Indignano le vergognose parole pronunciate dal ministro Piantedosi sulla strage di Cutro che, però, rappresentano l’atroce e sadica filosofia su cui si fonda la politica sui migranti dell’attuale governo, con l’insensata guerra contro chi si occupa di salvataggi in mare
“Sono scappato dal mio paese dopo che tutti i miei familiari sono stati uccisi. Sono arrivato in Libia ei trafficanti mi hanno venduto da una prigione all’altra, dove le torture erano quotidiane, ci frustavano con i tubi per l’acqua, ci picchiavano sotto le piante dei piedi, le donne venivano violentate e a volti gli uomini di guardia si divertivano a seviziarci con tubi di plastica. Ho visto morire decine e decine di persone per la fame e per la sete, molte donne e bambini. Avevo giurato che avrei affrontato di tutto, anche il rischio di morire, pur di non ritornare i quei posti” racconta Youssuf 25 anni originario delle Isole Comore.
“Sono scappata dalla Nigeria con mia figlia di 3 anni dopo che mio marito e i miei familiari erano stati uccisi da una banda armata. In Libia ho trovato l’inferno, mi hanno portato in un campo dove c’erano centinaia di persone. Sono stata picchiata, violentata più volte, ho ancora le cicatrici sulla schiena di quando ci frustavano con il filo di ferro. Ho visto tantissime persone morire, per le percosse, per la fame, ho visto anche bambine di 10-11 anni violentate. Sapevo che affrontare un viaggio in barca per l’Italia ero un grosso rischio ma ero consapevole che per me e per mia figlia avrei preferito la morte piuttosto che continuare a vivere in quel modo” racconta Missy, 27 anni della Nigeria.
Potremmo proseguire a lungo a raccontare le storie di disperazione di chi non ha più nulla da perdere e vede in un viaggio pieni di rischi, in condizioni estreme, l’unica speranza per sottrarsi ad un futuro di miseria, violenze, soprusi e morte certa. Molto più utile, invece, sarebbe chiudere il ministro Piantedosi per giorni in una stanza, costringendolo ad ascoltare senza sosta storie come quelle. Perché, ne siamo certi, quanto meno poi si guarderebbe bene, in circostanze simili, dal ripetere le “minchiate” (per non dire di peggio…) che ha pronunciato dopo la tragedia di Cutro.
“La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo anche le vite dei figli, l’unica cosa che va detta e affermata è: non devono partire” ha affermato il ministro Piatendosi. Che, per completare l’opera, ha anche aggiunto: “io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo aspettarmi dal luogo in cui ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”. E’ capitato spesso in passato di provare profondo imbarazzo nell’essere rappresentanti da ministri semplicemente impresentabili. Questa volta, però, si è passato ogni limite, quelle parole rappresentano una vergogna, un’onta indelebile per il nostro Paese (e ancor più per il governo di cui Piantedosi fa parte).
Sembrava impossibile anche solo pensarlo ma Piatendosi sta riuscendo a farci rimpiangere Salvini, uno statista di caratura mondiale e con profonda sensibilità al confronto dell’attuale ministro degli interni. Non andiamo oltre perché, di fronte a simili agghiaccianti affermazioni, diventa difficile commentare senza rischiare di esporsi ad una denuncia. Non ce l’aspettiamo, perché ormai nel nostro paese la politica è diventata come il calcio e vede solo ultras accecati contrapposti, ma anche e soprattutto gli elettori e i sostenitori di questo governo di destra dovrebbero provare vergogna e pretendere di non essere rappresentati da un simile ministro.
“I migranti continuano ad affrontare rotte di mare e di terra sempre più dure e pericolose per fuggire da guerre, persecuzioni, negazione dei diritti umani e delle libertà, fame. Ma per il ministro potrebbero farne a meno…” accusa Sergio Di Dato di Medici Senza Frontiere.
“Non puoi spiegare come si sta al mondo a chi è disperato, a chi scappa, a chi ha paura, a chi ha fame, a chi ha bambini e li vuole salvare – scrive Mentana – non è retorica, è incontro con la realtà. E’ inutile fare la morale sui rischi che non vale la pena correre a chi non ha nulla da perdere perché ha già perso tutto. Tra i migranti naufragati a Steccato di Cutro c’erano persone, famiglie che fuggivano dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Siria. Immaginate il loro viaggio, la durata, le difficoltà, i rischi. Immaginate quella lunga traversata dalle coste turche col mare mosso. Affrontare tutto questo per uomini, donne e bambini significava giocarsi tutto per continuare a vivere, per mettersi alle spalle qualcosa di così orribile da rendere preferibile un viaggio carico di rischi”.
E’ deprimente anche solo doverlo sottolineare, ma è sufficiente avere una sensibilità anche solo di un nulla superiore allo zero per capirlo, così come basta avere una conoscenza anche molto superficiale di ciò che avviene in certe zone del mondo per sapere come stanno le cose, per comprendere che chi ha la sfortuna di vivere in determinati posti ha, come unica alternativa dalla fuga, una vita breve e infernale. Piantedosi evidentemente non ha né l’una né l’altra, in compenso ha una “faccia tosta” tale da non sentirsi in dovere di farsi da parte.
Il problema maggiore, però, è che le indegne parole del ministro hanno comunque avuto l’effetto di far passare in secondo piano l’aspetto più sconcertante che questa tragica vicenda ha portato alla luce e su cui sarebbe quanto meno opportuno riflettere, cioè l’estremo cinismo e la disumanità delle politiche dell’attuale governo in tema di migranti che, senza esagerare, si possono definire politiche omicide, nel senso che restano del tutto indifferenti di fronte all’inevitabile scia di morte che possono determinare e provocare. E’ del tutto evidente, infatti, che per quanto pronunciate nel momento più sbagliato e nei modi peggiori possibili, le vergognose parole di Piantedosi rappresentano l’atroce e sadica filosofia su cui si fonda la politica sui migranti dell’attuale governo, riassunta alla perfezione in maniera sintetica da Tomaso Montanari: “tra farli morire in mare o farli morire a casa loro la possibilità di farli vivere dove sperano di andare non li sfiora nemmeno. Il regime della menzogna e della morte”.
Può sembrare brutale ma è l’esatta rappresentazione di quanto sta avvenendo. Perché dovrebbe essere chiaro che, se da un lato si continua a ripetere come un mantra che il principale obiettivo è fare in modo che non partano, che restino in quell’inferno che li condanna ad una vita di violenze, soprusi e morte, mentre dall’altro si fa di tutto per contrastare in ogni modo, anche con norme ai limiti della costituzionalità, chi si preoccupa di effettuare i salvataggi in mare, riducendo drasticamente la loro presenza in mare, di fatto si attuano politiche che negano anche soli il diritto di sognare un futuro più umano per quelle persone e che, al tempo stesso, inevitabilmente finiscono per aumentare la possibilità del verificarsi di certe tragedie in mare.
Per altro quella dell’attuale governo contro le Ong è chiaramente una guerra ideologica e completamente immotivata. Lo confermano in maniera inequivocabile i dati ufficiali, secondo cui sono meno del 10% i migranti sbarcati in Italia dopo essere stati salvati dalle navi delle Ong, ma anche tutti i rapporti internazionali che evidenziano come l’incidenza delle Ong sulla questione migranti è del tutto marginale. Eppure l’unico provvedimento adottato dal governo italiano, un’autentica schifezza, è quello che ha introdotto norme più severe per rendere sempre più complicati e difficoltosi i salvataggi in mare operati dalle Ong. La cui costituzionalità viene messa in dubbio dal movimento regionale di impegno civile “Dipende da noi”.
“Con quale diritto avete sanzionato la nave? In nome di quale legge? Secondo quale articolo di impegno civile – interroga facendo riferimento alla vicenda della nave di soccorso “Geo Barents” di Medici Senza Frontiere – il provvedimento di fermo amministrativo per 20 giorni e la multa comminati alla nave da parte della Capitaneria di porto di Ancona sono un gesto giuridicamente infondato. La sanzione è stata motivata per il fatto di non aver consegnato il Voyage Data Recorder della nave, ma la sua consegna è prevista dalla normativa vigente solo in caso di un incidente, non se si esegue un salvataggio di naufraghi. La sanzione è al tempo stesso un gesto moralmente a rovescio, perché va a punire chi ha salvato e può ancora salvare vite umane, bloccando un mezzo prezioso per effettuare nuovi salvataggi. In realtà la sanzione è un gesto politico, dettato dalla linea di respingimento a tutti i costi adottata dal governo attuale”. Ed esplicitata, nella maniera più vergognosa ed ignobile, dalle parole del ministro Piantedosi