In grande difficoltà per la vicenda Almasri, la presidente del Consiglio mette su un penoso teatrino, tra errori, bugie, omissioni, trasformando un’informativa e un atto dovuto per legge in un avviso di garanzia e in un attacco da parte della magistratura
“I rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati dall’articolo 96 della Costituzione (ndr i reati del presidente del Consiglio e dei ministri) sono presentati o inviati al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio. Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di 15 giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7 (tribunale dei ministri), dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati”.
Così recitano il comma 1 e il comma 2 dell’art. 6 della legge costituzionale 1/89 circa la procedura da seguire in caso di denunce nei confronti dei membri del governo. Non bisogna essere esperti giuristi e costituzionalisti, è sufficiente avere la capacità di comprendere la lingua italiana, per capire che quelle norme smascherano la penosa messa in scena di Giorgia Meloni, il video diffuso martedì pomeriggio, e rilanciato senza verifiche da un’informazione sempre più succube del potere, per dare il via alla vergognosa campagna della destra contro la magistratura, colpevole… di aver fedelmente applicato la legge!
In pochi minuti di video un vero e proprio concentrato di bugie, omissioni, strumentalizzazioni, ricostruzioni fantasiose, bieca propaganda, con annessa la solita campagna di fango contro chi osa contrastare la sovrana. Un vero e proprio manifesto del modus operandi della Meloni, la conferma che non è, non è mai stata, non sarà mai e, probabilmente, non ha alcun interesse ad essere la presidente del Consiglio di tutti, anche di quelli che non l’hanno votata, oltre che della totale mancanza di rispetto del ruolo istituzionale che è stata chiamata a ricoprire che meriterebbe ben altro decoro. Il punto è che, da politica scaltra quale è, la Meloni sa perfettamente di potersi permettere un simile vergognoso comportamento perché ha la consapevolezza dello stato penoso e della predisposizione alla sottomissione della sempre più indecente informazione italiana, che ormai ha addirittura paura di inseguire e cercare i fatti, considerati solo un fastidioso e inutile optional.
Allo stesso modo, come si suol dire “conosce i suoi polli”, una larga parte dei suoi più fedeli sostenitori, autoridottisi a sudditi sottomessi in perenne stato catatonico, pronti a bersi qualsiasi amenità, qualsiasi favoletta raccontata dalla loro sovrana, pur di fronte alla clamorosa ed inequivocabile evidenzia contraria (come appunto in questo caso) e a cavalcare senza riflettere e verificare gli slogan propagandistici da lei imposti. Nulla è casuale nel suo modo di agire, e quel video di invenzioni e strumentalizzazioni aveva un obiettivo preciso: uscire e ribaltare la situazione oggettiva di difficoltà del suo governo per la vergognosa vicenda della liberazione dell’aguzzino libico, spostando l’attenzione sul presunto e inesistente attacco della magistratura “di sinistra” e su uno scontro di poteri che in realtà tale non è, perché c’è solo l’attacco violento dell’esecutivo che vuole mettere in discussione l’autonomia dei differenti poteri dello Stato.
Così, da bravi soldatini e perfetti automi che non sono deputati a pensare e riflettere, da ieri pomeriggio giornali, esponenti politici e fedeli sostenitori della destra ripetono “a pappagallo” e inondano i social di slogan che denunciano il presunto attacco della magistratura rossa contro Giorgia Meloni messo in atto con quell’avviso di garanzia (che, come vedremo, in realtà non è un avviso di garanzia…). Annunciato nel pomeriggio di martedì 28 gennaio dalla stessa presidente del Consiglio con il citato video.
“Il procuratore della Repubblica Francesco Lovai, lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia” afferma una Meloni visibilmente adirata nel video. “L’indagine sarebbe nata al seguito di una denuncia che è stata presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi” ha proseguito la presidente del Consiglio che, infine, ha concluso riproponendo lo slogan che ripete ossessivamente da quando è arrivata a Palazzo Chigi: “penso che valga oggi quello valeva ieri: non sono ricattabile e non mi faccio intimidire”.
Premesso che questo ossessivo ripetere che “non è ricattabile” in realtà fa pensare l’esatto contrario (e il rilascio di Almasri ne è la più clamorosa dimostrazione), è davvero difficile, una sorta di impresa al contrario, riuscire in così poche affermazioni a dire esattamente l’opposto di quella che è la realtà. E che si tratti di bugie o di errori, nel primo caso costruite per ragioni di mera propaganda, nel secondo per ignoranza, intesa nel senso di non avere la minima cognizione di ciò di cui si sta parlando, cambia poco, in un caso o nell’altro siamo di fronte ad uno “sclero” del tutto fuori luogo e immotivato. Perché l’articolo di legge della norma costituzionale citata inizialmente (legge costituzionale 1/89 art. 6 comma 1 e 2) è sin troppo chiaro e smonta inesorabilmente le “favolette” raccontate dalla Meloni in quel video.
Non possono esserci dubbi in proposito, in caso di denuncia nei confronti di un ministro o del presidente del Consiglio, il procuratore che la riceve non ha possibilità di scelta o di azione, deve obbligatoriamente (lo impone la legge stessa) trasmetterla al Tribunale dei ministri, senza possibilità di fare indagini o considerazioni (“omessa ogni indagine”, più chiaro di così), oltre che informare i diretti interessati. Ed è esattamente quello che ha fatto il procuratore romano che, di conseguenza, non ha inviato alcun avviso di garanzia ma una semplice (e, ripetiamo, obbligatoria) informativa, un privilegio che la legge italiana riserva solo ai componenti dell’esecutivo. In altre parole il procuratore romano si è limitato ad applicare la legge, non ha fatto e non poteva fare altro, non aveva la possibilità di compiere alcun altro atto discrezionale.
Non è certo la prima volta che accade, anzi, è accaduto a diversi ministri e presidenti del Consiglio (per esempio Conte, denunciato proprio da FdI), di fronte ad una denuncia, da chiunque arrivi, la strada da percorrere è segnata dalla legge, non ci si può discostare in alcun modo. Ne consegue che evidentemente non c’è alcuna guerra di poteri, non c’è nessun attacco da parte della magistratura, semplicemente l’applicazione delle leggi (e magari già questo è vista da questa destra come atto di guerra…). Ma se già questa serie di “cantonate” (volute o meno che siano) sarebbero sufficienti per squalificare il comportamento della Meloni, è doveroso sottolineare che la presidente del Consiglio ha detto altre evidenti bugie (o ha fatto altri colossali errori). Perché chi ha presentato la denuncia (l’avvocato Li Gotti), presentato dalla Meloni come politico di sinistra, in realtà è cresciuto nel Msi, poi in Alleanza Nazionale, per poi avere una breve parentesi con l’Italia dei Valori.
E’, quindi, uomo assolutamente di destra e lui stesso rivendica i suoi valori di destra e la sua appartenenza al Movimento Sociale (e altrettanto ovviamente non ha alcun legame con Romano Prodi). Per certi versi ancora più pietoso e patetico il tentativo di delegittimarlo presentandolo come avvocato dei pentiti di mafia, innanzitutto perché comunque in ogni caso non ci sarebbe affatto nulla di male (e, per altro, grazie a Buscetta si sono potuti istruire i primi maxi processi di mafia). Soprattutto, però, perché Li Gotti negli anni ha difeso e tutelato le vittime della strage di piazza Fontana, la famiglia Calabresi, quella di uno degli uomini della scorta di Aldo Moro e ridurlo ad avvocato dei pentiti di mafia è una vera e propria “carognata”. Riassumendo e sintetizzando, riprendendo un meme in circolazione sui social da alcune ore, “insomma l’avviso di garanzia non è un avviso di garanzia, il “ricatto” è la normale prassi giuridica, l’avvocato di sinistra è un veterano del Msi e l’unica intimidazione è quella del governo verso procuratori e magistrati”.
E, a dimostrazione dei veri motivi di questa insulsa sceneggiata, l’informativa del governo sul caso Almasri prevista per mercoledì in Parlamento è stata annullata. Insomma abbiamo una presidente del Consiglio che parla sui social ma scappa dal confronto in Parlamento. In perfetto “stile istituzionale” della terra dei cachi…