, più avanti nell’autocertificazione il richiedente dichiara anche “di aver dichiarato l’inagibilità del fabbricato, casa di abitazione, azienda, studio professionale all’Ufficio delle Entrate e dell’Inps sede di”. E’ sin troppo evidente, quindi, quali siano i requisiti richiesti per avere diritto al contributo. Si poteva fare sicuramente meglio, ma nulla giustifica chi eventualmente l’ha ottenuto con l’inganno o dichiarando cose che non rispondono alla realtà.
“Il sottoscritto – si legge al termine dell’autocertificazione – consapevole delle responsabilità civili e penali stabilite all’art. 76 del DPR 445/2000 per coloro che rendono dichiarazioni mendaci, dichiara che tutte le notizie e le informazioni contenute nella presente domanda rispondono a verità”. Probabilmente, come detto, siamo di fronte ad uno scandalo di imbarazzanti proporzioni. Di certo, però, le istituzioni questa volta hanno anche un’occasione unica per riacquistare un po’ di credibilità. Basta punire duramente chi risulterà aver dichiarato il falso e aver ottenuto il contributo senza averne diritto.
Sarebbe finalmente un bell’esempio e un monito per smentire almeno per una volta che in questo paese tanto alla fine i “furbetti” e i “disonesti” alla fine la fanno sempre franca…