Le ultime vicende hanno demolito l’improbabile immagine di donna forte, impavida e sempre pronta “a metterci la faccia” costruito dalla propaganda, per lasciare spazio a quello di una presidente del Consiglio in fuga e sempre prona di fronte al potente di turno
Ce l’hanno descritta, da due anni e mezzo a questa parte, come la donna forte, che non si tira mai indietro, autorevole (anche un po’ autoritaria…), impavida, capace di surclassare gli avversari politici con la sua personalità, condivisibile o discutibile quanto si voglia ma di certo sempre pronta “a metterci la faccia”. Ora, però, si è scoperto che anche questa è una “favoletta” costruita e inventata da un’informazione sempre più prona e servizievole nei confronti di chi ha il potere. E dopo gli ultimi sconcertanti eventi l’immagine fasulla della donna forte e coraggiosa costruita intorno a Giorgia Meloni si è disintegrata, per lasciare spazio a quella più concreta e perfettamente aderente alla realtà che le ha costruito, con una definizione quanto mai azzeccata, la sua principale rivale Elly Schlein: la “presidente del coniglio”.
Altro che forte e coraggiosa, Giorgia Meloni ha confermato (perché già chi non ha i “paraocchi” l’aveva ampiamente capito) di essere appunto un “coniglio” che scappa, che non è in grado di affrontare a viso aperto le situazioni difficili e di assumersi le responsabilità che invece dovrebbe assumersi chi guida un paese, che non ha il coraggio e la capacità di motivare e difendere le sue scelte, che non è neppure in grado di imporsi, con la necessaria autorevolezza nei confronti dei suoi alleati e dei suoi compagni di partito, troppo facilmente ricattabile (a differenza di quanto continua ossessivamente a rivendicare), sottomessa e prona ad ogni genere di potente di turno, proprio lei che dall’opposizione dichiarava che non avrebbe mai chinato il capo di fronte all’Europa, di fronte agli Stati Uniti. In realtà non ne ha neppure bisogno, il capo chinato di fronte a certi poteri è il suo tratto distintivo da quando è arrivata a Palazzo Chigi.
Nel corso della campagna elettorale aveva promesso che avrebbe battuto i pugni sul tavolo in Europa, che non avrebbe mai accettato vincoli e imposizioni che avrebbero messo in difficoltà il nostro paese. Invece, una volta nominata presidente del Consiglio, ha fatto esattamente il contrario, accettando e votando a favore in Europa, senza neppure proferire parola, le modifiche al patto di stabilità pesantemente penalizzanti per il nostro paese. Negli anni passati, quando era all’opposizione, aveva ferocemente criticato prima Conte poi Draghi per aver accettato condizioni sicuramente non ottimali per l’Italia ma, altrettanto certamente, decisamente meno penalizzanti di quelle da lei votate senza battere ciglio.
E a proposito di Conte, ricordando cosa ha fatto in Europa in uno dei momenti più difficili della nostra storia (e di quella dell’intera comunità internazionale), paragonato all’attuale presidente del Consiglio appare davvero come un gigante. Lui si che, nel periodo in cui si usciva dal Covid e in Europa si decidevano gli interventi di sostegno per la ripartenza, è riuscito a “sbattere i pugni sul tavolo”, portando a casa per il nostro paese quella pioggia di miliardi con il Pnrr che oggi tengono in piedi la traballante Italia di Giorgia Meloni. Pensando a come inizialmente si erano messe le cose, non osiamo neppure immaginare quale triste destino ci sarebbe toccato se al posto di Conte ci fosse stata Giorgia Meloni, “lupo feroce” negli annunci e nei proclami propagandistici, agnellino mansueto in Europa.
E, per tributare un omaggio anche alla sottosegretaria “abbaiante” Montaruli, cagnolino ammaestrato con gli Stati Uniti fino a che c’è stato l’odiato (dalla destra) Biden, ora addirittura cagnolino scodinzolante per il piacere del suo padrone (Trump), nella speranza che si degni a lasciarle qualche ossicino… In realtà a ben vedere Giorgia Meloni neppure nei confronti dei suoi colleghi di partito riesce ad imporsi, ad essere determinata e autorevole come dovrebbe. La fotografia della sua incapacità è la vicenda Santanchè le cui mancate dimissioni sono un affronto alla presidente del Consiglio e un ulteriore pesante schiaffo all’immagine e alla credibilità di Giorgia Meloni che in passato, in situazioni analoghe (e sicuramente meno compromettenti e gravi) si era palesemente e chiaramente esposta, al punto che ora inevitabilmente appare incoerente e “doppiopesista”.
Le vicende delle ultime settimana, in particolare lo scandalo Almasri, hanno poi definitivamente demolito altri due pilastri che la propaganda meloniana, con il supporto di gran parte dell’informazione sempre più supina, avevano cercato di costruire. Innanzitutto quello della presidente del Consiglio non ricattabile, ripetuto ossessivamente sin dal primo giorno del suo insediamento. La vicenda Almasri ha dimostrato che non solo è totalmente ricattabile, al punto da violare il trattato con la Cpi e riportare in patria con tutti gli onori del caso un aguzzino, ma che di fatto è tenuta impietosamente (e con lei il nostro paese) da quei terribili aguzzini, da quei trafficanti di essere umani che, all’apice del delirio propagandistico, aveva promesso di inseguire “in tutto il globo terracqueo”.
Soprattutto, però, la vergognosa vicenda Almasri ha definitivamente demolito l’immagine “farlocca” di una presidente del Consiglio impavida, pronta sempre a metterci la faccia, che non si tira mai indietro e che sa assumersi le proprie responsabilità. Nel momento e nella situazione nelle quali c’era ancora più bisogno di un gesto di profonda responsabilità, di presentarsi davanti al Parlamento per spiegare quanto accaduto, rivendicando la posizione del governo e assumendosi le proprie responsabilità, Giorgia Meloni ha fatto quello che le riesce meglio da quando è a Palazzo Chigi, è scappata, non ha avuto il coraggio di affrontare il comprensibile “fuoco nemico”, così come da quando è presidente del Consiglio è sempre fuggita da qualsiasi confronto, preferendo video e post sui social.
Sicuramente una strategia comunicativa studiata ma, evidentemente, una palese incapacità di reggere il confronto. Nel caso Almasri questa palese e clamorosa debolezza si è mostrata con ancora maggiore evidenza, visto che pur di scappare e di non affrontare il confronto, sicuro difficile e infuocato, con il Parlamento, la Meloni non si è fatta alcun problema a farsi rappresentare da “Gianni e Pinotto”, Nordio e Piantedosi, che hanno esposto il governo ad una “figuraccia” storica, senza precedenti, dimostrando tutta l’incompetenza di due ministri che neppure conoscono le norme di legge che li riguardano (e che riguardano il caso in questione) e che hanno messo in chiaro imbarazzo la stessa presidente del Consiglio, contraddicendola palesemente.
In particolare il ministro Nordio in Parlamento ha affermato che è intervenuto, determinando quindi la scarcerazione di Almasri, perché ha subito notato i presunti problemi del mandato di arresto. Sorvolando sul fatto che la legge gli imponeva altro, non certo la verifica del mandato di arresto, e che per altro le sue affermazioni sono palesemente e clamorosamente smentite dagli atti, nel video del 28 gennaio Giorgia Meloni aveva affermato che la decisione di scarcerare Almasri è stata presa dalla Corte d’appello senza alcun intervento o indicazione del governo e che la richiesta di arresto della Cpi “non è stata trasmessa al ministero di giustizia”.
Pur di non affrontare il confronto, la presidente del Consiglio si è fatta impietosamente sbugiardare da un suo ministro (che, non essendo intervenuta poi per correggerlo, evidentemente almeno in questo ha raccontato la veirtà). E se in Italia, a parte poche eccezioni, questa ennesima imbarazzante figuraccia, è passata quasi sotto silenzio, all’estero, sugli organi di informazione internazionali ha invece avuto (come è giusto che sia) largo spazio. Al di là del merito della vicenda, una presidente del Consiglio che nel momento di difficoltà e quando serve, invece di affrontare le responsabilità scappa, non è certo il massimo.
E merita a pieno la definizione che le ha affibbiato nell’occasione Elly Schlein di “presidente del coniglio”. Solo un tantino meno indecoroso, forse, della sottosegretaria abbaiante…