Respinta in Consiglio comunale, con il corollario di affermazioni a dir poco sconcertanti che fanno tornare la nostra città indietro nel tempo, la mozione in difesa della legge 194 e per il potenziamento dei consultori. “Un passo indietro sui diritti delle donne”
E’ probabilmente riduttivo l’ironico (ironia molto amara…) “benvenuti nel Medioevo” rispetto a quanto purtroppo si è dovuto ascoltare mercoledì 4 dicembre in Consiglio comunale nel corso della discussione di una mozione, presentata dall’opposizione, in difesa della legge 194 e per il potenziamento dei consultori. Così come è ancor più riduttivo parlare, come ha poi commentato l’opposizione stessa, di “passo indietro sui diritti delle donne”. E’ invece più che comprensibile e condivisibile il sentimento di vergogna espresso sui social nelle ore successive a quel Consiglio comunale da tante donne ascolane e, fortunatamente, anche tanti uomini. Di certo quella che è stata scritta ieri nella civica assiste ascolana è una delle pagine più buie e imbarazzanti vissute dal capoluogo piceno, almeno dal punto di vista politico.
L’aspetto più sconcertante è che molte delle affermazioni a nostro avviso più sconfortanti ascoltate sono state pronunciate da donne, c’è da sperare vivamente esclusivamente per sottostare a cosiddetti ordini di scuderia. Prima di dare voce a chi la mozione l’ha presentata, è opportuno fornire un quadro della situazione, di quanto avviene nel nostro territorio e nel capoluogo piceno in merito alla legge 194 e alla tutela del diritto alla libera scelta (ma anche alla tutela della salute) delle donne. Ed un quadro esemplificativo arriva da alcuni dei dati pubblicati sulla propria pagina facebook da “Liberә Tuttә”, la collettiva transfemminista intersezionale che nasce ed opera nella provincia di Ascoli per i diritti di tutte ad autodeterminarsi. Il più emblematico e significativo è quello relativo al personale obiettore, ben il 75% ad Ascoli ed il 56% a San Benedetto.
Non meno significativo il fatto che la provincia di Ascoli vanta (si fa per dire…) il dato più alto nelle Marche di donne che si rivolgono fuori regione per l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), ben il 23,6%. Ma da sottolineare anche le percentuali di Ivg farmacologica, che secondo le linee guida emanate dal ministero della salute nel 2020 può essere eseguita fino alla 9° settimana, con l’11,1% a San Benedetto e addirittura lo 0,6% ad Ascoli. Senza dimenticare il fatto che, sempre secondo le linee di indirizzo ministeriali, i consultori sono luoghi deputati a rilasciare la certificazione per l’Ivg ma, mentre a San Benedetto avviene nel 73% dei casi di Ivg, ad Ascoli si è fermi solamente all’11,9%.
“I numeri sono quelli della difficoltà di accesso all’Ivg nelle strutture pubbliche ad Ascoli e San Benedetto” commenta “Liberә Tuttә”. Soprattutto, però, i numeri evidenziano come, in un contesto provinciale molto complicato e complesso, nel capoluogo piceno la situazione è oltremodo disarmante e sconfortante. Ed è proprio a fronte di una simile situazione è ancora più inaccettabile e sconcertante lo spettacolo andato in scena mercoledì pomeriggio a Palazzo dei Capitani.
“La maggioranza di destra del Consiglio Comunale di Ascoli ha bocciato una mozione fondamentale per la tutela dei diritti delle donne e il rafforzamento dei consultori pubblici, strumenti essenziali di supporto previsti dalla Legge 194/78 – si legge in un comunicato stampa congiunto delle opposizioni – La mozione chiedeva interventi chiari e mirati, tra cui il potenziamento dei consultori pubblici, l’adeguamento del personale sanitario per garantire la piena applicazione della legge, l’accesso garantito all’interruzione farmacologica di gravidanza fino alla nona settimana come previsto dalle linee guida ministeriali del 2020, e la tutela della neutralità professionale dei consultori contro interferenze ideologiche da parte di associazioni prive di competenze sociosanitarie. Questa proposta, equilibrata e già approvata in molti altri comuni marchigiani, si poneva l’obiettivo di tutelare la salute, la libertà e la dignità delle donne, oltre a rafforzare un sistema pubblico già messo a dura prova da tagli regionali e scelte discutibili a livello nazionale.
La sua bocciatura ad Ascoli rappresenta un grave passo indietro, un atto che antepone logiche ideologiche ai diritti fondamentali delle persone. Durante il dibattito in aula, il livello del confronto ha toccato punte di grave arretratezza. In particolare, la maggioranza ha dichiarato che “l’aborto è una violenza sulla donna”, senza che nessuno prendesse le distanze da questa affermazione. Una frase vergognosa, che ignora decenni di battaglie per i diritti delle donne e che colpevolizza chi si trova costretto a prendere decisioni difficili e sofferte. Altre dichiarazioni, come quelle che accusano i consultori di favorire l’aborto, sono palesemente false e profondamente offensive verso professionisti che ogni giorno garantiscono ascolto, informazioni e supporto nel pieno rispetto della legge e delle scelte personali delle donne. La bocciatura della mozione segna anche una doppia sconfitta per la città.
Da un lato, per quei consiglieri di maggioranza che si definiscono “civici” ma che, nel momento decisivo, hanno preferito allinearsi a una destra ideologica e regressiva. Dall’altro, per i giovani esponenti della maggioranza, che hanno perso l’occasione di dimostrare una visione moderna, inclusiva e al passo con le sfide del nostro tempo, rifugiandosi invece in logiche anacronistiche e paternalistiche. Questo episodio si inserisce in un contesto più ampio di progressivo smantellamento dei diritti civili. Dal Governo nazionale alla Regione Marche, fino ad arrivare al Comune di Ascoli, si avverte un desiderio preoccupante di revocare le libertà conquistate con fatica, per imporre una visione patriarcale della società.
La politica, invece, ha il dovere di tutelare la libertà, la salute e la dignità delle donne, garantendo loro strumenti adeguati per prendere decisioni informate e consapevoli, nel pieno rispetto della loro autonomia. Oggi, il Consiglio Comunale ha scelto di ignorare queste responsabilità, voltandosi dall’altra parte di fronte a una proposta di semplice buon senso. Ma noi continueremo a lottare perché le donne non siano giudicate o strumentalizzate, ma rispettate e sostenute nel loro diritto di decidere del proprio corpo e della propria vita”.
Non c’è molto da aggiungere, se non una considerazione che prende spunto da quanto ascoltato anche mercoledì pomeriggio in Consiglio comunale ma, con frequenza, da tutti gli esponenti di destra per difendere l’indifendibile, cioè l’emendamento di FdI inserito nel decreto Pnrr (che ha molto irritato la Ue) che consente la presenza di gruppi pro vita anti abortisti nei consultori. Per giustificare quella che a nostro avviso è un’autentica vergogna ipocritamente si fa riferimento al fatto che era già previsto nella legge 194 (è stato ripetuto in più interventi in Consiglio comunale), citando del tutto a sproposito l’art. 2 nella parte in cui si afferma che “i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
Si potrebbe discutere a lungo su quanto possono essere considerate “idonee” associazioni come i pro vita, è invece inequivocabile (almeno per la lingua italiana) che quanto disposto da quell’articolo non ha nulla a che fare con l’opera dei pro vita, senza considerare che si parla di aiutare la “la maternità difficile dopo la nascita”, non certo di spingere la donna a non avvalersi dell’Igv. Per altro bisognerebbe sempre ricordare che gli articoli di legge, che contribuiscono insieme a determinare lo spirito reale di una legge, andrebbero letti tutti, non solo quelli che, comunque del tutto strumentalmente, possono fare comodo. Come, ad esempio, l’art. 4 secondo cui la donna che “accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito si rivolge ad un consultorio pubblico”.
E non bisogna essere dei particolari geni per comprendere senza alcun dubbio che già solamente questo articolo della 194 rende di fatto incompatibile la presenza delle associazioni pro vita nei consultori.