Toglie ai poveri per dare ai ricchi: Giorgia Meloni una “Robin Hood al contrario”


Dal governo briciole (+1,80 euro al mese) per i pensionati, niente per i lavoratori e per le famiglie in difficoltà ma, grazie ad un emendamento alla manovra 2025, la volontà di aumentare di 7.193 euro al mese gli stipendi di 18 tra ministri e sottosegretari…

Come capita sempre più spesso in questa epoca social, un post diventato in brevissimo tempo virale sintetizza meglio di tante altre parole la vergogna che questo governo e questa maggioranza di destra stanno cercando di mettere in pratica con la manovra 2025. Con a fianco la foto con l’espressione beffarda e sorridente della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si legge nel post: “pensioni minime +1,80 euro al mese, stipendi infermieri + 7 euro al mese, stipendi ministri e sottosegretari +7.193 euro al mese”.

Una sintesi tanto efficace quanto tristemente veritiera che, d’altra parte, non stupisce più di tanto perché è la conferma di quanto questo governo di destra se ne freghi di chi è in condizioni peggiori e di come Giorgia Meloni sia sempre più calata nel ruolo di moderno Robin Hood al contrario, che toglie ai poveri per dare ai più ricchi. “Sono una del popolo” affermava la presidente del Consiglio nel corso della campagna elettorale per le europee della primavera 2024. E questa sua provenienza popolare, unita all’immagine “farlocca” di esponente politica nuova e incontaminata, estranea ai cosiddetti “poteri forti” (in realtà era stata ministra di uno dei peggiori governi della storia della Repubblica, quello del 2008 con Berlusconi presidente del Consiglio) e portatrice delle istanze delle classi più deboli, era stata una delle sue carte vincenti alle elezioni politiche del 2022 che poi l’hanno portata a Palazzo Chigi.

Parafrasando una famosissima strofa di uno dei capolavori di Antonelli Venditti (“Compagno di scuola”), non ci ha messo molto la Meloni, una volta divenuta presidente del Consiglio, “ad entrare in banca”, dimenticandosi con una sconcertante rapidità delle istanze dei più deboli, mostrando il suo vero volto di fedele e sicura alleata dei più potenti, di quei fantomatici “poteri forti” che lo zoccolo duro dei suoi elettori ha sempre “odiato”. Non è una novità, la storia politica, non solo italiana, racconta spesso di come una parte delle classi più deboli scelga e sostenga (almeno nella scalata iniziale) i propri peggiori “carnefici”, lasciandosi illudere dalle loro promesse fallaci.

Allo stesso tempo, però, è innegabile che da quando è diventata presidente del Consiglio alla Meloni bisogna riconoscere in questo un’estrema coerenza, ha sempre tolto ai più poveri per dare ai più ricchi, è sempre stata implacabile con chi è in condizioni di estrema difficoltà e sempre così accondiscendente con chi se la passa meglio. Non dimentichiamo che uno dei primi provvedimenti del suo governo (per altro ampiamente annunciato) è stato quello di togliere il reddito di cittadinanza, unico baluardo e ancora di salvezza per le famiglie maggiormente in difficoltà. E, mentre toglieva quel sacrosanto sussidio e, in un paese che (unico caso in Europa) dal 1990 ad oggi ha visto addirittura una diminuzione delle retribuzioni, faceva muro contro l’ancora più sacrosanto salario minimo garantito, dall’altro lato tendeva la mano a quella che indiscutibilmente rappresenta la peggiore categoria possibile della nostra società, gli evasori, coloro che accumulano ricchezze e si rifiutano di pagare le tasse.

Ed a sancire inequivocabilmente da che parte realmente stiano Giorgia Meloni e il suo partito (e il suo governo) l’amore con Elon Musk, niente di più opposto di quell’immagine di “donna del popolo” furbescamente veicolata negli anni passati. In un simile contesto non ci si può certo stupire se, in una finanziaria che concede solo qualche briciola a chi ha bisogno, la fetta più sostanziosa della torta sia destinata ancora una volta a chi più ha e, in un ritorno ai fasti del passato contro i quali, quanto era all’opposizione, aveva sempre dichiarato di combattere ferocemente, alla casta dei politici. Anzi, più precisamente al suo governo, con l’emendamento alla legge di bilancio, inserito venerdì sera dalla maggioranza di destra, che prevede l’aumento dello stipendio che ricevono i ministri e i sottosegretari che non sono stati eletti in Parlamento.

Per capire di cosa stiamo parlando, occorre preliminarmente ricordare come i membri del governo (ministri, vice ministri, sottosegretari) in larga parte sono parlamentari regolarmente eletti alle ultime elezioni che, quindi, mantengono di fatto lo stipendio da parlamentare complessivamente di quasi 18 mila euro lordi al mese, con l’indennità parlamentare che ammonta a 10.435 euro lordi (netto 5.290,71 euro netti) a cui bisogna aggiungere la diaria mensile netta di 3.503,11 euro e il rimborso delle spese di mandato pari a 3.690 euro mensili nette. Basta fare due conti per scoprire che ogni parlamentare (e quindi ogni ministro “parlamentare”) mensilmente porta a casa ogni mese più di 12 mila euro nette, a cui bisogna aggiungere il rimborso trimestrale delle spese di trasporto (da un minimo di 3.323,70 euro ad un massimo di 3.995,10 euro) e delle spese telefoniche (1.200 euro all’anno).

Ci sono, poi, membri del governo che non sono stati eletti ma sono stati scelti e designati direttamente dalla presidente del Consiglio, ovviamente tra esponenti dei partiti di governo, che di conseguenza non godono del trattamento economico da parlamentare (ovviamente, visto che non sono stati eletti) ma di qualcosa di molto simile perché hanno diritto allo stesso stipendio mensile o (10.450 euro lordi, 5.290,71 euro netti), senza però diaria e spese di mandato mensili che sono riservate ai parlamentari stessi, ma con gli stessi rimborsi per le spese di trasporto e telefoniche (e la solita infinita serie di benefit). Senza addentrarci nella solita discussione su come comunque siano esagerati stipendi, rimborsi e benefit dei parlamentari, il differente trattamento economico è comunque doppiamente logico.

Innanzitutto perché comunque i parlamentari eletti occupano quel ruolo istituzionale perché direttamente eletti dai cittadini, poi perché concettualmente la diaria è concepita come rimborso per il soggiorno a Roma, mentre le spese mensili di mandato sono idealmente previste per l’esercizio del mandato parlamentare. Quindi, al di là di ogni altro discorso, quei due specifici trattamenti economici non hanno nulla a che vedere con il ruolo del ministro. Per questo è ancora più inaccettabile che ora invece con quell’emendamento si voglia attribuire ai ministri e sottosegretari anche quei 7.193 euro mensili (nettI). Ad usufruirne, naturalmente sempre se l’emendamento verrà approvato (chissà visto il putiferio scatenato un briciolo di vergogna gli esponenti del governo e della maggioranza magari alla fine la proveranno…) saranno 18 componenti del governo.

Per la precisione i ministri Andrea Abodi (sport), Marina Calderone (lavoro), Guido Crosetto (difesa), Alessandro Giuli (cultura), Matteo Piantedosi (interni), Giuseppe Valditara (istruzione),Alessandra Locatelli (disabilità) e Orazio Schillaci (salute) e i sottosegretari Alfredo Mantovano, Giorgio Silli, Maria Tripodi, Valentino Valentini, Fausta Bergamotto, Sandra Savino, Matteo Perego di Cremnago, Luigi D’Eramo, Claudio Barbaro, Giuseppina Castiello.

Non si dica che il governo non sceglie le sue priorità, mentre con una mano aumenta lo stipendio dei suoi ministri, con l’altra nega il salario minimo a 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori” accusa la segretaria del Pd Elly Schlein. “E’ un provvedimento di buon senso e logico” risponde il ministro Foti. Che, in effetti, non ha del tutto torto. Perché sicuramente è un provvedimento “di buon senso” per quei 18 fortunati (un po’ meno per gli altri cittadini italiani…) e perfettamente logico e coerente con la politica da “Robin Hood al contrario” che stanno portando avanti Giorgia Meloni e il suo governo…

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