A proposito di libertà di stampa


L’Italia guadagna 25 posizioni (dal 77° al 52° posto) nella classifica sulla libertà di stampa di Reporters sans frontieres. Che, però, suscita vibranti polemiche perché, tra i problemi che limitano nel nostro paese nella libertà di informazione, cita anche Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle

La buona notizia è che, rispetto a 2 anni fa, abbiamo guadagnato 25 posizioni (nel 2015 eravamo al 77° posto, oggi siamo al 52°). Quella brutta è che continuano ad esserci troppe intimidazioni verbali e fisiche, provocazioni e minacce nei confronti dei giornalisti italiani (molto più che in qualsiasi altro paese europeo) e anche “pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali”. Un paese normale e che aspirerebbe ad essere civile, dopo la pubblicazione della classifica sulla libertà di stampa di Reporters sans frontieres (Rsf) avrebbe dovuto discutere di questi due aspetti, delle ragioni che ci impediscono di fare ulteriori importanti passi in avanti, su come si può intervenire per cercare di diminuire queste continue intimidazioni verbali e fisiche nei confronti di chi prova semplicemente a fare il proprio mestiere (che è quello di scrivere, raccontare fatti, magari esprimere anche opinioni).

Magari ci si sarebbe preoccupati  del fatto che, secondo Rsf, mai la libertà di stampa è stata così minacciata, con una situazione che viene definita molto grave in 72 paesi tra cui la Cina (sai che novità…), la Russia (di quel Putin che tanto piace ad alcuni politici italiani…) quasi tutto il Medio Oriente, l’Asia centrale, l’America centrale. Invece, come sempre, anche quello che è un tema molto importante nel nostro paese si riduce alla solita interminabile lite da osteria tra chi “odia” il Movimento 5 Stelle e chi si rifiuta anche solo di pensare che il Movimento stesso e il suo leader maximo Grillo possa avere qualche piccolo difettuccio.  Eppure non ci sarebbe motivo, né da una parte né dall’altra, di perdersi in lunghissime ed inutili discussioni, sia perché non c’è alcuna notizia nuova o sorprendente nella nuova classifica di Rsf, sia perché nella sostanza c’è poco di cui discutere.

Chi da 24 ore pubblica con enfasi l’analisi di Rsf, nella quale viene sottolineato come, tra i limiti per la libertà di stampa in Italia, c’è anche l’effetto  di “responsabili politici come Beppe Grillo del Movimento 5 Stelle che non esitano a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che danno loro fastidio”forse due anni fa era distratto o magari non era interessato al problema. Rsf in sostanza diceva le stesse cose su Grillo e il Movimento 5 Stelle già allora. “In Italia – scriveva 2 anni fa Rsf – il Movimento di Beppe Grillo (M5S) non ha eguali quando si parla di controllo dell’informazione. Esso controlla in modo ferreo la possibilità dei propri parlamentari di rilasciare interviste e sembra voler controllare anche i giornalisti stessi, diffamandoli quando questi cercano di mantenere una loro indipendenza. Grillo ha accusato i giornalisti di prostituirsi e ha impedito l’accesso dei media nazionali ai suoi meeting”.

Nulla di nuovo, quindi, Rsf non ha fatto altro che ribadire e ampliare il concetto già espresso. Solo che questa volta se ne sono accorti gli “avversari” di Grillo ma, a quanto pare, anche il comico genovese e il suo fido Di Maio. Che, da quello che dovrebbe essere il blog di Grillo, replicano stizziti come se davvero la relazione di Rsf giungesse in qualche modo inattesa. Certo, nel sempre più paradossale teatrino della politica italiana, il comico genovese e i più importanti esponenti “grillini”per mesi hanno citato proprio la classifica sulla libertà di stampa di Rsf per evidenziare quale fosse la situazione dell’informazione in Italia. Hanno usato quella classifica e quel 77° posto come una clava per dimostrare quanto “servi” e poco liberi sono i giornalisti italiani.

Eppure già allora Rsf sottolineava che proprio il Movimento 5 Stelle è uno dei motivi (non certo l’unico e neppure il più importante) per cui questa è la situazione dell’informazione italiana.  E nessuno può davvero credere che Grillo, Di Maio e tutti gli esponenti grillini, quando citavano quella classifica, ignorassero questo non trascurabile particolare. Il solito “gioco delle tre carte” caratteristica peculiare della politica italiana che, a quanto pare, i “grillini” hanno imparato molto presto. Nulla di nuovo, in realtà, tutto già ampiamente visto nella desolante storia degli ultimi anni della politica e dei politici italiani. Per i quali la libertà di stampa è sacra e inviolabile solo quando articoli, inchieste, approfondimenti giornalistici si occupano degli avversari.

La querela è uno strumento di pressione per scoraggiare il lavoro giornalistico disincentivando lo spirito cronico che dovrebbe invece ispirare l’attività del cronista”. “La querela per diffamazione è un’arma usata per intimidire, per tappare la bocca ai giornalisti, una sorta di avvertimento mafioso nei confronti di chi osa indagare, approfondire”. Non c’è praticamente differenza tra i due comunicati, scritti in periodi e in circostanze differenti, dal Pd e dal Movimento 5 Stelle. Non importa di chi è l’uno e di chi l’altro, ciò che è chiaro è che a parole sono tutti fermi nel difendere e nello schierarsi a fianco dei giornalisti quando sono sotto attacco da parte degli avversari. Ma gli uni come gli altri, quando sono loro a finire nel mirino, reagiscono esattamente nello stesso modo, alla faccia della coerenza.

Querela il Pd, querela il Movimento 5 Stelle. Fa le liste di “proscrizione” il Pd (i giornalisti “sgraditi” e da allontanare dal video), le fa il Movimento 5 Stelle (nell’ignobile elenco fatto nei mesi scorsi da Di Maio tra i 9 giornalisti inseriti ce ne sono anche un paio che hanno rischiato e non poco con le loro inchieste su Mafia capitale…), senza dimenticare la madre di tutte le liste di proscrizione, l’editto bulgaro di berlusconiana memoria. L’esempio più evidente e clamoroso di doppiopesismo e di assoluta incoerenza dei nostri politici in questo campo è il programma di Raitre Report, difeso dagli attacchi degli altri ma, al tempo stesso, attaccato allo stesso modo degli altri quando le inchieste (o le semplici domande) toccano il proprio partito.

Faremo le barricate contro il tentativo di censura preventiva di Report da parte dell’avvocato del premier, on. Ghedini” scriveva nel 2010 l’attuale presidente del Consiglio Gentiloni come responsabile della comunicazione del Pd. Quello stesso partito che ora, da qualche settimana, invoca ogni genere di interventi contro il programma di Raitre “colpevole” di aver fatto inchieste sgradite. “Giù le mani da Report” gridano oggi Grillo e i suoi di fronte alle proteste del Pd. Peccato, però, che qualche anno fa (esattamente nel 2013) era lo stesso comico genovese a minacciare pesantemente la conduttrice di Report Milena Gabanelli (“Con lei faremo i conti quando andremo al governo, le faremo un culo così” minacciava Grillo), “colpevole” di avergli rivolto due semplici domande: “Che fine fanno i proventi del blog di Grillo e quanto guadagna la Casaleggio associati dalla pubblicità sul sito?”.

Non c’è niente da fare, è inutile anche perdere tempo per provare a spiegare ai nostri politici (di destra, centro, sinistra, del Movimento 5 Stelle) cosa sia realmente la libertà di stampa (che è cosa completamente diversa dalla libertà di diffamare e infangare ), sarebbe come cercare di spiegare ad un fascista cosa sia l’antifascismo o ad un comunista cosa sia l’anticomunismo. L’unica cosa di positivo di questo imbarazzante teatrino andato in scena in queste ore è che ora finalmente Grillo e i suoi smetteranno di citare in continuazione quella classifica sulla libertà di stampa, di usarla come una clava contro i giornalisti stessi, essendo ora chiaro a tutti il suo contenuto.

Piuttosto dovrebbe far davvero riflettere la fotografia che emerge dal rapporto di Rsf, confermata dai dati che dimostrano inequivocabilmente come sia difficile e pericoloso oggi in Italia per i giornalisti svolgere il proprio mestiere. Secondo l’osservatorio istituito  nel 2008 (“Ossigeno per l’informazione”) dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale nel corso 2016 sono ben 412 i giornalisti e i blogger italiani che sono stati minacciati o intimiditi come ritorsione per il loro lavoro. Il 15,53% ha subito aggressioni fisiche, il 32,77% avvertimenti, il 37,62% querele pretestuose e altre azioni giudiziarie strumentali, il 4,61% danneggiamenti, il 9,47% impedimenti all’esercizio dei diritti elencati nell’articolo 21 della Costituzione per i quali i codici non prevedono né la procedibilità né sanzioni.

Abbiamo la certezza che i  giornalisti che hanno subito intimidazioni nel 2016 sono molti di più – afferma Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno – almeno dieci volte di più. C’è un dato che sembra confermare il timore del direttore dell’osservatorio e che dovrebbe far riflettere. Secondo il ministero della giustizia nell’ultimo anno sono state presentate poco meno di 6 mila querele per diffamazione contro giornalisti italiani (5904 per l’esattezza) e ben 5125 sono state  rigettate dai giudici già in fase preliminare. “Certamente alcune di queste sono in buona fede – osserva Spampinato – ma tutte le altre? Sono intimidazioni per via legale, bavagli consentiti da una legge ingiusta” .

Ma non ci sono solo un certo tipo di querele, le intimidazioni, al di là delle minacce dirette, possono assumere anche forme più sottili. Basterebbe, ad esempio, ricordare la storia di Enza Dell’Acqua, giovane corrispondente del Quotidiano del Sud che con i suoi articoli ha prima provocato le dimissioni del sindaco di Nicotera, poi lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale. Contro di lei si è scatenata una vera e propria campagna volta a screditarla, con tanto di creazione di una pagina facebook e addirittura una raccolta firme, condotta non solo da uno dei clan più agguerriti, ma anche e soprattutto dal mondo politico, addirittura dalla Chiesa e dal movimento cittadino 14 luglio.

Di casi, più o meno eclatanti, simili a quelli di Enza Dell’Acqua ce ne sono tantissimi in Italia, di modi per intimidire chi fa questo mestiere con passione, se possibile ce ne sono ancora di più. Questo è quello che maggiormente evidenzia Rsf ora come nel 2015, di questo una classe politica e un’opinione pubblica civile e cosciente dovrebbe discutere. Perché, detto che ovviamente i giornalisti hanno le proprie colpe e che, come in qualsiasi categoria, c’è chi svolge bene e chi svolge male il proprio mestiere, in un simile contesto ci vuole davvero un gran coraggio per continuare a fare questo mestiere in un certo modo e non rassegnarsi a fare il semplice pubblica veline…

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