Giornalisti e attivisti politici spiati, il governo censura e scappa


Lo scandalo Paragon assume connotati sempre più inquietanti con la sconcertante decisione del governo, comunicata dal sottosegretario alla sicurezza Mantovano, di non rispondere alle interrogazioni che chiedevano di sapere chi ha spiato giornalisti e attivisti

Assume connotati a dir poco inquietanti lo scandalo Paragon, l’ennesimo che colpisce il governo Meloni. In sintesi, all’improvviso si scopre che un giornalista e un’attivista particolarmente invisi al governo vengono spiati da una spyware israeliana (Paragon) venduto esclusivamente a governi democratici e ad enti governativi che, però, possono utilizzarla esclusivamente per motivi di sicurezza legati all’attività della criminalità organizzata. Appena lo scandalo, perché spiare un giornalista e un attivista politico, chiunque sia il responsabile, è un gravissimo scandalo, è venuto fuori il governo è sembrato cadere dalle nuvole e in una nota Palazzo Chigi ha sostenuto che “è impossibile che siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence e, quindi, dal governo”.

Un penoso e improbabile tentativo di tirarsi fuori che, però, inevitabilmente e inesorabilmente si è scontrato con le norme in vigore (in particolare la legge n. 124 del 3 agosto 2007) che attribuiscono al governo, nella figura della presidente del Consiglio e dell’autorità delegata per la sicurezza (dal novembre 2022 Alfredo Mantovano), tutte le iniziative che riguardano la gestione della sicurezza, compreso l’acquisto e l’utilizzo di quel genere di spyware. Così ora, di fronte alla pressione delle opposizioni che ovviamente e giustamente pretendevano chiarezza, il governo ancora una volta “scappa”, non ha il coraggio di affrontare il confronto e si trincera dietro un improbabile segreto di Stato, rifiutandosi di rispondere alle interrogazioni dell’opposizione. Infatti oggi (mercoledì 19 febbraio) era la giornata nella quale il governo, nel question time, avrebbe dovuto rispondere alle questioni poste dalle varie forze dell’opposizione.

Invece il sottosegretario alla sicurezza Mantovano ha comunicato che non ci sarà alcuna risposta con una lettera inviata al presidente della Camera Lorenzo Fontana. Che, a sua volta, ha informato del clamoroso (e inaccettabile) rifiuto l’on. Nicola Fratoianni, uno dei presentatori delle interrogazioni.

Gentile deputato – si legge nella missiva – la informo che, con lettera del sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano, del 18 febbraio a me indirizzata, il governo ha comunicato che la materia trattata dalle interrogazioni Graziano e altri n. 3-1724 e Francesco Silvestri e altri n. 3.1725 è stata oggetto di audizioni presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica e che nella seduta della Camera del 12 febbraio scorso il ministro per i rapporti con il Parlamento, rispondendo alle citate interrogazioni a risposta immediata in Aula ha fornito le uniche informazioni pubblicamente divulgabili. Ha quindi dichiarato che ogni altro aspetto delle vicende di cui trattasi deve intendersi classificato e, ai sensi dell’articolo 131, comma 1 del regolamento della Camera, anche se richiamato in futuri atti non potrà formare oggetto di informativa da parte del governo se non nella sede del Copasir. Tanto le rappresento, in particolare in relazione alla interrogazione a sua prima firma n. 4-04280 pubblicata nell’allegato B del resoconto della seduta del 6 febbraio 2025”.

Per fare un po’ di chiarezza in proposito, “le uniche informazioni divulgabili” fornite dal ministro Ciriani il 12 febbraio scorso praticamente è solo “fuffa”, perché il titolare della delega per i rapporti con il Parlamento ha confermato (sai che notizia…) che effettivamente il governo ha un contratto con l’azienda Paragon, sostenendo però che non ha mai violato la legge nell’uso dello spyware e tanto meno che lo ha utilizzato per spiare giornalisti o attivisti. Ma se lo spyware è venduto solo al governo o ad organismi governativi e tutta la gestione della sicurezza (quindi anche l’utilizzo di quello spyware) è a capo del presidente del Consiglio e del sottosegretario alla sicurezza, è chiarissimo che c’è qualcosa che non riporta, perché è di tutta evidenza che o il governo mente oppure non ha il controllo di importanti sistemi di sicurezza. E francamente non sappiamo quale delle due possibilità sia la peggiore…

Insieme ai servizi siamo pronti ad aiutare a chiarire” ha poi affermato Ciriani, una promessa subito smentita con l’indecorosa fuga del governo. Che, per non rispondere, si è appellato ad un articolo (il 131 comma 1) del regolamento della Camera che però concede la possibilità di non rispondere ma impone innanzitutto al governo di spiegarne i motivi (cosa che in questo caso non è avvenuta) e, soprattutto anche di indicare il termine entro il quale è disposto a rispondere.

Nello specifico, poi, l’interrogazione di Fratoianni chiedeva di sapere “se il governo italiano e le sue strutture di intelligence siano tra gli acquirenti del software spyware Paragon e, in caso affermativo, se si escluda che le operazioni di spyware operate possano essere state poste in essere da strutture di intelligence italiane e se siano in corso o si intendano porre in essere iniziative, per quanto di competenza, per far luce sulla vicenda”. Contenuto non molto differente per l’interrogazione di Graziano nella quale si chiedeva se il governo “sia in grado di smentire di aver proceduto ad attività di spionaggio sui dispositivi telefonici di giornalisti e attivisti, in caso di estraneità alla vicenda descritta, quali urgenti iniziative intenda adottare a tutela dei giornalisti del nostro paese”.

Una notizia gravissima che disegna uno scenario inquietante – accusa Nicola Fratoianni – non è tollerabile, in una democrazia parlamentare, che non vengano fornite le risposte richieste dalle opposizioni su un caso di spionaggio ai danni di categorie protette come i giornalisti e attivisti o oppositori politici. È come dire che il governo è libero anche per il futuro di violare la privacy di chiunque senza dover spiegare le ragioni dell’accaduto e senza doverne rendere conto ai cittadini e all’opinione pubblica. Non accetteremo che la discussione venga secretata e limitata al solo Copasir, dal quale per altro il nostro gruppo parlamentare è escluso. Il governo deve venire in aula e dare risposte esaustive. In gioco c’è la qualità della nostra democrazia: se qualcuno a Palazzo Chigi pensa di trasformare l’Italia in una post-democrazia in cui vengono azzerate tutele e libertà sappia che non glielo lasceremo fare”.

Se il governo non risponde è la fine della democrazia parlamentare – aggiunge Matteo Renzi – le opposizioni chiedono, il governo risponde, altrimenti non è più democrazia. Avviso ai naviganti: stanno nascondendo qualcosa ma questa volta non pensino di sfuggire, Nordio deve venire in aula e rispondere. Su questa roba è in gioco la democrazia parlamentare, che nessuno scherzi con il fuoco che qualcuno si brucia. Mai vista una cosa simile in 20 anni di vita nelle istituzioni”. “Sul caso Paragon ormai è palese che il governo sappia qualcosa di inconfessabile” aggiunge il giornalista Fabio Salamida. E considerando che è emerso come tra gli spiati ci fosse anche David Yambio, attivista sudanese accusatore di Almasri, è inevitabile “pensare male”. Ed in questo caso non è neppure necessario scomodare Andreotti per ipotizzare che probabilmente “ci si azzecca”…

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