Palazzo Sgariglia, un “housing” non troppo social…


Una delibera del 23 febbraio riaccende i fari sulla nebulosa vicenda della cessione di Palazzo Sgariglia, un’operazione che “fa acqua” da tutte le parti. Tra i  pesanti dubbi sull’aspetto economico e un progetto di social housing che, tra canone di affitto elevato e discutibili modalità di assegnazione degli alloggi, non sembra essere troppo “social”….

Si torna a parlare del caso “Palazzo Sgariglia” grazie alla delibera n.27 del 23 febbraio scorso (“Indirizzo in merito all’eventuale prelazione da esercitare sull’acquisto da parte della società immobiliare Mastromonaco srl di una porzione del palazzo Sgariglia”). La delibera, di per sé, non ha un particolare rilievo, si tratta della decisione del Comune di non esercitare il diritto di prelazione su alcuni immobili di palazzo Sgariglia (un appartamento con terrazzo e soppalco e un deposito sopra l’appartamento stesso che avevano un importo di vendita di 450 mila euro più iva). Però è importante perché riaccende i fari su una vicenda a dir poco nebulosa che, vista dopo qualche anno, se possibile non fa altro che aumentare dubbi e perplessità .

Era il 31 luglio 2012 quando il Comune, con delibera n. 139, decideva di cedere la proprietà dello storico Palazzo Sgariglia al fondo di investimento immobiliare “HS Italia Centrale”, gestito da un’immobiliare controllata da una banca d’investimenti di Roma quotata in borsa , Banca Finnat. All’epoca gli investitori in quel fondo erano il Comune di Teramo, la Fondazione Tercas, la Fondazione Carisap, la Cassa depositi e prestiti Investimenti SGR Spa e,  dopo quella delibera, anche il Comune di Ascoli. Negli anni seguenti, poi, tra gli investitori è entrato anche Intesa San Paolo. Per i pochi che non lo sapessero Palazzo Sgariglia è situato nel centro della città, in corso Mazzini, nei pressi della chiesa romanica di Sant’Agostino.

Di proprietà della famiglia Sgariglia, già intorno al 1500 era considerato tra gli edifici di maggior pregio della città. L’ultimo erede della famiglia nel 1908 donò il palazzo al Comune, con l’auspicio che potesse presto tornare al suo antico splendore. Speranza vana tanto che, dopo un tentativo di ristrutturazione andato male nel 1974, il palazzo con il passare degli anni è diventato sempre più fatiscente e in condizioni di grandissimo degrado. L’operazione  voluta dal Comune prevedeva che quel fondo di investimento immobiliare si occupasse del recupero del palazzo per un successivo progetto di housing sociale (cioè appartamenti in locazione a soggetti svantaggiati a canoni calmierati rispetto ai prezzi di mercato). In cambio della cessione il Comune, però, non incassava materialmente i 3,2 milioni di euro ma 64 quote del fondo stesso.

Un’operazione economica che definire discutibile è davvero riduttivo. Come non meno discutibile è da considerare la complessa operazione immobiliare finanziaria che prevedeva che nel palazzo restaurato venissero realizzati soprattutto alloggi destinati all’housing sociale (da 90 mq) da dare in locazione a 520 euro al mese, con il limite, però, che dopo 12 anni quegli stessi alloggi sarebbero stati venduti al prezzo di 2.400 euro al mq. Già allora tutta l’operazione suscitò non poche perplessità, tanto che il Movimento Difesa del Cittadino, pochi mesi dopo quella delibera, mise in luce i tanti aspetti dubbi con un comunicato stampa dal titolo emblematico. “Il caso Palazzo Sgariglia: housing sociale o gioia delle banche d’affari?”.

Prima ancora dei contenuti di tutta l’operazione, che come vedremo sembra “fare acqua” da tutte le parti, a sollevare dubbi è innazitutto la scelta stessa  operata dal Comune su Palazzo Sgariglia. Che in pratica è diventato l’ennesimo esempio di una sconcertante politica amministrativa che pian piano sta svendendo e depauperando il patrimonio comunale, mettendo in mano di privati fondamentali servizi cittadini (sosta, rifiuti, illuminazione, ecc.) e strutture comunali importantissime (Piceno Gas, Ascoli Servizi Comunali, Palazzo Sgariglia). Rispetto ad altre situazioni, però, in questo caso c’è l’aggravante non di poco conto che la cessione a privati di un così importante pezzo del patrimonio cittadino non ha portato fondi nelle casse comunali (semplicemente quote  di un fondo investimento che non fornisce alcuna garanzia per il Comune) né, tanto meno, un qualche ritorno in termini di servizi o opportunità per la comunità cittadina.

Certo, è vero che Palazzo Sgariglia era in condizioni di assoluto degrado e l’amministrazione comunale non aveva fondi per sistemarlo (un ritornello che abbiamo sentito spesso…). Ma, senza riaprire polemiche su come sono stati utilizzati, spesso in maniera discutibile, i fondi e i mutui contratti dal Comune stesso, non mancavano certo le possibili alternative. “Perché non si è attivata una procedura di evidenza pubblica?” ha chiesto in una delle sue interrogazioni sull’argomento il consigliere comunale Giancarlo Luciani Castiglia. Che, insieme all’avv. Miki Girardi (candidato sindaco alle elezioni comunali del 2014) all’epoca sollevarono obiezioni anche sul prezzo di cessione del palazzo , considerando sottostimato il prezzo di 680 euro al mq.

Quello che però più lascia perplessi è che si potevano e si dovevano cercare vie alternative che avrebbero permesso al Comune di non perdere completamente e definitivamente (in realtà c’è la possibilità di riacquisto del Palazzo, pagando però i 3,2 milioni di euro più le spese sostenute per la ristrutturazione, in pratica una cifra inaccessibile per le martoriate casse comunali) quella storica struttura. Sulla quale ora il Comune  non può esercitare alcuna forma di pressione, neppure nella gestione di quello che viene chiamato il progetto di social housing che, come vedremo, di “social” in realtà ha ben poco. Va, tra l’altro, evidenziato come nella proposta di Investire Immobiliare SGR è previsto anche il conferimento in denaro nel fondo da parte della Fondazione Carisap per 5,5 milioni di euro.

Ma, allora, perché il Comune non ha proposto alla Fondazione di utilizzare quella cifra per un investimento diretto su Palazzo Sgariglia? In tal modo, infatti, la proprietà del Palazzo sarebbe rimasta al Comune che avrebbe potuto assicurare l’effettiva destinazione sociale permanente degli alloggi, garantendo così il rispetto della destinazione assistenziale prevista nel lascito della famiglia Sgariglia. Invece così tutto finisce in mano ai privati, senza alcuna possibilità di controllo o interferenza da parte del Comune, e, ironia della sorte, con conseguenze economiche che sono tutte da scoprire. Come detto, infatti, il Comune in cambio della cessione non ha incassato  i 3,2 milioni di euro  frutto della valutazione (secondo molti sottostimata) del Palazzo ma semplicemente il corrispondente di quella cifra in quote del fondo immobiliare, esattamente 64 quote.

Ma quanto valgono concretamente quelle quote? E quanto renderanno? E’ almeno assicurato che il Comune riuscirà comunque a recuperare il valore investito? O ci sono rischi concreti di una clamorosa beffa? Sembra incredibile, eppure su tutto ciò non c’è alcuna certezza. In pratica una sorta di operazione al buio, non proprio il massimo per un’amministrazione pubblica. Tra l’altro quel poco che si sa sul quel fondo, in relazione alle quote del Comune, non è certo rassicurante. Infatti il regolamento del fondo “HS Italia Centrale”, presente nella proposta di investimento allegata alla delibera di giunta 139 del 2012, per quanto riguarda la distribuzione dei proventi e di rimborso delle quote prevede un diverso trattamento tra le diversi classi di quote (A, B e C) ed un privilegio in favore delle quote B.

Si evidenzia infine – si legge nella proposta – che in sede di liquidazione le quote A e C potrebbero non recuperare il valore di sottoscrizione a fronte dei privilegi accordati alle quote B”. Provate ad indovinare che classe di quote ha sottoscritto il Comune di Ascoli? Ma naturalmente quelle di classe C, non certamente le quote privilegiate. Quindi il rischio che oltre al danno ci sia la beffa e che il Comune non recuperi neppure il valore investito c’è ed è concreto. Dubbi che non sono certo stati fugati, anzi si potrebbe quasi dire che sono stati alimentati, dalla risposta scritta che il sindaco Castelli ha fornito nel maggio scorso ad un’interrogazione che il consigliere Castiglia aveva presentato il 20 aprile 2016 (un’altra interrogazione, sempre su Palazzo Sgariglia l’aveva presentata l’anno precedente).

“Ad oggi il Fondo HS IC si trova nella fase iniziale di avvio e consolidamento e prevede una fase gestionale che si concluderà nel dicembre del 2039; valutare il rendimento di un investimento appunto nelle fase iniziali del proprio “sviluppo” risulta quanto  meno significativo”. Certo, se poi tra 20 anni si scoprirà che le cose per il Comune sono andate male non sarà più un problema di questi amministratori… Per cercare di “addolcire la pillola”, in quella risposta si legge che “ridurre l’analisi dell’investimento nel Fondo HS Italia Centrale soltanto sotto il profilo contabile e finanziario, significa ignorare i valori e le finalità principali che sono alla base delle attività di un fondo etico come HS Italia Centrale”.

Finalità che, appunto, per Palazzo Sgariglia sarebbe quella del social housing, la realizzazione di alloggi sociali. Bene, allora vediamo come si stanno concretamente  sviluppando queste finalità sociali. Secondo la definizione del Comitato europeo per la promozione al diritto alla casa (che poi è la definizione unanimemente riconosciuta come la più corretta) per social housing si intende “l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché incapaci di ottenere credito o perché colpite da problematiche particolari”. E se prendiamo per buona questa definizione è davvero molto difficile continuare a parlare di social housing per il progetto di Palazzo di Sgariglia.E non solo per quanto riguarda l’aspetto economico. Che, comunque, è sicuramente rilevante.

Perché definire “calmierato” e “sociale” il prezzo di 520 euro al mese per un appartamento di 90 mq (come, appunto, sono quelli di Palazzo Sgariglia), per giunta che dopo 12 anni di affitto verrà venduto sul mercato al prezzo di 2.400 al mq (216 mila euro ), è sinceramente piuttosto difficile. Lo è in assoluto, lo è ancora di più se guardiamo ai progetti di social housing delle altre città italiane. Sembra difficile crederlo, eppure ad Ascoli i prezzi per il social housing (almeno quello relativi a Palazzo Sgariglia) sono incredibilmente superiori anche a quelli delle grandi città. A Roma, ad esempio, nell’aprile 2015 sono stati messi a disposizione delle famiglie romane 1.875 alloggi a canone sociale al prezzo di 5 euro al mq (massimo 100 mq).

Questo significa che per un appartamento di 90 mq (come quelli di Palazzo Sgariglia) a Roma si paga un affitto di 450 euro, 70 euro in meno al mese (840 all’anno) rispetto ad Ascoli. A Milano, invece, per i 670 appartamenti di social housing di Cascina Merlata (nell’area dove si è svolto l’Expo), con dimensioni di 67-103 mq.,  si paga un affitto mensile che varia da 340 a 470 euro. A Genova, invece, i prezzi di affitto per il social housing di “Residenza Doria” (appartamenti bi e tri-locali) variano da 430 a 502 euro al mese. Potremmo proseguire citando Torino (nell’area dove c’erano alcune strutture create per le Olimpiadi invernali) con prezzi d’affitto tra i 350 e i 450 euro, oppure Modena dove appartamenti da 60-95 mq si affittano tra i 380 e i 470 euro.

D’altra parte c’è uno studio Eire sul social housing secondo il quale, nelle esperienze delle varie città italiane, i canoni di affitto vanno da un minimo di 85 ad un massimo di 470 euro. Sulla base di quello studio (e guardando quanto accade nelle altre città, comprese quelle più grandi) appare davvero difficile considerare i 520 euro per gli appartamenti di Palazzo Sgariglia un canone tipico del social housing. Forse anche per questo che, secondo quanto riportato sempre nella risposta scritta all’interrogazione di Castiglia, a maggio 2016 risultavano affittati solo 11 dei 24 appartamenti. Ma quello economico, come detto, è solo un aspetto.

L’altro riguarda il primo bando (ottobre 2015) emanato per l’assegnazione degli alloggi. In realtà non si può neppure definire un bando, visto non è prevista alcuna graduatoria e la commissione ha poi effettuato la selezione sulla base di alcuni requisiti, senza appunto stilare alcuna graduatoria da cui attingere. Quindi siamo in presenza di una mera richiesta di candidature, non certo di “regole certe di assegnazione”.

In pratica, per riassumere, non abbiamo più a disposizione un palazzo storico, non sappiamo se e in che misura il Comune recupererà il valore del palazzo stesso e il promesso progetto di social housing ha caratteristiche non troppo social. Che dire, davvero un bell’affare…

bookmark icon