La vicenda che ha coinvolto gli esponenti del suo partito Delmastro e Donzelli era l’occasione migliore per la Meloni per dimostrare di avere essere all’altezza dell’incarico che riveste. Invece ha confermato di avere a cuore gli interessi del suo partito, non del suo paese
I suoi “maldestri” (sotto ogni punto di vista) compagni di partito, Delmastro e Donzelli, le hanno offerto su un piatto d’argento un’occasione irripetibile per dimostrare che non è solamente un’urlatrice seriale ma è in grado di essere un presidente del Consiglio capace di rappresentare tutto il paese, a prescindere dalle legittime differenti opinioni politiche, anche quella parte (che, non bisogna dimenticarlo, è una larga maggioranza) che non vota il suo partito e la sua parte politica. Era sin troppo semplice, come tirare un calcio di rigore a porta vuota.
Sarebbe stato sufficiente chiedere ai due esponenti di Fratelli d’Italia di dimettersi dai ruoli istituzionali che rivestono, rispettivamente sottosegretario alla giustizia e vicepresidente del Copasir, perché il loro vergognoso comportamento è indegno e incompatibile con qualsiasi carica istituzionale. E a quel punto, anche senza doversi scusare con i parlamentari oggetto delle inaccettabili illazioni dello stesso Donzelli, avrebbe potuto legittimamente chiedere di fermare le polemiche per unirsi contro la (molto presunta) minaccia anarchica, rendendo di fatto impossibile per qualsiasi forza dell’opposizione non applaudire e condividere. Avrebbe potuto ma non l’ha fatto, semplicemente perché, come insegna Esopo nella favela della rana e lo scorpione, non si può cambiare la propria natura.
E la natura della Meloni è quella di un’urlatrice sguaiata, una demagogica e populista capopopolo, perfetta per fare l’opposizione più dura senza se e senza ma, a cui interessa prima di ogni altra cosa e quasi esclusivamente l’interesse del proprio partito, non certo del paese. Qualità che mal si sposano con il ruolo istituzionale che riveste e che la rendono assolutamente inadeguata come presidente del Consiglio, almeno al momento. Siamo solo agli inizi (se davvero il governo di destra durerà 5 anni) e magari con il tempo imparerà ad essere una donna delle istituzioni, adeguata al ruolo che riveste, piuttosto che solamente leader del proprio partito. Però al momento la situazione è questa e la lettera della presidente del Consiglio, che riportiamo integralmente, pubblicata sul “Corriere della Sera” ne è la più clamorosa dimostrazione.
Prima di pubblicarla, però, sono doverose e necessario un paio di rapide considerazioni. Non sappiamo se per spirito di parte o per grave incapacità (ed in un caso o nell’altro è comunque inaccettabile per chi guida il paese), ma è sconcertante che la Meloni non si renda conto (o finga di non rendersi conto) della gravità del comportamento di Donzelli e Delmastro che hanno utilizzato informazioni riservate, che non potevano e non dovevano assolutamente essere diffuse in quel modo o con quel fine, per attaccare rappresentanti dell’opposizione.
D’altra parte è sufficiente conoscere la lingua italiana per non avere alcun dubbio che quelle informazioni, che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha classificato “a divulgazione limitata” non potevano essere divulgate in quel modo, rendendole di fatto a divulgazione illimitata, e tanto meno per beceri motivi politici. Non meno grave la strumentalizzazione politica utilizzata dalla presidente del Consiglio per provare ad attenuare le responsabilità dei suoi compagni di partiti, cercando di spostare, con basse e inaccettabili illazioni, l’attenzione sul comportamento dei parlamentari di opposizione “colpevoli” di aver semplicemente messo in atto una delle prerogative dei parlamentari stessi, cioè le visite in carcere per verificare la situazione dei detenuti.
Per altro la Meloni, a meno che non ha davvero gravi problemi di memoria, dovrebbe ricordare come le visite in carcere, anche a condannati in via definitiva per mafia, le hanno fatte con frequenze anche i parlamentari del FdI, senza che nessuno, però, ipotizzasse o si chiedesse se FdI fosse dalla parte della mafia o dello Stato. Infine è a dir poco contraddittorio, quasi da atteggiamento bipolare, invocare lo stop alle polemiche e chiedere unità con una lettera che, per buona parte, contiene insinuazioni e violenti attacchi ad altre forze politiche.
“Da diversi giorni vengo accusata, da esponenti delle opposizioni e dei media, di reticenza in relazione all’acceso dibattito su Alfredo Cospito svoltosi alla Camera, che ha visto coinvolti tra gli altri l’onorevole Donzelli e il Sottosegretario Delmastro. Della vicenda mi è stato chiesto ieri, quando durante una conferenza stampa con il Cancelliere Scholz a Berlino, e di fronte ai media internazionali, giornalisti italiani mi hanno interrogato su questo, evidentemente meno interessati alla trattativa che stavo conducendo nell’interesse italiano in vista del prossimo Consiglio Europeo straordinario. Ho preso l’impegno di rispondere e lo faccio ora, segnalando che la ragione per la quale non sono intervenuta finora è che ho tentato di non alimentare una polemica che considero, per tutti, controproducente. Le spiego perché. A monte: sicuramente i toni si sono alzati troppo, e invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso. Tuttavia, non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti per le dimissioni che qualcuno ha richiesto. Peraltro, le notizie contenute nella documentazione oggetto del contendere, che il Ministero della Giustizia ha chiarito non essere oggetto di segreto, sono state addirittura anticipate da taluni media. Ci sono in questo polverone, a mio avviso, aspetti chiaramente strumentali. Trovo singolare che ci si scandalizzi perché in Parlamento si è discusso di documenti non coperti da segreto, mentre da anni conversazioni private – queste sì da non divulgare – divengono spesso di pubblico dominio. Trovo singolare l’indignazione del Pd per un’accusa sicuramente eccessiva, quando però la sinistra in passato ha mosso alla sottoscritta, leader dell’opposizione, le accuse di «essere la mandante morale delle morti in mare» o di guidare un «partito eversivo», per citarne alcune. Senza dimenticare quando esponenti istituzionali gridavano tra gli applausi che avremmo dovuto «sputare sangue». Trovo paradossale che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche di questi giorni si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico, in un momento in cui il detenuto intensificava gli sforzi di comunicazione con l’esterno, come emerge dalle note dell’autorità giudiziaria che si è pronunciata sul caso, rese note dai mezzi di informazione. E quello che colpisce me, ancora più di quella visita, è che dopo aver preso atto – da quello che riporta la stampa sulla vicenda – dei rapporti tra Alfredo Cospito e i boss mafiosi in regime di carcere duro, e ben sapendo quanto alla mafia convenga mettere in discussione il 41bis, autorevolissimi esponenti del Pd abbiano continuato a chiedere la revoca dell’istituto per Cospito, fingendo di non comprendere le implicazioni che tale scelta avrebbe avuto soprattutto in termini di lotta alla criminalità organizzata. Detto ciò, io credo che il punto sia un altro. Mentre maggioranza e opposizione si accapigliano sul caso, attorno a noi il clima si sta pericolosamente e velocemente surriscaldando. E non risparmia nessuno, come dimostrano i manifesti comparsi ieri all’università La Sapienza di Roma, che definiscono «assassini» il Presidente della Repubblica e i membri di diversi governi, senza distinzione di colore politico. Mentre si continua a pensare che questa questione possa essere utilizzata per attaccare il governo o l’opposizione, ieri è stato necessario assegnare la scorta all’on. Donzelli e ai Sottosegretari Delmastro e Ostellari, e ovunque compaiono minacce alle istituzioni italiane, qui in patria e all’estero. È chiaro che non ci troviamo davanti a una delle tante polemiche che agitano il mondo politico, ma a una situazione dai contorni decisamente inquietanti che rischia di avere conseguenze gravi. A uno scenario che richiede prudenza e cautela ma che deve vedere compatto lo Stato, in tutte le sue articolazioni e componenti, a difesa della legalità. È un appello che rivolgo a tutti, politici, giornalisti, opinionisti. Perché non ci si debba domani guardare indietro e scoprire che, non comprendendo la gravità di quello che stava accadendo, abbiamo finito per essere tutti responsabili di un’escalation che può portarci ovunque”.