Da intolleranti “giustizialisti” a “garantisti” all’eccesso, il potere trasforma Meloni e FdI
Per i problemi della ministra Idem la Meloni chiedeva dimissioni come “segnale di rispetto per le istituzioni”, per le vicende del marito della ministra Guidi (poi neppure a processo…) addirittura quelle dell’intero governo. Ora, invece, Delmastro e Santanchè restano al loro posto…
C’era una volta il partito delle “liste pulite”. Quello per cui “la presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione”, invocata martedì in Parlamento per la ministra Santanchè, era semplicemente un paravento che i politici utilizzavano per rimanere incollati alla poltrona. Ma anche quello che aveva abolito dal proprio vocabolario il termine “garantismo”, in nome del più sfrenato e inflessibile “giustizialismo”, che si vantava di essere “forcaiolo” nei confronti dei politici per i quali chiedeva e pretendeva le immediate dimissioni se solo sfiorati da un “battito di ciglia”, addirittura anche se riguardava qualche loro familiare.
“Fratelli d’Italia dalle liste pulite, nelle nostre liste non vi è chi è stato condannato anche solo in primo grado” si vantava Andrea Delmastro in un video della campagna elettorale del 2013. Dieci anni dopo quelle liste sono sempre più sporche e nessuno del partito ha nulla da obiettare. Probabilmente, però, perché quel partito non esiste più, nel senso che una volta al potere ha rinnegato tutti quei principi che sembravano pilastri fondanti e che ora vengono clamorosamente banditi. Sarebbero problemi di FdI, se non fosse che diversi esponenti di quel partito “non puliti” fanno parte del governo… Siamo purtroppo abituati, nella politica italiana, ai più rapidi e radicali “voltafaccia”.
Certo, però, che è davvero impressionante la metamorfosi del partito della presidente del Consiglio che, come ha conquistato il potere, ha fatto esattamente tutto quello contro cui per anni ha combattuto. In realtà parlare di “metamorfosi” di FdI è riduttivo e sin troppo benevolo. Perché i termini giusti da utilizzare per questo drastico cambio di valori sono “incoerenza” e, ancor più, “doppia morale” di cui la destra è da sempre maestra. E si potrebbe anche aggiungere una certa spocchia alla Marchese del Grillo, quello del famoso “perché io so io e voi non siete un caz…”, una sorta di prepotente e arrogante rivendicazione di non poter essere messi sullo stesso piano dei normali cittadini, con l’annessa pretesa di impunità.
Al di là di ogni altra considerazione, quello che è inequivocabile e indiscutibile è che questa marcata incoerenza e il costante utilizzo di questa “doppia morale” hanno spazzato definitivamente cancellato la natura e i fondamenti di FdI, un partito che promuoveva e difendeva principi rigidi e non negoziabili, che si potevano condividere o meno, ma di fronte ai quali non si poteva non provare profondo rispetto per chi li sosteneva così convintamente, in base ai quali non potevano e non dovevano esserci macchie e sospetti su chi occupava determinate poltrone. Ora che è al governo, con tanto di presidente del Consiglio, di fatto Fratelli d’Italia è esattamente l’opposto, quelli che erano i principi e i caposaldi del partito sono stati rinnegati e vengono visti con crescente fastidio. Per anni abbiamo conosciuto una Giorgia Meloni e un partito inesorabili, pronti a chiedere dimissioni ad ogni minino sussurro che potesse sfiorare, direttamente o indirettamente, i potenti di turno.
“Le dimissioni da ministro di Josefa Idem sarebbero un gesto importante e significativo, nonché un forte segnale di rispetto verso le istituzioni e quello che rappresentano” chiedeva con un comunicato stampa l’allora segretaria di FdI nel 2013 in merito alla vicenda che coinvolgeva la ministra Josefa Idem a cui si contestava un pagamento non corretto dell’ici, per il quale il massimo rischio rappresentava una multa. Oggi che una sua ministra e compagna di partito è rinviata a giudizio per falso in bilancio, a cui potrebbe aggiungersi quello per truffa ai danni dell’Inps (in entrambi i casi in ballo non c’è una multa ma la galera…), del “rispetto verso le istituzioni e quello che rappresentano” non frega più niente alla Meloni e al suo partito.
Stesso trattamento riservato alla ministra Cancellieri, sfiorata dal caso Ligresti. “Ignazio Marino si dimetta immediatamente e lasci liberi i romani” tuonava ancora Giorgia Meloni nel 2016 quando l’allora sindaco di Roma veniva raggiunto da un avviso di garanzia. Per la cronaca Marino poi verrà assolto. All’epoca la drastica e non negoziabile intransigenza dell’attuale presidente del Consiglio e del suo partito si manifestava anche quando era qualche parente del potente di turno a finire nel mirino. Naturalmente senza attendere neppure l’eventuale rinvio a giudizio, tanto meno il processo, l’eventuale condanna, anche solo di primo grado. Basterebbe pensare al caso “Tempa Rossa” che sfiorò il marito della ministra Guidi. Tanto è bastato per spingere la Meloni a sostenere che “non si deve dimettere solo il ministro Guidi ma l’intero governo Renzi”.
Sempre per la cronaca il marito della Guidi non arrivò neppure a processo, caso archiviato. Stesso copione per il caso Etruria che coinvolgeva il padre dell’allora ministra Elena Boschi. Anche in questo caso la Meloni non aveva dubbi, “Boschi si sarebbe dovuta già dimettere, Lei e tutto il governo”. Il padre della Boschi poi è stato assolto. All’epoca eravamo appena all’inizio delle indagini ma la Meloni e FdI non avevano bisogno di attendere l’esito del procedimento, il solo fatto che fosse iniziato richiedeva le immediate dimissioni, addirittura di tutto il governo. Con quello metro di giudizio oggi, di fronte a condanne e rinvii a giudizio, non sarebbero neppure sufficienti le dimissioni dell’intero governo, servirebbe l’immediato allontanamento dal paese di tutti i suoi componenti…
Ironia a parte, la verità, molto semplice e sin troppo evidente, è che per il potere si è pronti a fare di tutto, anche ad abbandonare e rinnegare così clamorosamente i propri principi, come stanno facendo la presidente del Consiglio e il suo partito. Che ora hanno che hanno assaporato l’odore del potere, che hanno verificato come si sta comodi in quelle poltrone, neppure sotto tortura le mollerebbero. E chi se ne frega se, pur di rimanere abbarbicati alla poltrona, ci si espone a figure a dir poco miserabili, spingendosi oltre l’incoerenza e la vergogna. Emblematica, a tal proposito, la reazione istintiva di Delmastro dopo la lettura della sentenza che lo ha condannato ad 8 mesi.
Di fronte alle domande dei giornalisti che gli chiedevano se si sarebbe dimesso, il sottosegretario alla giustizia ha laconicamente risposto che sposava in pieno la tesi del pm Ielo (che aveva chiesto l’assoluzione). Peccato, però, che quella tesi si fondava sul fatto che Delmastro non avesse capito che quelle informazioni erano segrete e non potevano essere divulgate, nonostante sui documenti in questione ci fosse scritto a chiare lettere. E per un sottosegretario alla giustizia ammettere di non comprendere cosa c’è scritto chiaramente in un atto del genere significa ammettere la propria incompetenza. Che, per decenza, dovrebbe portare alle immediate dimissioni.
Ancora, per giustificare che la Santanchè rimane nonostante tutto al suo posto, ci si aggrappa al fatto che i reati contestati alla ministra riguardano un periodo precedente (complimenti a chi l’ha ugualmente scelta, visto che era già indagata), quindi non nell’esercizio delle sue funzioni di governo. Ragionamento un po’ contorto che, però, per coerenza, dovrebbe allora portare alle dimissioni di Delmastro, visto che la sua condanna riguarda vicende inerenti lo svolgimento della sua funzione di governo. Per carità, come si dice nella vita solo i cretini non cambiano mai idea, quindi ci può anche stare che la Meloni e il suo partito lo abbiano fatto in tema di giustizialismo e garantismo (anche se, guarda il caso, solo ora che sono arrivati al governo).
Ma almeno avessero il coraggio di ammetterlo apertamente e di rivendicarlo, magari scusandosi con gli avversari a cui hanno riservato negli anni passati un trattamento che ora non accettano più. Ma, come scriveva Manzoni a proposito di Don Abbondio, “il coraggio uno se non ce l’ha, mica se lo può dare” e le vicende delle settimane scorse hanno definitivamente frantumato l’immagine, costruita dalla propaganda, di una presidente del Consiglio forte e impavida, restituendoci quella di una leader in fuga, incapace di assumersi qualsiasi responsabilità (una “presidente del coniglio” come l’ha definita correttamente Elly Schlein). Così anche nel caso Santanchè, non si pretendono le dimissioni della ministra ma non si ha neppure il coraggio di “metterci la faccia”, tanto che non ci si presenta neppure in Parlamento per sostenere la ministra che viene lasciata al suo posto.
Il prossimo passo magari sarà quello di rivendicare, per giustificare l’ingiustificabile, il “così fan tutti” di craxiana memoria. Con tutto il rispetto per Bettino Craxi che, a parte i suoi non trascurabili problemi giudiziari, politicamente rispetto alla Meloni era un vero e proprio gigante…