La folle guerra di Putin tra sinistre analogie con il passato e gli allarmi ignorati


Altro che Nato, Donbass, presunto golpe del 2014 e “denazificazione”, già nel 2005, poco prima di essere uccisa, nel libro “La Russia di Putin” Anna Politkovskaja prefigurava lo scenario che si sta materializzando ora, nell’ottica della ricostruzione della grande Unione Sovietica…

Dovrebbero leggere attentamente il libro “La Russia di Putin”, scritto nel 2005 dalla giornalista russa Anna Politkovskaja poco prima di essere barbaramente uccisa nell’antro del suo palazzo (una degli oltre 300 giornalisti che, secondo Reporters sans frontieres, sono stati uccisi o sono misteriosamente scomparsi nell’era Putin fino al 2019), quelli che in questi drammatici giorni parlano di Nato e del presunto genocidio nel Donbass, del fantomatico golpe del 2014 e dell’improbabile “denazificazione” dell’Ucraina se non per giustificare totalmente Putin, quanto meno per attribuire anche ad altri le responsabilità di quanto sta accadendo.

Perché in quel libro, oltre ad un ritratto spietato e inquietante di quello che veniva definito il “figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese, una volta divenuto presidente incapace di estirpare il tenente colonnello del Kgb che vive in lui”, la Politkovskaja metteva in guardia l’Occidente dalle folli ambizioni e dai progetti nefasti del capo supremo della Russia “ossessionato dal suo grande sogno, che muove ogni sua mossa: la ricostituzione di quella che fu la grande Unione Sovietica”.

Lo scenario di guerra attuale previsto 17 anni fa

In pratica la coraggiosa giornalista russa già allora, esattamente 17 anni fa, prefigurava lo scenario che si sta materializzando ora, facendo intendere che, proprio nell’ottica della ricostruzione della grande Unione Sovietica, Putin avrebbe comunque cercato dei pretesti per intervenire in qualche modo in Ucraina, in Georgia ma anche nelle repubbliche del Baltico (Estonia, Lettona e Lituania). All’epoca quelle che oggi qualcuno prova a far passare come le vere e più profonde ragioni dell’invasione russa non c’erano.

Eppure chi conosceva bene Putin era certo che prima o poi avrebbe rivolto le proprie attenzioni verso quei paesi. E, allora, forse chi oggi si è lasciato confondere dalla propaganda russa, dovrebbe riflettere. Perché è più che lecito discutere di come ormai la Nato più che espandersi ad est dovrebbe sciogliersi, è sacrosanto preoccuparsi di quanto avviene da anni in Donbass, è giusto chiedersi se la politica dell’Occidente in questi anni non abbia contribuito ad accentuare l’atteggiamento aggressivo della Russia di Putin e, ancor più, è legittimo sostenere che gli americani dovrebbero essere gli ultimi a parlare e a protestare, visto che in realtà probabilmente non esiste una nazione  più guerrafondaia degli Stati Uniti.

Però nulla di tutto ciò, nessuna di quelle strumentalizzazioni e mistificazioni che, come vedremo, si sono costruite intorno a questo conflitto, può in qualche modo cambiare le carte in tavola. Che sono sin troppo chiare ed evidenziano come la responsabilità della drammatica situazione che stiamo vivendo in questi giorni è nella quasi totalità di quel folle sanguinario di Vladimir Putin. Che, nel discorso del 21 febbraio scorso con il quale ha annunciato l’inizio delle operazioni militari, ha sostenuto che l’Ucraina “è il nostro spazio spirituale”.

Dal “lebensaraum” del “Mein Kampf”  allo “spazio virtuale” putiniano

Una definizione che ricorda sinistramente il “lebensraum” (lo spazio vitale) citato da Hitler nel “Mein Kampf” come principio alla base della progressiva riconquista di territori considerati “naturalmente” tedeschi e indispensabili per la sopravvivenza della Germania stessa.  Ma in quel discorso del 21 febbraio c’è un altro e più inquietante passaggio che rimanda al periodo più nero della storia europea.

L’Ucraina è stata creata interamente dalla Russia, è una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura, del nostro territorio, è un nostro spazio spirituale” ha affermato Putin, ribadendo un convincimento che già aveva espresso più volte in passato, cioè che l’Ucraina storicamente non esiste, è una creazione e una parte della Russia (in realtà la nazione, la cultura e la lingua ucraina esistono dal nono secondo dopo Cristo). E chiunque conosca un po’ di storia non può non trovare in quel passaggio una terrificante analogia con il modus operandi del fuhrer e del regime nazista che, prima di occupare e annettere determinati territori, ne rivendicavano l’inesistenza storica e l’appartenenza alla grande nazione germanica (è stato così con l’Austria e anche con la Cecoslovacchia).

Meno sinistro, ma non per questo meno significativo, il fatto che in quel discorso Putin, per giustificare l’operazione militare, ha raccontato una serie incredibile di “balle” (la situazione e il presunto genocidio nel Donbass, il fantomatico golpe del 2014, la minaccia Nato e la vocazione filonazista dell’Ucraina e del suo presidente) che poi, guarda il caso, sono alla base delle improbabili elucubrazioni di quelli che sui social continuano a ripetere che si, Putin è colpevole, “però la Nato, gli Stati Uniti, l’Europa”. Che poi, in tema di paralleli, sono simili a quelli che, di fronte ad uno stupro, condannano la violenza aggiungendo che “però in fondo se l’è cercata”…

Con un’operazione che ormai, grazie ai deliri no vax, abbiamo ampiamente imparato a conoscere, assistiamo al surreale paradosso che, chi con un semplice “copia e incolla” ripropone le strumentali e improbabili mistificazioni a cui si aggrappa Putin, smentite dalla logica, dalla storia e dai fatti, non solo non si rende conto di essersi lasciato abbindolare così clamorosamente ma, addirittura, a sua volta accusa il resto dell’opinione pubblica, colpevole a suo dire di lasciarsi ingannare dalla solita informazione che non racconterebbe la realtà perché troppo filo americana. E, allora, è giusto puntualizzare e smontare quelle “farneticazioni”.

La questione del Donbass e il pretesto della Nato

Partendo ovviamente dal fatto che, dopo i primi giorni di guerra, ormai nessuno dovrebbe più aver dubbi che Putin non si è certo mosso per difendere e tutelare le repubbliche del Donbass. Lo dimostra inequivocabilmente, l’andamento delle operazioni militari, con i bombardamenti di Kiev, Kharkiv e tutte le principali città ucraine, con la battaglia che si concentra soprattutto intorno alla capitale ucraina, segno evidente che l’interesse di Putin non è certo il Donbass ma l’intera Ucraina. Quanto al denunciato genocidio, è innegabile che nel Donbass dal 2014 ad oggi ci sono stati tantissimi morti, secondo le stime dell’Onu circa 14 mila (tra forze pro Ucraina e tra i separatisti filorussi).

Ma l’accusa di genocidio non solo non trova alcun concreto riscontro, ma è stata categoricamente smentita anche dalla Convenzione sul genocidio delle Nazioni unite, di cui fa parte anche la Russia stessa. E’, infine, opportuno, fare una volta per tutte chiarezza sulle strumentali e improbabili ricostruzioni a proposito del problema Nato, dell’ipotetico golpe del 2014 e sulla ridicola “denazificazione”. Al di là di ciò che ognuno legittimamente pensa, la Nato più che un problema per Putin è un comodo pretesto. Non a caso la Russia stessa ha flirtato a lungo con la Nato, al punto da stabilire nel 1998 il Nato Russia Permanent Joint Council che avrebbe dovuto vedere l’ingresso di Mosca nell’alleanza atlantica.

Negli anni successivi la Russia di Putin ha anche partecipato ad attività ed esercitazioni Nato, nel maggio 2011 addirittura ad un’esercitazione congiunta a livello di sommergibili e, una settimana dopo, di veicoli militari. Poi ogni collaborazione e cooperazione si è interrotta nel 2014 dopo l’invasione russa in Crimea. Ed è importante ricordare che fino a quella data, prima dell’invasione in Crimea, non c’era presenza armata della Nato nell’est Europa (solo nel 2017 sono stati costituiti 4 gruppi tattici, formati da circa 5 mila soldati di varie nazionalità, sul Baltico e in Polonia).

Quanto all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, fu Bush nel 2008 a promuoverla, ma la sua proposta fu drasticamente bocciata e respinta dai suoi partners europei (quelli che, secondo un certo tipo di narrazione, accetterebbe supinamente ogni capriccio statunitense…). Nel 2019 l’allora presidente Poroshenko, apertamente filo Usa, mise in Costituzione l’adesione alla Nato. E che ora, con 3 anni di ritardo (e un presidente differente), Putin decida per questo di invadere l’Ucraina è una “barzelletta” a cui può credere solo qualche ingenuo “boccalone”.

Il moto popolare contro Janukovyc diventa golpe finanziato dagli Stati Uniti

Se possibile ancora più surreale è la ricostruzione sul presunto golpe del 2014, promosso e finanziato dagli Stati Uniti, per molti la vera causa scatenante l’invasione russa (8 anni dopo…). Di fronte alla quale persino le più bizzarre tesi complottiste e le più farneticanti mistificazioni dei no vax impallidirebbero. Siamo alle solite, le piazze sono spontanee solo quando protestano per ragioni gradite e condivise da determinati schieramenti, in caso contrario non possono che essere manovrate da chissà quali forze esterne.

Eppure la storia e le ragioni della protesta popolare ucraina denominata Euromaidan, iniziata nel 2013 e sfociata nel febbraio 2014 nella destituzione dell’allora presidente Janukovyc, sono note e solo poche menti contorte possono trasformare quel moto popolare in un golpe in qualche modo organizzato dagli Stati Uniti, ignorando o fingendo di ignorare le forti e condivisibili motivazioni che spinsero il popolo ucraino a scendere in piazza. Già nel 2013, per protestare contro un accordo del presidente Janukovyc (che inizialmente aveva promesso di firmare un accordo di associazione con l’Europa) che, di fatto, svendeva l’Ucraina, alle prese con una dura crisi economico-finanziaria, alla Russia.

E basta conoscere un minino di storia per sapere quanto forte (e per quali ovvie ragioni) sia il sentimento anti russo nella maggioranza della popolazione ucraina. Ad accrescere la protesta popolare, poi, la decisione di delocalizzare diversi comparti industriali in Russia e la vendita di vasti territori agricoli alla Cina, con il conseguente aumento della disoccupazione e del malcontento nelle aree rurali, e il rapido ed equivoco arricchimento del presidente stesso, dei suoi figli e dei suoi parenti più prossimi. Da fine 2013 le manifestazioni di piazza, con decine di migliaia di persone, si susseguirono.

Nel gennaio 2014 la situazione precipita, con il Parlamento che vota dure leggi antiprotesta che porteranno alla violenta repressione da parte della polizia, con decine e decine di manifestanti uccisi ad ogni manifestazione. Fino alla drammatica giornata del 20 febbraio, quando la polizia, su ordine del presidente, sparò sui manifestanti (con tanto di cecchini appostati in alcuni palazzi), uccidendone oltre 100 e ferendone poco meno di mille. Inevitabile l’epilogo due giorni dopo, con la fuga da Kiev di Janukovyc (poi condannato a 13 anni di carcere), rifugiatosi ovviamente in Russia. Due mesi dopo le elezioni presidenziali, alle quali votarono quasi 20 milioni di ucraini, decretarono la vittoria al primo turno del filo americano Poroshenko, davanti a quella Julija Tymosenko che nei mesi precedenti, sotto la presidenza Janukovyc, era finita in carcere e condannata, con sentenza giudicata dalla Corte europea di giustizia come grave violazione dei diritti umani.

Nelle successive elezioni del 2019, poi, Poroshenko fu sconfitto dall’attuale presidente Zelensky. Che ora, dopo che Putin ha parlato di “denazificazione”, da molti esponenti della sinistra italiana viene incredibilmente descritto come filo nazista. Lui figlio di ebrei, con il nonno che ha combattuto i nazisti in guerra, e che ha perso parte della sua famiglia nella Shoah. “Come potrebbe un popolo che ha perso più di 8 milioni di vite nella battaglia contro il nazismo sostenere il nazismo” ha giustamente sottolineato il presidente ucraino.

E’ vero, invece, che nel Donbass combattono contro i separatisti anche alcune milizie filonaziste ucraine, a cui però si contrappongono i mercenari fascionazisti legati ai Lupi di Putin, di cui fanno parte anche alcune figure di spicco dei neofascisti italiani (Andrea Palmieri, Massimiliano Cavalleri, Gabriele Caraguti).

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