Dopo la condanna definitiva nel procedimento civile, per la Tamarix è arrivata anche quella in primo grado del Tribunale di Ascoli nel procedimento penale. “Le villette costituiscono un potenziale pericolo per l’incolumità dei residenti” afferma il consulente di parte
Nuovo importante capitolo giudiziario nell’incredibile telenovela delle villette abusive in via delle Begonie. Dopo quella in sede civile, nei giorni scorsi per l’impresa che ha realizzato e messo in vendita le villette (la Tamarix) è arrivata anche la condanna nel procedimento penale. Il Tribunale di Ascoli, presieduto dal giudice D’Ecclesia, ha infatti condannato i titolari dell’impresa e il direttore dei lavori ad un’ammenda di 400 euro ciascuno (pena sospesa). Ma se il procedimento penale è solamente al suo primo atto, con l’avvocato degli imputati che ha annunciato l’intenzione di ricorrere in Cassazione, quello civile è arrivato alla sua conclusione, con la sentenza della Corte di Appello di Ancona (che è esecutiva) che ha confermato la sentenza di primo grado, condannando la Tamarix al pagamento di 420 mila euro in cambio della restituzione dell’immobile.
In realtà la sentenza di secondo grado del procedimento civile è arrivata dopo una lunghissima attesa, visto che quella di primo grado era stata emessa dal Tribunale di Ascoli nel maggio 2015. Solo che la Prima Sezione della Corte di Appello di Ancona dal novembre 2019 ha dovuto attendere quasi 3 anni che il Tribunale di Ascoli le inviasse il fascicolo di primo grado che era in quella parte degli archivi dove era presente il divieto di accesso per la presenza di amianto. Ma 7 anni di attesa (dal primo grado all’appello in sede civile) sono un’inezia in una sconcertante vicenda che si trascina addirittura dal 1996.
Quando il Comune rilasciò concessione edilizia n. 62/96 per la realizzazione di quattro schiere di villette, per complessivi 28 alloggi. Che, per magia, al termine dei lavori diventeranno 40, ben 12 in più di quanti previsti nella concessione edilizia stessa. Un chiaro ed evidente abuso che non sarebbe mai venuto a galla (nel 2003 il direttore dei lavori aveva attestato la conformità dell’opera ai progetti approvati) se nel novembre del 2003 una coppia di sposi non avesse acquistato una delle villette della schiera C (con ben 16 villette invece delle 11 previste dalla concessione edilizia), con la parte venditrice (la Tamarix) che, all’atto dell’acquisto, assicurava che era tutto in regola, che era stata presentata al Comune dichiarazione per il rilascio dell’abitabilità. Da quel momento, però, per quella sfortunata coppia iniziava un incubo dal quale sembra quasi impossibile uscire fuori. Emergeva, infatti, che la Tamarix già mesi prima aveva presentato al Comune istanza di variante a sanatoria per le schiere C e D, con la rappresentazione di uno stato difforme sia dalla concessione originaria, sia allo stato attuale.
Istanza, però, neppure avviata (secondo il Comune perché “non è stato completato l’iter burocratico-edilizio relativo a detta concessione”), con la stessa Tamarix che nell’ottobre 2004 presentava richiesta di sospensione della domanda stessa. Il successivo 17 dicembre, poi, chiedeva condono edilizio sulla base della legge regionale Marche n.23/2004 che, però, aveva fissato al 10 dicembre 2004 il termine ultimo per presentare l’istanza di condono. In un paese civile il discorso si sarebbe chiuso lì, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato. In quel meraviglioso posto che è il capoluogo piceno quasi 20 anni dopo siamo ancora alla fase istruttoria di un condono fuori tempo massimo! Per quella coppia, invece, è stato un crescendo di ansie e preoccupazioni, con il certificato di agibilità/abitabilità che non arrivava, fino alla sconcertante scoperta.
Allo Sportello unico per l’edilizia è emerso infatti che non era mai stata presentata alcuna richiesta di agibilità/abitabilità, né la dichiarazione di conformità degli impianti elettrico e del gas. Inoltre non erano stati depositati presso il Genio civile i calcoli strutturali, il collaudo statico della struttura e la conformità alla normativa in materia sismica. Dopo aver cercato inutilmente un accordo, alla coppia non restano che le vie legali, con tanto di denunce civili e penali. Il giudizio penale, che vede sul banco degli imputati con l’accusa di gravi abusi edilizi i due soci della Tamarix e il direttore dei lavori, si è aperto nell’ottobre 2015 ma tra rinvii per vari motivi, compreso terremoto e covid, sono nei giorni scorsi è arrivata la prima sentenza.
Nel procedimento civile, invece, dopo quella di primo grado che ha condannato la Tamarix alla restituzione del prezzo pagato dalla coppia ascolana per l’acquisto della casa, al risarcimento danni per poco meno di 70 mila euro e al pagamento delle spese processuali, nei mesi scorsi è arrivata anche la conferma della condanna nel procedimento di appello. “Il Ctu – si legge nelle motivazioni della Corte di Appello di Ancona – ha accertato che non solo che in realtà alcuna richiesta ritualmente avanzata è stata richiesta dalla Tamarix srl ma anche che l’abitabilità è stata formalmente negata per mancato completamento dell’iter burocratico relativo alla concessione”.
“Nel caso di specie – si legge ancora nelle motivazioni – il Ctu ha accertato che il certificato di abitabilità non è stato rilasciato in considerazioni degli abusi edilizi commessi dall’impresa costruttrice e venditrice. La violazione di tale obbligo non è sanabile dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, abbia già presentato una domanda di condono per sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile. Peraltro nella specie, acclarato che dopo 12 anni non è stata ottenuta una sanatoria per i gravi abusi edilizi che sono riferibili all’intero edificio, oltre alla porzione immobiliare venduta agli odierni appellati, è conforme a giustizia la statuizione sulla domanda di risoluzione e le conseguenti pronunce restitutorie e risarcitorie”.
“Le villette a schiera della Tamarix sono prive di calcoli strutturali asseverati depositati presso il Genio Civile. Gli unici calcoli depositati in tal senso fanno riferimento ad un involucro edilizio (di 28 unità immobiliari) che risulta del tutto estraneo a quello realizzato (di 40 unità immobiliari). In generale è vero, come afferma l’avvocato della Tamarix, che in caso di assenza del collaudo statico, esso può essere sostituito dall’Idoneità statica, ai sensi dell’art.17, comma 3 della Legge Regionale 20 aprile 2015, n.17, come modificato dall’art.35, L.R. 18 aprile 2019, n.8. Ma nel caso di via delle Begonie l’idoneità statica è inefficace in senso tecnico-giuridico, per assenza totale di calcoli sismici asseverati depositati presso il Genio Civile” sottolinea l’ing. Bernabei consulente tecnico di quella coppia. Che, poi, sottolinea un aspetto di certo non secondario.
“Così le villette costituiscono difatti un potenziale pericolo per l’incolumità dei residenti – afferma – come riportato in tre distinte consulenze tecniche d’Ufficio depositate da anni presso il Tribunale di Ascoli, a firma rispettivamente dell’ing. Pierluigi Pelliccioni, dell’ing. Bruno Vitaletti e del geom. Gabriele Di Natale del Collegio dei Geometri di Teramo. Un fatto certamente grave. I miei clienti hanno informato il Comune di Ascoli, tramettendo le suddette tre perizie agli uffici comunali preposti, ma senza esito”. Chissà perché ma il disinteresse dell’amministrazione comunale non sorprende…