Lo sconcertante calvario di un’ottantenne ascolana, caduta dalle scale di casa ad inizio agosto, tra i disservizi provocati dalla “genialata” del ospedale di primo livello su due plessi e i disagi causati dagli accorpamenti estivi e dalla solita carenza di personale sanitario
Un’ottantenne “parcheggiata” per 7 ore nei corridoi del Pronto Soccorso del “Mazzoni”, in attesa di essere riaccompagnata a casa dall’ambulanza che, però, grazie alla “genialata” dell’ospedale di primo livello su 2 plessi deve arrivare da San Benedetto. La stessa donna rimandata a casa anche se dovrebbe rimanere in osservazione perché, tra accorpamenti e riduzione del personale, non si trova posto in nessuno dei due suddetti plessi. E poi una serie infinita di disagi, disservizi e situazioni surreali.
Se a qualcuno potevano sembrare eccessive le polemiche e le proteste dei mesi scorsi per la situazione dell’ospedale cittadino, purtroppo la cruda realtà appare decisamente più disarmante e imbarazzante. E non certo per colpa degli operatori sanitari (con le inevitabili eccezioni che ci sono ovunque), anche loro vittime di un sistema che non funziona e sempre più spesso costretti ad operare in condizioni disumane. Quanto per le scelte “discutibili” di chi aveva promesso che il Piceno non sarebbe più stato “la Cenerentola delle Marche” e invece ha dato il colpo di grazia ad una sanità ed un ospedale già moribondi. E che ora, per disciplina di partito, difende la “buffonata” dell’ospedale di primo livello su due plessi, una vuota e improponibile formula di chiaro stampo propagandistico, dietro la quale si nasconde una ben più disastrosa realtà fatta di disagi e disservizi impressionanti che, purtroppo, sono drammaticamente chiari a chi deve rivolgersi al “Mazzoni”.
Testimoniati in tutta la sua drammatica evidenza dal calvario di quella ottantenne e della sua famiglia nelle settimane scorse.
L’attesa dell’ambulanza , il silenzio del Pronto Soccorso
La donna, ad inizio agosto, è vittima di un brutto incidente domestico, cade dalle scale di casa battendo violentemente la testa. Dolorante e sanguinante, inizialmente non riesce ad alzarsi ed il figlio ed i nipoti chiamano immediatamente il 118. L’ambulanza arriva solo un’ora dopo quando l’ottantenne, con un vistoso “bozzo” in testa, è stata sollevata da terra e messa a sedere. Non riesce a muoversi ma i sanitari rassicurano tutti sostenendo che “se non avesse battuto la testa non la porteremmo al Pronto Soccorso”. Così la caricano in ambulanza e bloccano il figlio che vorrebbe seguirli spiegandogli che al Pronto Soccorso non è consentito in alcun modo l’accesso ai familiari dei pazienti.
“Vi aggiorneremo costantemente sulle condizioni di vostra madre” lo rassicurano, rifiutando di prendere la busta con i farmaci che la donna assume quotidianamente in quanto soggetto asmatico e cardiopatico. Sono circa le 10 quando l’ambulanza si dirige al PS e per i figli della donna inizia l’attesa di una qualche comunicazione sulle condizioni della madre che, però, non arriva e non arriverà mai nelle 36 ore in cui la donna resta al PS. Dopo circa 4 ore di attesa e dopo ripetuti tentativi di contattarla al cellulare, finalmente i figli ricevono una telefonata da parte della donna, ricevendo indicazioni approssimative e confuse. A metà pomeriggio arriva una nuova telefonata dell’ottantenne che chiede urgentemente che le venga portato l’aerosol perché inizia ad accusare problemi di asma.
All’arrivo al PS il figlio si trova di fronte uno scenario degno di un post ecatombe, con decine di persone accalcate in sala di attesa e, all’interno, pazienti parcheggiati con ogni mezzo (anche su semplici sedie) lungo il corridoio. Inutile anche solo sperare di poter parlare con qualche medico per capire le condizioni della madre, dopo una lunga attesa riesce quanto meno a consegnare l’aerosol ad una giovane infermiera che, comprendendo la situazione, gli concede una breve visita alla donna. Che si presenta con un polso fasciato e immobilizzato e sostiene di avere anche una frattura al bacino e di avere effettuato la Tac alla testa, senza però avere informazioni sull’esito. La donna racconta anche che non le hanno dato nulla per l’asma perché sprovvisti delle medicine necessarie, così come del farmaco salva vita che assume per il cuore.
Prima di andarsene il figlio viene rassicurato dall’infermiera che presto verranno contattati da un medico per ricevere informazioni dettagliate sulle condizioni della madre. Dopo aver inutilmente atteso per ore, i figli della donna decidono di rivolgersi ad un loro parente che presta servizio, come medico, in un altro reparto dell’ospedale. Che, a tarda sera, gli comunica che la donna ha riportato una frattura al polso (della stiloide radiale omolaterale), con una ferita al braccio sinistro suturata con alcuni punti, più una leggera frattura al bacino (branca ischiopubica sinistra) e un trauma occipitale.
Ad agosto più facile trovare posto in hotel che all’ospedale di Ascoli
La mattina successiva è prevista una nuova Tac di controllo alla testa e, in caso di esito negativo, l’ottantenne verrà dimessa e accompagnata a casa con l’ambulanza (visto che non può alzarsi). Ancora una volta, però, il giorno successivo i figli non ricevono alcuna comunicazione dal PS, poi alle 13 è la donna a chiamarli, affermando che è in attesa del risultato della Tac effettuata poco prima ma che dalla notte passata è vittima di una forte fibrillazione atriale.
Dopo aver inutilmente provato a mettersi in contatto con qualche medico, il figlio decide di tornare al PS dove scopre che la madre è stata spostata in un’altra stanza molto angusta (con altri 2 pazienti, separati da una tendina), più simile ad uno sgabuzzino che ad una stanza di ospedale. La fibrillazione è ancora in atto e la donna fatica anche a parlare. L’uomo chiede all’infermiere presente di poter parlare con un medico ma viene quasi ignorato. Quando, però, spazientito minaccia di rendere pubblico quanto sta accadendo, d’incanto compare un medico che gli spiega che la Tac ha dato esito negativo ma che a preoccupare ora è la fibrillazione atriale che non si riesce a far rientrare.
“Sono a fine turno – aggiunge – deciderà il medico che viene dopo di me. Ma a questo punto credo che sia necessario tenerla ancora in osservazione, magari in reparto”. Invece, qualche ora dopo, del tutto inattesa, arriva la telefonata del PS (la prima dopo 36 ore) che annuncia che l’ottantenne verrà rimandata a casa. “Non appena avremo a disposizione l’ambulanza” spiega il medico al telefono, aggiungendo poi che la donna dovrà rimanere immobile a letto fino alla successiva visita di controllo. “Troverete tutte le indicazioni su luogo e orario nei fogli di dimissione” conclude il medico. Peccato che in quei fogli in realtà non ci sia neppure una mezza indicazione…
Sono da poco passate le 18, bisognerà attendere oltre le 23 per ricevere la telefonata che annuncia che finalmente c’è l’ambulanza per riportare a casa la donna. Le cui condizioni, però, sono decisamente precarie. La notte trascorre tra mille problemi e forti dolori. Soprattutto, però, c’è il problema della fibrillazione atriale che ricompare il giorno successivo, pur se in forma lieve. Preoccupati per la situazione i figli consultano il medico di base della madre che non nasconde lo stupore per il fatto che la donna, con quel problema, non sia stata trattenuta in osservazione in ospedale.
Quelli che aspettano… l’arrivo dell’ambulanza dall’ospedale di San Benedetto
Il giorno successivo, da tarda serata, torna la fibrillazione atriale, questa volta tale da costringere i figli a chiamare ancora il 118. L’ottantenne viene nuovamente trasportata al PS, con tutte le conseguenze che l’ennesimo spostamento e trasporto comportano in una persona in quelle condizioni. Questa volta, però, i sanitari consentono al figlio di seguire l’ambulanza e recarsi al PS, dove questa volta non c’è neppure un paziente in attesa. Sono da poco passate le 22 ma solo dopo l’una di notte l’uomo potrà entrare a visitare la madre. Con il medico di turno al PS che, incredibilmente, gli chiede perplesso come ma la donna sia stata rimandata a casa e non trattenuta in osservazione in ospedale.
Segue la consueta promessa di costanti aggiornamenti che, ovviamente, anche questa volta verrà disattesa. Ancora una volta i figli saranno aggiornati, poco dopo le 13, da una telefonata della donna che sostiene di non avere più la fibrillazione atriale ma che probabilmente resterà ancora in ospedale in osservazione. Invece un paio d’ore dopo arriva la nuova telefonata della donna che annuncia che verrà rimandata a casa. Poco dopo arriva la conferma, sempre al telefono, dal PS, con il medico che spiega al figlio che sono in attesa che arrivi l’ambulanza da San Benedetto per trasportare la donna a casa. Sono le 16:30 circa e inizia l’ennesima lunga attesa.
Dopo le 22 entrambi i figli maschi ricevono una telefonata disperata della madre che sostiene che dalle 17 è “parcheggiata” su una barella in corridoio, senza aver avuto da mangiare, da bere e con fortissimi dolori alla schiena e al bacino. La donna invoca l’aiuto dei figli che si recano subito al PS dove, con l’ingresso principale chiuso, accedono da un entrata laterale. Proprio nello stesso momento in cui una giovane infermiera, che ha preso servizio da pochi minuti, sta finalmente porgendo alla donna dei crackers e un po’ d’acqua.
Dopo averle somministrato un calmante e aver chiesto scusa per l’accaduto, l’infermiera chiede cortesemente ai figli di andarsene perché non possono restare. Trascorrerà un’ulteriore ora prima che l’ottantenne telefoni al figlio per annunciare che l’ambulanza che la riporterà a casa è finalmente arrivata da San Benedetto.
Trasporto sanitario e… trasporto bestiame
Subito dopo l’uomo riceve anche la telefonata di una dottoressa del PS che conferma l’arrivo dell’ambulanza, sollevando però obiezioni sull’utilizzo della sedia solitamente in dotazione a tutti i mezzi (con la quale la donna, che non può muoversi, è stata sempre trasportata nelle precedenti occasioni nelle tre rampe di scale di casa). Dopo una lunga discussione, nel corso della quale il figlio spiega con chiarezza che non ci sono alternative per affrontare le scale di casa, con disarmante naturalezza la dottoressa esclama “speriamo di averla a disposizione”. E’ passata da poco la mezzanotte quando finalmente arriva a casa l’ambulanza ma senza la necessaria sedia per il trasporto sulle scale.
Dopo una breve ma concitata discussione, gli operatori spiegano ai figli che trasporteranno la donna sulle scale con un telo, chiedendo ai figli stessi di aiutarli. Sembra il trasporto bestiame, invece si tratta di una donna di più di 80 anni che non può muoversi, la cui espressione spaurita e disperata è un pugno allo stomaco per chi ha ancora un briciolo di sensibilità. Più volte, mentre salgono le scale, sono costretti a fermarsi, ad appoggiare il telo con la donna per terra e più volte parte del telo finisce sul volto della povera anziana che, sofferente com’è di asma, ha quasi la sensazione di soffocare. Non ci sono parole per commentare una simile indecenza… Superfluo sottolineare che poi, dopo un simile calvario, la donna trascorrerà una nottata agitatissima, tra mille dolori e sofferenze, con i figli più volte sul punto di chiamare nuovamente il 118.
Fortunatamente con il passare dei giorni le condizioni della donna lentamente migliorano, mentre non diminuiscono certo disagi e disavventure. Tra la difficoltà ad ottenere nei tempi necessari i servizi in Adi (assistenza domiciliare integrata) e le surreali peripezie da affrontare per capire dove e a che ora la donna deve effettuare la visita di controllo con annessa radiografia al bacino.
E la sconcertante scoperta finale che, in realtà, visita e radiografia dovevano essere programmate 15 giorni dopo (il medico che visiterà la donna le spiegherà che servivano almeno 4 settimane prima di valutare l’evolversi della frattura), mentre l’appuntamento per togliere i punti al polso doveva essere programmato una settimana prima, con l’ottantenne di fatto costretta a tenere i punti una settimana più del dovuto. Davvero superfluo aggiungere altro…