Un paese “alla frutta”, la paradossale celebrazione dello “schiaffo” europeo


La nomina di Fitto nella commissione europea festeggiata dalla Meloni, dal suo governo e dai suoi fedeli cantori come un riconoscimento per l’Italia e un grande successo della presidente del Consiglio. Come al solito, però, la realtà è completamente differente…

Prima ancora di conoscere tutte le nomine della Von der Leyen, tutti i bookmakers europei non quotavano e non accettavano scommesse su quale sarebbe stata la reazione del governo italiano e dei suoi fedeli “cantori”, con gli scontati toni trionfali di chi come un mantra continua a ripetere che “stiamo facendo la storia”, ovviamente senza spiegare e motivare concretamente una simile impegnativa affermazione. Ed in effetti cos’ è stato, non appena sono state rese note le nomine della nuova commissione europea sono subito partite le celebrazioni per il (molto presunto) grande risultato portato a casa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per l’altrettanto (molto presunto) ruolo importante riconosciuto all’Italia.

Il nostro paese ha raggiunto un altro traguardo, l’Italia è tornata centrale nell’Unione europea e il premier non può che esultare” scrive “Il Giornale” nell’articolo di apertura dell’edizione on line, con un titolo (“Ha vinto il pragmatismo delle mamme”. Così è nata l’intesa su Fitto con Von der Leyen”) che sarebbe imbarazzante anche per una rivista di gossip. “Nella definizione della commissione europea vale il peso delle nazioni, è quello che cerco di spiegare da diverso tempo e noi dobbiamo ricordarci qual è il ruolo dell’Italia, un paese fondatore dell’Unione europea, la terza economia, la seconda manifattura, il terzo paese per numero di abitanti, è una nazione che conta” ha rivendicato Giorgia Meloni ai microfoni di Bruno Vespa, senza neppure rendersi conto come quell’affermazione di fatto rappresentasse un clamoroso autogol.

Perché per un paese fondatore, che è la terza economia ed il terzo per numero di abitanti, quanto ottenuto con le nomine, se non le briciole, è solo poco più, sicuramente un indiscutibile e pesantissimo passo indietro e un declassamento rispetto al passato, con l’Italia che, al contrario di quello che prova a far credere la Meloni, esce notevolmente ridimensionata e con un ruolo che, a voler essere magnanimi, non è consono ma, anzi, è umiliante per un paese come il nostro. Ma ancora più umiliante è il fatto che chi guida il paese, chi dovrebbe tutelare la sua immagine e il suo ruolo nella comunità europea ha il coraggio e la sfrontatezza di esultare e celebrare quello che è poco più di un “contentino”.

Certo, sappiamo perfettamente che la propaganda è l’arma principale di questa destra, impegnata a raccontare un “paese delle meraviglie” distante anni luce da quello reale. E, per questo, non ci si poteva certo attendere un coraggioso atto di onestà e verità, con l’ammissione del sonoro schiaffo subito. Ma un contegno differente, una più sobria e meno immotivatamente entusiastica reazione era lecito e doveroso attendersela. Come sempre cerchiamo di partire e far parlare i fatti e i dati che, in questo caso, sono talmente inequivocabili e indiscutibili e smontano senza possibilità di discussione la narrazione propagandistica. L’Italia ha ottenuto la nomina di Raffaele Fitto tra i 6 vicepresidenti, con delega alla coesione e riforme e l’incarico di sovraintendere ai fondi Pnrr ma non da solo, insieme alla figura a dir poco ingombrante di Dombrovskis.

Per chi non lo conoscesse il 53enne lettone è uno dei veterani della commissione, in cui siede dal 2014, ed è considerato il vero “zar” dell’economia. E non è certo un mistero che la Von der Leyen ha affidato a lui il compito di difendere le politiche di austerità del bilancio e sovrintendere all’implementazione delle regole fiscali del nuovo patto di stabilità. Non bisogna essere dei fini analisti politici per comprendere come il ruolo di Fitto, nell’ambito del Pnrr, inevitabilmente sarà secondario e subalterno. E già solamente quest’ultimo fato dovrebbe essere sufficiente per riflettere e rendersi conto come la realtà sia decisamente differente da quella raccontata dal governo e dai suoi accoliti.

Ma ci sono altri parametri oggettivi per valutare concretamente il peso di quella nomina che allo stesso modo non lasciano spazio a dubbi. Partendo innanzitutto dalle aspettative, dalle richieste dichiarate nelle settimane scorse dal governo e dalla presidente del Consiglio che, per il prestigio e per il ruolo dell’Italia, chiedeva, praticamente pretendeva, una delega di primo piano con un importante portafoglio, puntando espressamente all’economia. E non ci sono dubbi che quelle ottenute da Fitto non sono neppure lontanamente deleghe che possano avvicinarsi a quanto richiesto dalla Meloni per l’Italia.

Emblematico, a tal proposito, il commento del “Politico Europa”, un quotidiano on line molto accreditato a livello internazionale e considerato un punto di riferimento della politica europea, che sottolinea come l’Italia di fatto esce dal cosiddetto triangolo che era costituito dalla Germania, la Francia e, appunto, il nostro paese, sostituita dalla Francia. Aggiungendo, poi, che, se è vero che ottiene una delle 6 vicepresidenze, è altrettanto innegabile che ha un portafoglio decisamente più debole, neppure lontanamente paragonabile a quello degli alleati franco spagnoli. Quelli importanti dell’economia sono per Francia, Spagna e addirittura Portogallo, con buona pace dell’Italia. Ancora più emblematico ed esemplificativo il confronto con il passato.

Nel precedente mandato l’Italia con Gentiloni gestiva gli affari economici, la riforma fiscale e l’inizio del Naxt Generation Eu. Se andiamo indietro con Monti avevamo gestito la concorrenza, con Prodi addirittura la presidenza. Non servirebbe neppure sottolinearlo, ben altro livello, ben altro spessore, soprattutto ben altra importanza, purtroppo è evidente ed inequivocabile il ridimensionamento per l’Italia. Confermato anche dal fatto che, come sottolinea Tridico, “ l’Italia ha ottenuto le deleghe che nel precedente mandato di Ursula Von der Leyen erano state assegnate ad un paese piccolo e non fondatore come il Portogallo”.

Quella che viene fuori – si legge sul Politico – è una commissione tutta incentrata sulla Von der Leyen, con Francia e Spagna come importanti satelliti, ovviamente insieme alla Germania. Per l’Italia una vicepresidenza praticamente inutile, l’interesse nazionale è fortemente deluso, un brutto colpo per la presidente del Consiglio Meloni”. “Ursula Von der Leyen dà un bel ceffone al governo Meloni – commenta la parlamentare europea Elisabetta Gualmini – ridimensionate le deleghe di Fitto, coesione e riforme, no economia. Una vicepresidenza all’acqua di rose. Tra riforma dell’autonomia differenziata in Italia e politiche di coesione in Europa, il paradosso è splendido”.

Meno splendido, anzi decisamente sconfortante, il paradosso di un governo che festeggia un simile ridimensionamento, con i suoi fedeli “cantori” (i giornali di destra ma anche tutta l’informazione che, per natura, è abituata a schierarsi sempre incondizionatamente dalla parte di chi comanda) che inneggiano e gioiscono. Un po’ come la famosa orchestrina del Titanic…

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