Spettatori in fuga da “Tele Meloni”


I numeri dimostrano come il nuovo corso Rai imposto dalla Meloni e dal suo governo si stia rivelando un clamoroso fallimento. Crollano gli spettatori dei tg modello Istituto Luce, i volti nuovi imposti dal governo ottengono ascolti ridicoli e fanno rimpiangere chi non c’è più

Dai tg, al minimo storico, ai nuovi programmi di punta della nuova programmazione Rai, Tele Meloni si sta rivelando un vero e proprio fallimento. A vantaggio di Mediaset e di La7, quest’ultima sempre più punto di riferimento dell’informazione televisiva. Ed è sin troppo facile sostenere che era tutto largamente previsto, che la sconcertante voracità della presidente del Consiglio e di Fratelli d’Italia, unita alla sete di vendetta nei confronti di personaggi storicamente non graditi (forse sarebbe più giusto dire odiati), ma che da anni con i loro programmi assicuravano a viale Mazzini elevatissimi ascolti (e, soprattutto, grandi introiti pubblicitari), non poteva che produrre un simile risultato.

Certo è ancora troppo presto per emettere sentenze definitive, c’è ancora tempo e spazio per risalire e porre parzialmente rimedio a questa situazione. Quel che è certo, però, è che serve una brusca inversione di marcia altrimenti la tv pubblica rischia se non il default qualcosa di molto simile. Senza ipocrisia bisogna riconoscere che la Rai è sempre stata “lottizzata” ma erano soprattutto i vertici delle tre reti e la direzione dei vari tg ad essere spartiti tra i partiti, con ovviamente la quota maggioritaria a quelli della maggioranza di governo. E negli stessi tg Rai c’era sicuramente una maggiore attenzione e visibilità per il governo e per la sua maggioranza, ma in misura solitamente non eccessiva. Non che quello che accadeva fosse condivisibile, è perfino superfluo ripetere che i partiti dovrebbe essere fuori dalla Rai.

Ma quanto è accaduto e sta accadendo dall’avvento della destra al governo è qualcosa di mai visto fino ad ora, che rischia di avere pesanti conseguenze per il futuro della tv pubblica. Perché il nuovo governo e i partiti che lo sostengono non si sono limitati ad occupare tutte le poltrone occupabili in Rai e a trasformare i telegiornali del servizio pubblico (ad eccezione di quelli di Raitre) in veri e propri bollettini di “regime”, da far impallidire l’istituto Luce, in cui si magnifica l’operato del governo stesso, si lascia pochissimo spazio (quasi impercettibile) a chi non è allineato e, soprattutto, si costruisce una surreale idilliaca narrazione del nostro paese, con sempre più spazio riservato a cose frivole, al gossip, al costume, evitando accuratamente di raccontare le tante emergenze e i grossi problemi con i quali devono fare i conti tutti i giorni gli italiani.

La cosiddetta “nuova narrazione” che, per quanto concerne l’informazione, si trasforma nel racconto di un mondo virtuale che neanche lontanamente si avvicina a quello reale. Ed il risultato, scontato ed inevitabile, è che i tg Rai stanno toccando il minimo storico, perdono spettatori in maniera impressionante, tanto che per la prima volta da quando esistono le altre tv il peso complessivo i tre tg nazionali della sera scendono ampiamente sotto il 50%, a vantaggio soprattutto del tg di La7 (che a settembre cresce di quasi il 3%) e del tg5 (+2,5%). Quest’ultimo, però, realizza il vero e proprio boom nell’edizione delle 13, con una media di oltre 150 mila spettatori in più (8-9% in più), praticamente tutti drenati dai tg Rai.

Ma il vero e proprio capolavoro al contrario è stato realizzato con la programmazione dei tre canali Rai imposta dai nuovi vertici della tv pubblica che fanno riferimento al governo. Dietro allo slogan da campagna elettorale di una Rai che ora “punta sul merito e la competenza”, da dare in pasto ai soliti “boccaloni”, in realtà la strategia che ha mosso la nuova programmazione Rai si basava sull’esatto contrario, mettendo al bando il merito e ancor più la competenza (anche perché non è certo una novità che la destra è allergica alla competenza…). Così da un lato è stata messa in atto una vera e propria vendetta nei confronti di quei personaggi che, pur ottenendo un grandissimo ascolto (e, di conseguenza, garantendo importanti entrate pubblicitarie), per usare risultare “sgraditi” a Meloni, Salvini e C..

Dall’altro si è deciso di puntare sulla narrazione di una società che di fatto non esiste più, che era quella di 40-50 anni fa, rifiutando di comprendere che, piaccia o no, il mondo è radicalmente cambiato, si è completamente trasformato e che con questo nuovo mondo, con questa nuova società molto più complessa inevitabilmente bisogna fare i conti. Questo improbabile ritorno al passato ha fatto il paio con la volontà di portare in Rai tutti i volti “amici”, quelli che si erano più o meno schierati dalla parte della destra e, soprattutto, della Meloni, in barba al merito e alla competenza. Il risultato che ne è scaturito è per il momento semplicemente disastroso, i numeri dei primi 10 giorni del nuovo palinsesto autunnale Rai sono da incubo, ben più che fallimentari. Non solo si è verificato il previsto sorpasso ma addirittura Mediaset ha nettamente staccato la Rai, con una media del 41% contro poco più del 32% della Rai, mentre anche La7 fa segnare un’importante crescita.

Ed i numeri non lasciano spazio a possibili repliche da parte dei vertici di Tele Meloni e del governo stesso perché evidenziano in maniera netta e imbarazzante che a far precipitare gli ascolti sono proprio i volti nuovi voluti dal governo di destra (Inciocchi, Balivo, Bruchi, Insegno, ecc), mentre a tenere ancora quasi a galla la tv pubblica sono coloro che si sono salvati dal “repulisti”, il solito Bruno Vespa (buono per ogni stagione e per ogni governo…), Marco Damilano e Alberto Matano. Solo per citare qualche esempio, il programma di intrattenimento nel day time “La volta buona”, condotto da Caterina Balivo, viaggia ad una media dell’11-12% rispetto al 17-18% del programma dello scorso anno di Serena Bortone riferimento in quella fascia oraria. “Agorà”, il salotto politico condotto da Roberto Inciocchi fatica a raggiungere il 3% (lo scorso anno si viaggiava sul 7-8%), Restart di Annalisi Bruchi neanche si avvicina a quella percentuale, con i programmi simili della stessa fascia oraria di la7 (“Omnibus” e Cofee Break”) che per la prima volta hanno operato il sorpasso e veleggiano con un insperato share superiore al 5%.

Ancora più imbarazzante, ma di certo non particolarmente inaspettato, il flop di Pino Insegno con il suo “Mercante in fiera” che nelle prime puntate ha faticato a raggiungere il 2% (e in quelle successive non ha certo fatto meglio). Rispetto agli altri volti nuovi in questo caso c’è l’aggravante che per mesi se ne è parlato, la nuova edizione del “Mercante in fiera” è stata pubblicizzata come mai nessun programma della Rai prima, per questo il flop è ancora più pesante. Per altro è singolare come per anni la destra ha a lungo parlato e contestato Fabio Fazio per il presunto contratto troppo caro per la Rai ma anche e soprattutto per il costo del suo “Che tempo che fa”, prodotto da una società esterna.

Come, però, avviene anche per il programma di Insegno, prodotto non dalla Rai ma dalla Banijay. Con la differenza non di poco conto, però, che quello di Fazio calamitava sponsor e investimenti pubblicitari tali che alla fine per la Rai rappresentava un grandissimo guadagno e non certo un costo. Cosa che, invece, non avviene con il “Mercante in fiera” che, con simili ascolti, rischia di trasformarsi in una “mazzata” pesantissima per le casse della tv pubblica. Al di là del gradimento, il vero problema è di carattere economico. Con simili ascolti complessivi la Rai inevitabilmente perde investitori pubblicitari e non solo. Con certi ascolti si va al di sotto di quella che era la base in merito alla quale sono state vendute le pubblicità. Al di là del caso imbarazzante del programma di Insegno, per “In Mezz’Ora” i contratti pubblicitari partivano da un’ipotesi di ascolti da un minimo di 1,1 milioni ad un massimo di 1,6 milioni di spettatori (che poi erano i numeri che faceva Lucia Annunziata) mentre in concreto le prime puntate di settembre non hanno superato gli 800 mila spettatori.

Se la situazione non migliora per quello e per altri programmi la Rai sarà costretta a rimborsare gli investitori pubblicitari, magari mettendogli a disposizione nuovi spazi pubblicitari in altri programmi con uno share maggiore, naturalmente gratuitamente. In altre parole, i “capricci” della Meloni e della destra di governo rischiano seriamente di mettere ko la Rai. Neppure Berlusconi, che di certo qualche interesse in proposito lo aveva, era arrivato a tanto…

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