La Corte di Cassazione, che ha sancito l’incompetenza territoriale della Procura di Torino e ha spostato l’inchiesta Prisma a Roma, conferma che una Procura e dei magistrati per 2 anni hanno svolto indagini e preso decisioni pur non essendo titolati a farlo
E’ passata quasi sotto silenzio, al di là delle solite contrapposizioni da ultras, la pronuncia della settimana scorsa della Corte di Cassazione sulla competenza territoriale in merito all’inchiesta Prisma (che coinvolge la Juventus e alcuni ex dirigenti bianconeri, tra cui l’ex presidente Andrea Agnelli) che, invece, avrebbe dovuto fare molto rumore e avrebbe dovuto provocare una seria e approfondita riflessione sullo stato in cui si è ridotta in questo paese la giustizia, sempre più allo sbando e sempre meno affidabile.
Perché, sintetizzando, la Cassazione ha confermato quello che in realtà era ampiamente noto a tutti (probabilmente anche ai magistrati che stavano indagando), cioè che una Procura (quella di Torino) e dei magistrati per quasi 2 anni hanno svolto indagini, preso decisioni che hanno provocato importanti conseguenze ed emesso atti ufficiali pur non essendo titolati a farlo. Un’autentica e inaccettabile follia, l’ennesima pagina nera della sempre più derelitta giustizia italiana, resa ancora più sconcertante dal fatto che nonostante tutto nessuno pagherà per quanto accaduto, non ci sarà nessuna conseguenza concreta per i protagonisti di quello che a tutti gli effetti è un gravissimo abuso, ora certificato inequivocabilmente dalla Corte di Cassazione.
Che era chiamata a pronunciarsi sulla richiesta dei legali della Juventus di spostare il procedimento a Milano o a Roma, contestando l’incompetenza territoriale della Procura di Torino. In realtà analoga richiesta i legali della società bianconera e degli altri indagati l’avevano avanzata alla Procura generale della Cassazione non appena erano stato informati dell’indagine in corso. Ma la Procura di Torino, invece di attendere il rapido pronunciamento della Suprema Corte, aveva rapidamente chiuso la fase delle indagini preliminari, rendendo di fatto non più esaminabile quel ricorso e rimandando la questione a quando l’inchiesta sarebbe arrivata in aula. Al di là della legittimità, un comportamento a dir poco discutibile perché, per evidenti e comprensibili ragioni, in tutte le circostanze simili, quando in discussione c’è la competenza territoriale, solitamente prima di procedere e andare avanti si attende sempre la decisione della Cassazione.
Per altro in questo caso non c’erano e non potevano esserci dubbi sul fatto che la Procura di Torino non fosse territorialmente competente a procedere ed è difficile stabilire se è più grave se i magistrati torinesi fossero coscienti della loro incompetenza, ma sono andati avanti lo stesso per chissà quali ragioni, o se non ne fossero consapevoli (e in questo caso ci sarebbe da interrogarsi su un altro tipo di competenza…). Qualsiasi giornalista o editore che nel corso della sua carriera sia stato oggetto di querela per quanto scritto su un giornale cartaceo è perfettamente a conoscenza del fatto che, nel caso, per l’individuazione del giudice territorialmente competente si tiene conto del luogo di prima diffusione, cioè dove è stato stampato.
Per essere ancora più chiari, se un giornale locale che tratta argomenti che riguardano le Marche o il Piceno fosse stampato a Roma, in caso di querela il giudice territorialmente competente sarebbe comunque quello di Roma, luogo di prima diffusione del giornale stesso (e quindi dell’eventuale reato). E’ un concetto elementare e ampiamente noto in giurisprudenza, se qualche magistrato non è a conoscenza forse farebbe meglio a cambiare mestiere… Tornando all’inchiesta Prisma, gli stessi magistrati della Procura di Torino hanno più volte sottolineato la peculiarità della situazione della Juventus come società quotata in borsa, cosa che comporta il rispetto di stringenti e peculiari obblighi informativi sia verso il mercato sia verso l’autorità di vigilanza (Consob). Ed è altrettanto noto che il profilo dell’informazione riveste un ruolo fondamentale nel concreto funzionamento della società quotata e nel suo rapporto con il mercato finanziario.
Non a caso la stessa inchiesta Prisma sui presunti falsi in bilancio, con tutte le conseguenti derivazioni (come ad esempio le famose plusvalenze), è nata proprio dalle comunicazioni effettuate dalla Juventus alla Consob. E, quindi, anche uno studente di giurisprudenza alle prime armi sarebbe stato in grado di comprendere che in alcun modo la competenza territoriale poteva essere della Procura di Torino. Questa era sin dall’inizio l’unica certa, mentre legittimi dubbi potevano sussistere sul fatto che l’inchiesta dovesse essere portata avanti da Milano o da Roma, perché nel capoluogo lombardo sono diffusi i comunicati delle società quotate in borsa, mentre nella Capitale si trova il server autorizzato dalla Consob a diffondere i comunicati stessi.
Quindi il luogo della prima diffusione, dove si è manifestato originariamente l’eventuale reato, a seconda delle diverse interpretazioni poteva essere individuato a Milano o a Roma (come poi ha deciso la Cassazione), in alcun caso a Torino. Non servirebbe neppure sottolinearlo, perché i fatti sono talmente chiari e inequivocabili, ma è bene evidenziare che non è una questione di lana caprina, anche e soprattutto perché la materia in discussione è molto particolare e si presta a diverse modalità di approccio e di interpretazioni, senza dimenticare che ogni Procura ha un suo modo di operare e una sua differente sensibilità.
Come dimostra il fatto che, in vicende praticamente identiche (soprattutto in tema di plusvalenze), altre procure (Milano, Napoli, Bologna, Roma) si sono comportate esattamente in maniera opposta a quella di Torino, archiviando molto rapidamente (e già solo questo dovrebbe essere sufficiente per provocare una profonda riflessione perché la giustizia dovrebbe essere uguale per tutti, non in base alla fortuna o alla sfortuna di capitare in una o in un’altra Procura, né tanto meno lasciata in balia delle “lune” di questo o quel magistrato). Per altro a conferma di come, cambiando Procura, è come se si cambiasse il codice penale di riferimento, pochi giorni prima della pronuncia sulla competenza territoriale da parte della Cassazione, la Procura di Bologna, in merito al caso Orsolini, ha chiesto l’archiviazione, accolta a tempo di record dal Gip, per insussistenza di reato.
Alla Procura bolognese gli atti di quel procedimento erano stati trasmessi proprio dalla Procura di Torino, secondo cui il caso Orsolini era uno dei punti cardine nell’impianto accusatorio in merito alle presunte plusvalenze fittizie. Come anticipato, le scelte della Procura di Torino, che non aveva alcun titolo per portare avanti le indagini, nei mesi scorsi hanno avuto conseguenze molto importanti. E non solo e non tanto perché quei presunti gravi reati (che come visto per altre Procure, compresa quella di Bologna, sono invece insussistenti) sono stati alla base delle condanne in sede sportiva.
Ma anche e soprattutto perché la Procura di Torino ha addirittura chiesto l’arresto di Andrea Agnelli e, anche sulla base di quella richiesta, lo stesso Agnelli e tutti i vertici della Juventus hanno rassegnato le dimissioni. Ed ora abbiamo la certezza di quello che era chiaro a molti sin da allora, cioè che quelle dimissioni sono state indotte e provocate da chi non aveva alcun titolo per farlo. A rendere più sconcertante il quadro della vicenda occorre ricordare che uno dei pm torinesi aveva più volte pubblicamente manifestato il proprio odio nei confronti della Juventus. Quel pm solo a giochi praticamente fatti si è poi fatto da parte, per altro senza neppure essere sottoposto ad una qualche azione disciplinare. Così come gli altri suoi colleghi che per 2 anni hanno portato avanti un’inchiesta senza essere titolati a farlo. Con ulteriori conseguenze che, come se non bastassero quelle già citate, potrebbero rendere ancora più imbarazzante e sconcertante la vicenda.
Perché ora tutti i faldoni e le 20 mila pagine dell’inchiesta dovranno passare alla Procura di Roma che, di fatto, dovrà ripartire da capo. Con il concreto rischio che, se dovessero ritenere che ci sono gli elementi per andare a giudizio, il procedimento non vedrà comunque la fine per la possibile sopraggiunta prescrizione. Un capolavoro…