Secondo i dati ufficiali ’Italia è all’ultimo posto in Europa praticamente in tutto. La spesa sanitaria rispetto al pil è scesa al 6,2% (6,8% dell’Europa), il reddito reale diminuisce in Italia e aumenta in Europa, ultimi anche per crescita e per occupazione femminile e giovanile
Dopo 2 anni a Palazzo Chigi, finalmente vengono fuori con prepotenza quelle radici cristiane a cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sempre sostenuto di volersi ispirare. In pochi, praticamente quasi nessuno, avevano infatti capito che tutta l’azione della presidente del Consiglio e del suo “sgangherato” governo fosse profondamente ispirata ad una delle massime più note e significative del Vangelo secondo Matteo, “gli ultimi saranno i primi”. Ora, però, ce lo hanno svelato alcuni dati resi noti negli ultimi giorni che dimostrano inequivocabilmente come il lavoro svolto dal governo di destra in questi 2 anni da questo punto di vista ha dato i suoi frutti, è riuscito a fare in modo che il nostro paese fosse l’ultimo in quasi tutti i settori (quindi, sulla base del Vangelo secondo Matteo, primo in tutto).
Non resta che rifugiarsi in una sana e disincantata ironia per digerire dati e numeri che, invece, sono purtroppo devastanti per il nostro paese e che spazzano via il racconto “tutte rose e fiori” che il governo Meloni e i suoi fedeli cantori fanno da mesi. Naturalmente non stupitevi se su “TeleMeloni” (la Rai) quei numeri e quei dati non verranno mai resi noti e verranno impunemente oscurati, nella tv pubblica occupata militarmente dalla maggioranza di governo è severamente vietato dare brutte notizie, mentre il principale tg (tg1) è stato addirittura trasformato in una sorta di rotocalco rosa, degno dei peggiori melensi salotti di Barbara D’Urso, dove i ministri di questo governo vengono a raccontare le loro pene d’amore…
Tornando ai fatti concreti, non si può certo dire che i dati così negativi siano sorprendenti, almeno per chi conosce la realtà del nostro paese e non si lascia incantare e irretire dalle “favolette” raccontate dalla presidente del Consiglio e dai suoi fedeli adepti. Quel che invece è indiscutibile e che quei dati disegnano un quadro semplicemente disarmante, siamo all’ultimo posto in quasi tutto, nella sanità, nella crescita, nel reddito reale delle famiglie, nel rischio povertà, nell’occupazione giovanile e femminile. Inevitabilmente il dato che più preoccupa è quello che riguarda la sanità. Secondo la Fondazione Gimbe nel 2023 la spesa sanitaria pubblica del nostro paese è scesa al 6,2% del pil, praticamente un vero e proprio record negativo, molto lontana dalla media Ocse (6,9%) ed europea (6,8%). Nel 2020 il rapporto tra spesa pubblica sanitaria e pil era al 7,4%, con il governo Meloni è precipitata alle soglie del 6%, con l’Italia che si colloca all’ultimo paese tra i paesi del G7 e al 16° posto tra i paesi europei.
Traducendo le percentuali in euro, emerge come il gap tra l’Italia e gli altri paesi europei è pari ad 807 euro pro capite che, tenendo conto dell’intera popolazione italiana (quasi 60 milioni) complessivamente equivale a quasi 50 miliardi di euro. Purtroppo non è certo una sorpresa, che la sanità sia uno dei problemi più gravi e allarmanti del nostro paese era ampiamente noto. Quei dati, però, certificano come il governo ha progressivamente ridotto i fondi per la sanità pubblica, di fatto favorendo quella privata. Non meno sconfortante è quanto emerge dall’annuale “Quadro di valutazione sociale” di Eurostat che innanzitutto certifica le crescenti difficoltà delle famiglie in Italia, in totale contro tendenza con quanto avviene nel resto dell’Europa, oltre a ridimensionare la favola del boom e del record dell’occupazione. In particolare l’indagine di Eurostat evidenzia come per le famiglie italiane nel 2023 il reddito disponibile reale lordo in media è sensibilmente calato, a differenza di quanto è avvenuto nel resto dell’Europa dove invece si è registrata un’importante crescita.
Detto che per “reddito disponibile reale lordo” si intendono i soldi che le famiglie hanno concretamente a disposizione, misurati non in assoluto ma sulla base di quante cose permettono di acquistare, secondo i dati forni da Eurostat in Europa nel 2023 si attesta a 110,82 con una crescita di quasi un punto rispetto al 2022, mentre in Italia scende ulteriormente da 94,15 a 93,74. Vale la pena ricordare come quel reddito in Italia dal 2012 in poi è sempre cresciuto, solo negli ultimi due anni ha invertito la tendenza, diminuendo sensibilmente. Solo la Grecia, che comunque ha fatto registrare un leggerissimo aumento, ha un dato peggiore del nostro, la distanza con l’Europa si amplifica notevolmente.
Alla base di questo dato così negativo e preoccupante l’aumento continuo e incontrollato dei prezzi (eppure da 2 anni ci dicono che non aumentano…), la crescita lenta e inferiore al resto dell’Europa (a differenza di quanto continua a sbandierare il governo Meloni…) e soprattutto i salari non adeguati, che non crescono in linea con la crescita dei prezzi. In concreto questo significa che, mentre nel resto d’Europa il potere d’acquisto delle famiglie cresce, sia pure in maniera contenuta, nell’Italia che già lo aveva basso e molto al di sotto della media europea continua disperatamente a diminuire. L’annuale analisi di Eurostat fornisce, poi, un quadro decisamente differente da quanto raccontato dal governo anche sul fronte dell’occupazione.
Un racconto evidentemente e clamorosamente parziale che esalta un risultato sicuramente importante ma assolutamente insufficiente e lontano dal riportare l’Italia vicino ai livelli del resto dell’Europa (senza dimenticare che il trend positivo era iniziato, in maniera decisamente più consistente, con il governo Draghi). Eurostat conferma infatti che i dati su occupazione e disoccupazione sono decisamente in miglioramento, così come è leggermente sceso il rischio di povertà per chi lavora. Ma in tutti e tre i casi restiamo fanalino di coda in Europa. Partiamo dalla disoccupazione, nel 2023 scesa in italia al 7,7% rispetto al 6,1% della media europea. Dato se possibile peggiore per quanto riguarda l’occupazione che nel 2023 nel nostro paese è salita al 66,3% che, però, non ci toglie dall’ultimo posto, con la distanza dal resto dell’Europa (media 75,3%) che resta “siderale”.
Non va molto meglio per il rischio povertà, sceso al 9,9% ma comunque decisamente maggiore rispetto alla media europea dell’8,3%. Scende anche, in Italia e in Europa, la disoccupazione di lunga durata (cioè quella di chi non trova lavoro da almeno 12 mesi), solo che quella italiana (4,2%) continua ad essere il doppio di quella europea (2,1%). Prosegue anche la discesa dei neet (giovani che non studiano e non lavorano) iniziata dal 2016 ma la percentuale del 16,1% fatta registrare nel 2023 colloca ancora l’Italia all’ultimo posto e distante dalla media europea (11,2%). Situazione se possibile ulteriormente peggiore, senza particolari miglioramenti, per quanto riguarda l’occupazione giovanile e femminile. Quella giovanile rallenta sensibilmente, rispetto al periodo del governo Draghi, la diminuzione, attestandosi al 22,7% rispetto al 14,9% della media europea (solo la Spagna ha percentuali simili).
Nessun miglioramento e dati ancora disastrosi, invece, per quanto riguarda il cosiddetto “gender employment gap”, cioè la differenza tra il tasso di occupazione maschile e femminile, che in Italia è praticamente identico da 10 anni e sfiora il 20%, praticamente quasi il doppio rispetto alla media europea (10,2%). Quasi superfluo sottolineare che siamo ampiamente all’ultimo posto in Europa, così come, secondo i dati Istat, siamo fanalino di coda anche per quanto riguarda la crescita nel corso di questo 2024, ben lontani dalle stime (già non ottimistiche e positive) del governo che prevedeva una crescita intorno all’1%. Non resta che affidarci al Vangelo secondo Matteo…