Dopo oltre 20 giorni di guerra l’impresentabile informazione italiana scopre l’esistenza di Aleksandr Dugin, controverso personaggio dell’estrema destra russa e personaggio chiave del conflitto, ispiratore delle politiche aggressive del Cremlino e padre del progetto Eurasia
Ma quanto è attenta, competente e sempre ben documentata la nostra informazione! Mentre la cosiddetta informazione alternativa e libera (che poi in realtà così libera e indipendente non lo è), propone letture e tesi alternative che, oltre ad essere basate su evidenti fake news, guarda il caso coincidono sinistramente con l’ignobile propaganda di Putin, la cosiddetta “informazione mainstream” non sta certo brillando nel racconto di questa guerra e delle sue reali motivazioni, inanellando “figuracce” a ripetizione. L’ultima delle quali riguarda quello che in realtà sarebbe uno dei personaggi chiave di questa guerra, Aleksandr Dugin, ma che l’informazione italiana incredibilmente ha scoperto solo dopo oltre 20 giorni dall’inizio del conflitto. Per giunta mostrando in maniera imbarazzante la propria sconfortante ignoranza, sorprendendosi di fronte ad alcune sue affermazioni che in realtà sono perfettamente in linea con il suo pensiero e con il modo di agire della Russia di Putin negli ultimi 20 anni.
L’Ucraina non esiste
“Non esiste alcuna invasione, sono solo manovre militari nel territorio naturalmente russo” ha dichiarato il più controverso personaggio dell’estrema destra russa, vero punto di riferimento e ispiratore delle politiche aggressive del Cremlino. Che in realtà non ha fatto altro che ripetere quello che sostiene da sempre, cioè che l’Ucraina di fatto non esiste, che fa parte della grande Russia e che “è stata creata da Stalin”, pensiero che da sempre è ampiamente condiviso dallo stesso Putin. Che, per altro, lo ha dichiarato apertamente proprio nel discorso del 21 febbraio scorso con il quale ha annunciato al paese l’inizio delle operazioni militari. Che, poi, in realtà è un vero e proprio manifesto dell’ideologia che muove il sovrano russo e che spiega con incredibile chiarezza le vere e uniche ragioni che stanno dietro a questa guerra (che vengono da lontano).
“L’Ucraina è stata creata interamente dalla Russia – ha affermato Putin – è una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura, del nostro territorio, è un nostro spazio spirituale”, termine quest’ultimo che ricorda sinistramente il “lebensraum” (lo spazio vitale) citato da Hitler nel “Mein Kampf” come principio alla base della progressiva riconquista di territori considerati “naturalmente” tedeschi e indispensabili per la sopravvivenza della Germania stessa. D’altra parte tutta la dottrina di Dugin, che, non bisogna mai dimenticarlo, ispira e caratterizza in maniera determinante l’operato di Putin, poggia le basi su alcuni principi cari al nazionalsocialismo tedesco. E il centro di quella dottrina è il concetto di Eurasia (il grande unico dominio russo, nel quale è compresa tutta l’Europa da Valdivostok a Lisbona) che poi è alla base di questa drammatica guerra. Basterebbe già questo per comprendere quanto improponibile sia la presunta “denazificazione” dell’Ucraina più volte citata da Putin come giustificazione per l’intervento in Ucraina.
Dal letale mix tra nazismo e stalinismo nasce la “quarta ideologia” di Dugin
Lo stesso Dugin non ha mai nascosto di essersi ispirato, nel libro “Fondamenti di Geopolitica” che è il manifesto programmatico del pensiero euroasiatico, all’ideologo del Terzo Reich Carl Schmitt. E in uno storico articolo del 1998, l’anno successivo alla pubblicazione del suo libro-manifesto, annunciava con enfasi l’arrivo in Russia di “un fascismo genuino, vero, radicalmente rivoluzionario e coerente”, tessendo le lodi delle Waffen-SS (la prima forza armata della Germania nazista). Solo che nella sua nuova ideologia, definita la “quarta ideologia” (perché si propone di superare l’ideologia liberale, quella nazifascista e quella comunista), c’è spazio anche per una parte dell’eredità bolscevica, quella nazionalista russa, che vede come massima espressione quello Stalin, incensato come grande leader del paese e proposto come mito popolare russo.
Un mix letale, frutto delle sue lunghe frequentazioni e delle assidue collaborazioni con gli ambienti dell’estrema destra francese, belga e italiana nel periodo del crollo del muro di Berlino, ma anche del suo incontro con Zyunagov, con il quale ha collaborato alla scrittura del programma politico del nuovo Partito Comunista della Federazione. “Dugin – sottolinea lo storico Snyder, unanimemente riconosciuto tra i maggiori esperti delle vicende dell’Europa orientale – anziché abiurare nazismo e stalinismo, le due ideologie che hanno causato milioni di morti, le rimodella e le pone a fondamento della sua teoria politica”. Che si concretizza con la teorizzazione dell’Eurasia che, come spiega lo stesso Dugin, è al tempo stesso una costruzione razionale di valori ma anche uno spazio geografico vitale che vuole unire Russia, Asia centrale, Caucaso ed Europa. E che poggia su due fondamentali pilastri. Da un lato il superamento del diritto internazionale, con la concezione della geopolitica come rapporti di forza, con gli stati piccoli e deboli che non hanno alcun diritto alla sovranità che, secondo Dugin, dipende dalla forza e non dal diritto internazionale. Dall’altro l’abbattimento dell’assioma dell’inviolabilità dei diritti umani, considerati esclusivamente un prodotto degenerativo del liberismo e della visione anglosassone dell’individuo che è opposta e nemica dell’euroasiatismo, perché i diritti fondamentali non sono valori universali.
La teorizzazione dell’EurAsia e il sogno della nuova grande Russia
In questa visione l’individuo esiste solo come ingranaggio di una collettività e dello Stato e la libertà personale è ammessa solo se non entra in conflitto con questa funzione. Partendo da queste basi Dugin promuove la nuova grande Russia, che deve riconquistare o riportare sotto la sua ala tutti i territori “naturalmente” russi che si sono staccati dopo la caduta del muro del Berlino, e l’assoggettamento alle influenze russe dell’Europa, con il superamento dell’Unione europea attuale che è una sovrastruttura innaturale e della sua alleanza con gli Stati Uniti “fondata sul liberismo e sulla centralità dei diritti umani”.
Condivisi dalle elites russe, il pensiero e l’ideologia di Dugin da teoria sono diventati pratica con l’ascesa al potere di Valdimir Putin, ex funzionario del Kgb, cresciuto con il mito della grande Unione Sovietica, divenuto nostalgico sogno dopo la caduta del muro di Berlino e nuovo possibile obiettivo da perseguire sotto la nuova denominazione di Eurasia. Che Putin faccia pienamente riferimento a Dugin e alla sua quarta ideologia ci sono pochi dubbi. Lo confermano con assoluta certezza esperti come lo storico Snyder o come lo studioso dei movimenti neonazisti europei Shekhovtsov.
Ma lo dimostrano inequivocabilmente i fatti. Basterebbe pensare, ad esempio, che le modifiche alla Costituzione approvate nel 2020 come ha spiegato Luca Lovisolo (autore del libro-inchiesta “Il progetto della Russia su di noi”), nel corso della sua audizione alla Commissioni Esteri della Camera del 6 agosto 2020, “si incastonano come diamanti nella corona del progetto Eurasia e della quarta teoria politica di Dugin”. E non lo hai mai nascosto in discorsi e appuntamenti ufficiali lo stesso Putin che più volte ha fatto riferimento al concetto di Eurasia, esaltando la dottrina di Dugin.
Dalla Rivoluzione Arancione alla campagna di Dugin e Putin in Ucraina
Quanto in questo progetto sia fondamentale per la Russia proprio l’Ucraina l’aveva da tempo sottolineato ripetutamente, come monito per l’Europa e l’Occidente, il primo presidente ucraino dopo l’indipendenza del 1991, Kravchuk, ricordando come tutti i dirigenti sovietici, da Lenin a Gorbaciov, hanno affermato che “senza l’Ucraina l’Unione Sovietica non si fa”. E come ora quel postulato sia stato sostituito da “senza l’Ucraina l’Eurasia non si fa”, con la convinzione, più volte espressa da Putin, che la Russia ha un diritto naturale di possesso sull’Ucraina. Lo ha ricordato pubblicamente nella conferenza stampa di fine 2019, definendo la pretesa di identità nazionale dell’Ucraina stessa “yerunda”, una stupidata.
D’altra parte proprio sull’Ucraina il loro rapporto si è cementificato, quando, all’indomani della Rivoluzione Arancione (fine 2004-inizio 2005), su invito di Putin lo stesso Dugin creò il movimento giovanile “anti arancione” Unione Giovanile Euroasiatica, protagonista di ripetuti raid violenti nel territorio ucraino e nel Donbass in particolare. Tre anni più tardi i carri armati russi invadono la Georgia e Dugin annuncia che presto sarà la volta del Donbass e di tutta l’Ucraina. E da quel momento concentra tutta la sua attenzione proprio in quella regione, creando prima nuclei e bande combattenti che seminano terrore e morte tra la popolazione di lingua ucraina del Donbass, poi, tra il 2012 e il 2013, lanciando una feroce campagna di comunicazione, con video e messaggi violentissimi, in cui incita la popolazione russa di quella zona e non solo a sterminare gli ucraini.
Chissà perché, però, di quegli eventi così drammatici, antecedenti il 2014, non si trova traccia nei racconti che ora spopolano sul Donbass e che in qualche modo, se non per giustificare, vengono utilizzati per sostenere che in fondo ci sono delle ragioni per l’intervento militare russo.
L’apporto di Gerasimov e la “guerra ibrida”
Sempre negli anni 2012 – 2013 il progetto Eurasia si arricchisce di un fondamentale contributo di quello che a tutti gli effetti è ora considerato un pilastro di quella dottrina. Il capo di Stato Maggiore delle forze armate russe Gerasimov, fedelissimo di Putin, teorizza per la prima volta la cosiddetta guerra ibrida. Davanti all’assemblea plenaria dell’Accademia russa delle scienze militari, il capo di Stato Maggiore spiega che “per il raggiungimento di scopi politici e strategici è emerso il ruolo degli strumenti non militari, che in taluni casi hanno significativamente superato per efficacia la forza delle armi”. “Particolare importanza – prosegue Gerasimov – va riconosciuta allo sfruttamento delle forze politiche di opposizione politica del Paese avversario, al ruolo dei media e della comunicazione di massa in generale”.
Ci sono centinaia e centinaia di pagine di atti ufficiali, visionate anche nelle varie audizioni parlamentari sulle influenze straniere nella politica e nell’informazione italiana, che certificano come la Russia di Putin abbia prestato particolare attenzione e affinato alla perfezione tutti i mezzi della cosiddetta “guerra ibrida”. Dalla collaborazione intensa con determinati partiti politici (basterebbe, ad esempio, ricordare i legami con la Lega, come dimostra il fatto che Dugin è presidente dell’associazione leghista Piemonte – Russia, i ripetuti incontri dello stesso filosofo-politologo con Salvini, ma anche con FdI e una parte del M5S), al massiccio tentativo di condizionare e indirizzare una certa parte dell’informazione, con il finanziamento di siti informativi che fanno della diffusione di fake news filo russe il proprio filo conduttore, fino allo sfruttamento scientifico di pseudo missioni umanitarie per valutare le modalità di utilizzo di infrastrutture militari e civili e per valutare la reazione della popolazione civile dello Stato estero al transito di truppe e mezzi militari della Federazione russa (ed è impossibile non ripensare alla presunta missione umanitaria in Italia, nei primi mesi della pandemia, con il contingente russo in giro per l’Italia, guidato dal generale Kikot, noto per la sua opera di spionaggio e depistaggio in Siria).
Il quadro complessivo che emerge è chiarissimo e molto inquietante. Il progetto Eurasia procede seguendo due direzioni. Da un lato c’è il progressivo tentativo di riportare sotto la Russia, con azioni militari o instaurando governi fantocci filo russi, quei territori che vengono considerati “naturalmente” della Russia stessa. Dall’altra la non meno inquietante “guerra ibrida”, portata avanti con altri mezzi, che mira ad ottenere un altro genere di consenso. Chi conosce e studia ciò che avviene in Russia da 20 anni a questa parte sin dal primo momento non ha avuto alcun dubbio sulle reali ragioni della guerra, dell’offensiva militare lanciata da Putin.
Per questo si può, e per certi versi è doveroso, discutere di Donbass, di Nato, della presenza di milizie filo naziste in Ucraina e di tutto il resto. Ma senza mai dimenticare la reale origine di questa guerra e tenendo ben presente, cosa che per altro proprio gli ucraini hanno dimostrato di sapere bene, cosa realmente vuole ottenere Putin. Con l’inquietante consapevolezza che, se le cose andranno in una certa maniera, quello in Ucraina potrebbe essere solo il primo atto di una crisi i cui esiti sono indecifrabili…