Da Porta Romana a Campo Parignano, da Monticelli a Porta Maggiore, fino alla circonvallazione dietro lo stadio e alle frazioni. Dopo terremoto e neve il capoluogo piceno si trova a dover affrontare l’emergenza frane. Che, però, già 7 anni fa in qualche modo era stata prevista…
Ci mancavano solo le frane. Dopo il terremoto (che, per altro, non manca mai di farci ricordare la sua presenza inquietante) e la neve, ecco che ora l’emergenza per il nostro territorio sembra essere diventata quella del dissesto idrogeologico. Che, in realtà, i suoi effetti li aveva già fatti sentire le settimane passate. Basterebbe ricordare la parte di strada franata in via delle Begonie a Monticelli proprio nei giorni della neve. O la situazione sempre più preoccupante a Campo Parignano, nella zona dietro il ponte di Santa Chiara. Ora l’emergenza è scattata a Porta Romana, in particolare a via Mameli, dove 12 famiglie (due palazzine) sono state fatte evacuare in seguito ad un’ordinanza precauzionale dei vigili del fuoco per il rischio frana della collina sovrastante. Evacuazione poi confermata anche da un’ordinanza del sindaco, mentre ora il Comune si appresta ad avviare l’intervento di messa in sicurezza per poi chiedere il rimborso ai privati proprietari delle aree (con cui è in atto un contenzioso da un paio di anni).
Ma situazioni preoccupanti e di pericolo sono segnalate anche in altre zone della città e nelle frazioni. Ancora in via delle Begonie a Monticelli, zona che già in passato ha provocato non pochi problemi. Preoccupa anche la situazione della circonvallazione sopra lo stadio, dove già nei mesi scorsi si è verificata una frana, con la conseguente caduta di massi in strada che solo per un caso fortuito non hanno provocato danni gravi. A rischio anche una zona della pista ciclabile di lungo Castellano, problemi e preoccupazioni da sempre desta una zona di Porta Maggiore (in via Pastori), per non parlare di diverse situazioni di pericolo a Brecciarolo. Ma nelle ultime ore preoccupanti cedimenti si segnalano anche nelle frazioni di Colonna, Pedana e Talvacchia.
Detto che non è serio e non è corretto fare alcun paragone con la tragedia di Rigopiano (per quella tragedia parliamo di 300 mila metri cubi di terreno che è venuto giù ed ha travolto l’hotel ad una velocità superiore ai 100 km, in questi casi parliamo di frane di volume di gran lunga inferiore e che vengono giù molto lentamente), non si può certo nascondere la serietà e la gravità della situazione. Anche e soprattutto perché arriva in un momento nel quale il nostro territorio è già in ginocchio, alle prese con il difficile post terremoto, e fatica terribilmente a rialzarsi. Ancora una volta, però, siamo di fronte ad una situazione, ad un problema che non arriva certo a sorpresa, che tutto si può dire meno che fosse inatteso. Certo il terremoto e, ancora di più, la neve delle settimane scorse un po’ hanno influito.
Ma che Ascoli fosse un comune con un elevato rischio frane non è certo una novità. Così come non è una novità che da anni si è fatto poco o nulla per cercare di prevenire una situazione di potenziale pericolo ampiamente nota a tutti, amministrazione comunale in testa. Non ci piace e non ci procura alcuna soddisfazione la frase “l’avevamo detto” ma in questo caso è praticamente inevitabile non lasciarsi scappare una simile esclamazione. Quale fosse la situazione, in fatto di rischio frane, del capoluogo piceno lo avevamo scritto addirittura già nel lontano 2010. “Sembra incredibile ma nelle Marche si continua a morire per frane e alluvioni che puntualmente colpiscono la nostra regione” scrivevamo in un articolo dell’ottobre 2010. Era il periodo in cui, nell’arco di 12 mesi, nella nostra regione si erano verificati ben 6 decessi per frane e alluvioni, con i 3 morti a Senigallia, i 2 a Sant’Elpidio a Mare e 1 a Venarotta.
In quell’approfondimento rendevamo noti i dati a dir poco allarmanti che emergevano dall’annuale indagine di Legambiente “Ecosistema rischio” secondo cui ben 236 comuni marchigiani erano a rischio frane e alluvioni, con l’83% di loro che aveva abitazioni o industrie in aree a rischio. “Secondo Legambiente il Comune migliore per prevenzione e informazione sui rischi da frane e alluvione è Serra de’ Conti(An) che ha ottenuto un punteggio (da 0 a 10) di 8,75 – si legge in quell’articolo del 2010 – seguito da Caldarola (Mc), Folignano (Ap) e San Severino (Mc) con 8,5, mentre Appignano (Ap) ha ottenuto un ottimo 8,25. Significativo è, invece, il fatto che tra i capoluoghi di provincia la situazione sia decisamente sconfortante, al punto che il migliore risulta Ancona che, però, non raggiunge la sufficienza e non va oltre il 5. Dietro al capoluogo di regione Pesaro e Macerata (all’epoca Fermo ancora non veniva monitorato), mentre il capoluogo di provincia peggiore delle Marche risulta, tanto per cambiare Ascoli”.
In altre parole poco meno di 7 anni fa Legambiente sosteneva che Ascoli era tra i 236 comuni marchigiani a rischio e, soprattutto, che quanto a prevenzione del rischio e informazione alla popolazione risultava assolutamente insufficiente, addirittura il peggiore Comune delle Marche, anche se neppure gli altri capoluoghi di provincia da questo punto di vista se la passavano benissimo. Un mal comune che, però, non fa certo mezzo gaudio. Anche perché, con il passare degli anni, gli altri capoluoghi qualcosa in più per migliorare la situazione l’hanno fatto, mentre nel capoluogo piceno in pratica tutto o quasi è rimasto come era nel 2010. Negli anni passati, infatti, puntualmente abbiamo riproposto ogni volta l’annuale inchiesta di Legambiente che, sostanzialmente, per il capoluogo piceno ha sempre confermato che non si erano verificati sostanziali miglioramenti e passi in avanti. Fino ad arrivare all’ultima edizione di “Ecosistema rischio”, quella del 2016, che ha fornito un quadro ancora più preciso della situazione del nostro comune in fatto di rischio frane e alluvioni.
Un quadro per nulla edificante perché, a fronte di una conclamata situazione di pericolo, non si è risocntrato un serio impegno da parte dell’amministrazione comunale in fatto di prevenzione. In sintesi Legambiente evidenzia come nel nostro territorio comunale la situazione è particolarmente allarmante perché ci sono sia industrie, sia case, sia interi quartieri in aree a rischio frana. Nello stesso tempo boccia senza attenuanti l’amministrazione comunale in fatto di prevenzione perché non avrebbe effettuato in questi anni alcun serio intervento di manutenzione né, tanto meno, ha programmato e attuato un serio intervento di delocalizzazione. Non solo, secondo Legambiente il Comune non ha effettuato e non effettua alcun intervento di monitoraggio ed è assolutamente carente anche in fatto di informazione nei confronti dei cittadini, non avendo, per giunta, effettuato alcun genere di esercitazioni. Gli unici aspetti in qualche modo positivi che emergono sono la presenza di un piano emergenza e il recepimento del Pai (Piano stralcio di bacino per l’Assetto Idrogeologico per i bacini di rilievo regionale).
Ancora una volta dall’annuale indagine di Legambiente emerge come, a 6 anni di distanza, Ascoli continui ad essere la “pecora nera” delle Marche in fatto di prevenzione e informazione ai cittadini sul rischio frane e alluvioni. Infatti anche gli altri capoluoghi di provincia della regione presentano identica situazione di rischio (cioè industrie, case e interi quartieri in aree a rischio). Ma, a differenza del capoluogo piceno, negli ultimi 6 anni hanno intrapreso una seria e concreta opera di prevenzione e informazione dei cittadini, non solo con interventi di manutenzione e riduzione del rischio, ma anche con un sistema costante di monitoraggio e, in alcuni casi (Fermo e Pesaro), addirittura con esercitazioni, oltre ad un serio e capillare sistema di informazione rivolto ai cittadini.
A rendere la situazione più sconfortante è il fatto che l’amministrazione comunale è pienamente consapevole di questa situazione di rischio. Infatti nel Piano comunale d’emergenza (del 2014), nella parte dedicata al “rischio frana nel territorio comunale” si legge: “considerando le cartografie allegate al Pai, è possibile constatare che la superficie comunale di Ascoli Piceno risulta caratterizzata da molteplici movimenti gravitativi”. E se è vero che, secondo il piano comunale, nella maggioranza dei casi si tratta di dissesti che presentano un grado di rischio basso (R1) o medio (R2), è altrettanto innegabile che nel piano stesso vengono comunque indicate alcune aree a rischio elevato (R3) o molto elevato (R4).
In particolare vengono indicate due aree a Brecciarolo, una a San Filippo, 3 nella zona di Monterocco, una al Marino, una a Casteltrosino, una a Caprignano e una a Coperso. Nello stesso piano, poi, si evidenzia come comunque sono da tenere sotto osservazione alcune zone che presentano rischio medio (a Mozzano, due a Castel Trosino, 2 alle Piagge, 2 a Brecciarolo e una a Porta Romana). Appare, però, a dir poco singolare il fatto che il piano di emergenza comunale tra le zone a rischio non indica nessuna di quelle aree che attualmente stanno provocando i maggiori problemi (via Mameli a Porta Romana, via delle Begonie a Monticelli, la zona dietro il ponte di Santa Chiara a Campo Parignano, la circonvallazione dietro lo stadio, la zona di lungo Castellano e le frazioni sopra indicate). Zone che, in realtà, già da qualche anno destavano preoccupazione. L’area in via Mameli, ad esempio, è già dal 2014 al centro di una disputa tra il Comune, la Provincia e i proprietari di alcune aree.
La zona dietro al ponte di Santa Chiara (che dopo terremoto e neve ad occhio sembra ancora più pericolante) da anni è considerata a rischio, così come in via delle Begonie, prima del crollo di parte della strada, già negli anni passati si erano verificate situazioni di pericolo. La domanda è sempre la stessa, perché, visto che erano ampiamente note queste situazioni di rischio, non si è fatto nulla in questi anni per prevenire o quanto meno cercare di ridurre il rischio stesso? Non siamo dei veggenti ma, chissà perché, immaginiamo già la risposta che potrebbe dare il sindaco (che non vorrà certo perdere un’occasione del genere per vestire i panni del “piagnone” e prendersela con il mondo intero…). Ironia della sorte, nel piano comunale di emergenza le varie tipologie di rischio vengono distinte in 2 categorie : i rischi prevedibili e quantificabili e i rischi non prevedibili e non quantificabili.
Il terremoto, ad esempio, è compreso tra i secondi insieme agli incidenti industriali ai black out. Frane e alluvioni, invece, sono comprese nei primi, quindi secondo la stessa amministrazione comunale sono rischi che si possono prevedere e, addirittura, anche quantificare. Ma, allora, se si può prevedere, quel genere di rischio significa anche che si può prevenire o, quanto meno, tentare di farlo e di attenuare le possibili conseguenze.
Cosa che ad Ascoli, come dimostrano i fatti di queste settimane ma anche l’indagine di Legambiente, non è stata in alcun modo fatta. Ed ora, come per i problemi provocati dal terremoto, non resta che affrontare l’emergenza e cercare di ridurre al minimo le conseguenze. Con la speranza che almeno tutto ciò una volta per tutte serva da lezione per il futuro